E-participation e comunità locali/3

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E-participation e comunicazione mediata al computer: verso una democrazia deliberativa

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E-participation e comunicazione mediata al computer: verso una democrazia deliberativa
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Nella strutturazione di un processo decisionale partecipato, attraverso l’uso degli strumenti ICT, è necessaria l’identificazione del modello politico, considerando la peculiarità della comunicazione mediata al computer (CMC) attraverso la quale i soggetti dovranno interagire.

Modelli, ipotesi e prospettive dei processi decisionali nell’era della società dell’informazione.

Le reti di telecomunicazioni, ed in particolare internet, hanno creato l’opportunità, per milioni di persone, di entrare in comunicazione diretta.

Le relazioni scaturite da questa interazione hanno dato vita a numerose comunità pratiche e gruppi di discussione on-line che si sono ritrovati a discutere e a produrre cultura e conoscenza intorno ad una vasta tipologia di argomenti.

Per dare una visione delle dimensione del fenomeno, tra gli esempi più importanti di carattere produttivo-collaborativo, possiamo certamente citare l’enciclopedia libera Wikipedia e l’ecosistema del software free ed opensource.

Analizzando le statistiche di Wikipedia1 vediamo che i contributori registrati (“Wikipediani”) della versione italiana sono 7.016 (nov. 2006) per arrivare ad una somma totale di tutti gli autori internazionali di 124.793 (nov. 2005). Tenendo presente che è possibile contribuire all’enciclopedia anche senza essere registrati, arriviamo ad una produzione totale di 222.000 articoli in lingua italiana (nov. 2006) per un totale di 2 milioni e 900 (nov. 2005) sommando gli articoli in tutte le lingue.

Per quanto riguarda il movimento FOSS, basandoci sui dati degli utenti registrati su SourceForge2, il più grande sito che fornisce infrastruttura per i software distribuiti con una licenza approvata OSI (Open Source Iniziative), contiamo poco meno di 1.500.000 sviluppatori per un totale di circa 140.000 progetti registrati (gen. 2007).

Nell’attività di co-produzione software e cultura è necessaria una attività di coordinamento, discussione, strutturazione di modelli decisionali e amministrativi e regole (più o meno formalizzate) che permettano la convivenza e il funzionamento dell’intero ecosistema.

La possibilità di creare una comunità “politica” che possa decidere sui temi di interesse pubblico, attraverso l’utilizzo della rete, deve tenere conto sia delle peculiarità del mezzo e degli strumenti con i quali l’interazione avviene, sia delle esperienze e dei problemi di ordine “politico-amministrativo” riscontrati nella gestione di vaste comunità online.

Democrazia rappresentativa e democrazia diretta

Il principale regime governativo, affermatosi in occidente, può essere considerato la democrazia rappresentativa, pur nella diversità delle sue forme e declinazioni.

Essa si basa sul principio delle rappresentatività: la selezione, attraverso la votazione dei cittadini aventi diritto, di una sottoclasse di eletti che li rappresenti nel governo di un determinato territorio.

Èquesta sottoclasse, attraverso una serie di istituti, meccanismi e regole di voto, a stabilire gli altri ruoli istituzionali e politici che contribuiscono a comporre l’intero quadro dirigenziale politico e amministrativo.

Diversi ordinamenti di democrazia rappresentativa contemplano la presenza di istituti di democrazia diretta come il referendum (abrogativo, propositivo, consultivo e confermativo) e le proposte di legge ad iniziativa popolare.

Gli strumenti come il referendum propositivo ed abrogativo e l’iniziativa di legge popolare utilizzano un approccio bottom-up ovvero dal basso vero l’alto.

Tramite la raccolta di firme dei cittadini o attraverso un voto diretto è possibile proporre un provvedimento ai rappresentanti, abrogare o approvare una legge.

Il referendum consultivo e confermativo ha caratteristiche top-down dall’altro verso il basso poiché l’iniziativa è presa dai rappresentanti che, coinvolgendo i rappresentati attraverso un voto, chiedono il parere o la conferma di un provvedimento approvato dai rappresentanti.

Per l’esercizio degli istituti bottom up spesso vengono posti dei limiti di rilevanza sociale per ottenere validità, come la richiesta di un quorum di votanti o di un numero minimo di firme necessarie che sottoscrivano la proposta.

Vengono posti questi limiti per proteggere gli organismi rappresentativi da un sovraffollamento di proposte caratterizzate da particolarismi o interessi minoritari.

Considerando anche i costi e gli sforzi da sostenere per organizzare la raccolta delle firme o lo svolgimento delle votazioni, il numero di istanze gestibili attraverso gli strumenti democratici diretti è limitato.

Dal punto di vista pratico le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono costituire un’opportunità per risolvere il problema dei costi della democrazia diretta, ma anche migliorarne le procedure organizzative e logistiche.

Gli strumenti ICT nella democrazia diretta.

Quali sono i vantaggi ed i limiti dell’utilizzo di questi strumenti per valorizzare gli istituti democratici diretti?

Orientiamoci a scopo esemplificativo sulla situazione italiana.

Nell’ordinamento italiano i principali istituti di democrazia diretta bottom up sono la legge di iniziativa popolare (art. 71 Cost.) e il referendum abrogativo (art. 75) regolati dalla costituzione a livello nazionale.

Inoltre è previsto che, a livello regionale, gli statuti regolino l’istituto referendario sulle leggi e i provvedimenti amministrativi della Regione (art. 123 c. 1 Cost.). In diversi statuti degli Enti locali (Provincie e Comuni) sono previsti a loro volta strumenti di democrazia diretta come ad esempio il referendum propositivo ed abrogativo di iniziativa popolare nella Provincia di Roma3.

Seguendo un approccio tradizionale, che non prevede l’utilizzo di strumenti ICT, il processo per validare un provvedimento bottom up è molto dispendioso.

Una volta redatta la proposta da un qualsiasi gruppo, associazione, partito, bisogna organizzare sul territorio la raccolta firme per affermare la rilevanza sociale dell’iniziativa. Questo implica un lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema oggetto della proposta, l’organizzazione di postazioni per la raccolta firme disseminati sul territorio mediante l’impiego di soggetti autenticatori previsti dalla legge.

l’altro limite principale è la possibilità di costruzione collettiva del testo oggetto della proposta, poiché rimane difficile pensare di adottare una metodologia semplice e rapida tramite modalità off line, specialmente quando il numero dei soggetti attivi da coinvolgere nell’iniziativa sia vasto e la tipologia disomogenea.

Bisogna aggiungere poi i cosiddetti problemi di compresenza geografica e di “sincronia” dell’azione. Con i metodi tradizionali è difficile contribuire alla discussione di un testo in maniera efficiente senza richiedere la compresenza geografica e una certa sincronia delle azioni collaborative. Anche dividendo il processo su base territoriale é difficile che i singoli gruppi locali possano discutere ed avanzare le proposte senza fisicamente riunirsi in un luogo fisico e discutere di persona delle modifiche per la costruzione di un consenso sul testo.

I vantaggi che possono offrire gli strumenti ICT sono quindi diversi. Proviamo a vederne alcuni.

In rete sono già presenti ed utilizzati strumenti, anche se per ora rudimentali, che permettono tecnicamente di strutturare e sviluppare dei testi in modalità cooperativa online, ad esempio il Wiki.

Il WIKI

Il Wiki è uno strumento cooperativo per la produzione di ipertesti, ma può essere considerato anche come una piattaforma collaborativa per la costruzione di siti web. Una diffusa piattaforma software per farlo è Mediawiki utilizzata anche dal progetto di enciclopedia libera Wikipedia.

Tra le caratteristiche fondamentali di un Wiki vi è la possibilità di creare, editare ed aggiornare una pagina ipertestuale da parte di una molteplicità di utenti senza necessità di sincronia, di identificazione e di compresenza geografica. In genere quasi tutti i Wiki permettono anche di mantenere una cronolgia delle modifiche dell’ipertesto prodotto, in modo da poter accedere sia all’evoluzione dei contribuiti e della pagina, sia al ripristino di versioni precedenti nel caso di atti di vandalismo o a seguito di aggiunta di testi non aderenti alla politica dei contenuti.

Molte delle caratteristiche del Wiki dipendono dalla singola implementazione software e dagli eventuali sviluppi anche in base alle esigenze dell’Amministrazione.

Per esempio, in uno spazio Wiki si può decidere che un’utente possa contribuire in maniera anonima o previa registrazione al sistema (fornendo dei dati di identificazione), oppure all’interno del sistema possono essere definiti vari ruoli per gli utenti registrati al fine di migliorare la gestione dello spazio. Può essere ammesso il blocco temporaneo del contenuto di una pagina, effettuato dagli amministratori, in caso di atti vandalici o a seguito di una serie di modifiche degenerate in flaming, sistemi di disabilitazione degli account utente etc.

Il Wiki può contenere appositi spazi di discussione per ogni testo prodotto, in modo da discutere gli aspetti e le sezioni controverse, spazi di votazione sulla qualità dei contenuti e semplici sitemi per gestire le votazione sulle azioni da degli utenti.

Gli sviluppi delle piattaforme rimangono aperti alle esigenze gestionali e di coordinamento che andranno affermandosi tramite le esperienze di collaborazione.

Proprio nella prospettiva di uno sviluppo simbiotico l’esempio di piattaforma mediawiki, a cui abbiamo accennato prima, è tipicamente un prodotto free software.

Sugli aspetti della produzione free software e open source avremmo modo di parlare più avanti, ma per il momento ci interessa sottolineare che, in una prospettiva di costruzione sociale della produzione dei contenuti e delle rappresentazioni, è fondamentale che ci sia di pari passo un approccio “costruttivista” sullo sviluppo delle piattaforme software: artefatti cognitivi condivisi attraverso i quali interagire.

Il Wiki offre anche altri vantaggi. Come abbiamo accennato non richiede la compresenza geografica ne sincronica degli autori. Questo è molto interessante poiché la prima caratteristica da la possibilità di collaborare su un testo per finalità comuni, senza che gli autori si debbano recare nello stesso luogo fisico.

Si possono creare quindi “comunità di pratiche”, orientate alla produzione di una proposta, che vanno oltre l’aggregazione per prossimità geografica ma si formino su basi motivazionali.

l’altra caratteristica e l’asincronia della partecipazione. Gli autori possono partecipare alle discussioni non solo in luoghi diversi, ma anche in momenti diversi.

Facciamo un esempio. Immaginiamo che un’associazione o un gruppo di cittadini apra un wiki con una bozza per una legge di iniziativa popolare che porti a definire la disponibilità della larga banda come servizio universale.

Questo, essendo un tema di interesse nazionale, consente di aggregare gli interessi dei diversi cittadini sul territorio che vivono in divario digitale, ma anche di altri che credono nella proposta a prescindere da un loro interesse personale diretto.

La comunità di pratica che si viene a formare, quindi, è svincolata dai limiti territoriali e anche dai costi del doversi incontrare fisicamente per collaborare. Lo spazio virtuale è “equidistante” e “a portata di mano” per tutti i membri.

l’asincronia dei contributi e più in generale dell’interazione permetterebbe a ciascun cittadino di dedicare del tempo allo sviluppo della proposta in base alle sue esigenze e a suoi ritmi di vita. Inoltre essendo presente uno archivio cronologico dei contributi e delle discussioni, ognuno può decidere di dedicare, a seconda dei periodi, un impegno e un approfondimento diverso, senza dover perdere l’evoluzione del processo nella sua generalità.

Si presuppone che queste due caratteristiche di flessibilità abbiano un certo impatto riguardo alle riduzione delle barriere che frenano l’investimento personale su un tema politico.

Possiamo dire che, per come sono strutturati ora, i wiki hanno dei buoni risultati per una produzione cooperativa della conoscenza.

Essendo il testo di un prodotto culturale dinamico di per sé, non ha una particolare necessita di stabilizzazione, ma anzi è considerato un fattore positivo il fatto che possa variare a seconda della dinamica sociale e delle interpretazioni prodotte.

Potrebbe quindi svolgere un ruolo importante nella costruzione del modello di conoscenza a supporto di una iniziativa di democrazia diretta, ma diventa difficile strutturare un testo legislativo all’interno di un wiki.

Questo limite è di natura tecnologica, poiché non sono state ancora sviluppate piatteforme che permettano di organizzare la produzione attraverso una prospettiva che includa, tra le altre funzionalità, un’evoluzione delle metodologie di produzione legislativa attualmente consolidate nelle istituzioni rappresentative.

Il wiki può essere comunque uno strumento valido nelle prime fasi di stesura della bozze, e costituire, più in generale, la piattaforma sulla quale organizzare la fase iniziale di brain storming, in cui il testo è molto instabile e soggetto a numerose modifiche.

Una volta che il flusso dei cambiamenti si sia attestato su livelli più contenuti diventa necessario mutuare, valutare, adattare ed estendere alcuni strumenti metodologici adottati nei normali processi legislativi.

Tra le funzioni necessarie ci dovrebbe essere la possibilità di generare uno spazio dialogico riguardo le singole parti del testo (paragrafi, frasi, parole, articoli).

Dovrebbe permettere la creazione di gruppi di lavoro per tipologia tematica, oppure commissioni che indaghino particolari problematiche e gli effetti delle proposte in conflitto. Un’altra esigenza è la possibilità di creare emendamenti, classificarli, discuterli e votarli. Le proposte di emendamento dovranno essere elaborate da sistemi sociali di convalida e classificazione.

Il processo di revisione della GPL3

Un esempio embrionale di alcune di queste tecnologie lo possiamo trovare sul sito della Free Software Foundation (FSF) nella sezione relativa alla revisione della licenza GPL34.

La definizione del processo di revisione di questa licenza5 offre, ai nostri fini, anche diversi spunti che vanno oltre la piattaforma e, per certi versi, meriterebbe uno studio specifico sul come si sia svolta effettivamente la sua concreta applicazione.

Ècomunque un interessante esempio di cooperazione supportata dalle ICT.

Questo processo è nato dall’esigenza per la FSF di effettuare una pubblica revisione della licenza GPL che regolamenta la distribuzione della maggior parte del free software.

Abbiamo quindi a che fare con un’associazione senza scopo di lucro, ma in altri casi potrebbe trattarsi di un nucleo di cittadini che organizza un comitato promotore, una comunità virtuale, o qualsiasi altro tipo di associazione e organizzazione che si fa carico di svolgere quel lavoro di start-up necessario per far partire l’iniziativa: dall’organizzazione degli spazi in rete, la definizione del processo decisionale, l’assunzione delle funzioni di moderazione ed amministrazione del processo stesso. Il fatto che ci sia un’entità che faccia da start up all’iniziativa e che amministri il processo, non implica che vi sia un modello di partecipazione democratica limitato in partenza.

Nel caso di revisione di questa licenza è necessario che attraverso questo processo la nuova versione sia accolta dagli sviluppatori e dagli altri soggetti impegnati nella produzione e adozione di free software.

Quindi il processo è aperto perché necessita di raggiungere un certo grado di consenso.

Una licenza prodotta che incontri l’ostilità della maggior parte degli sviluppatori, non sarebbe adottata, e verrebbe svuotata di qualsiasi forma di “potere” o ruolo normativo reale.

Per fare un parallelo, in un processo per la costruzione di una legge di iniziativa popolare, o di un referendum, è necessario raggiungere una certa forma di consenso e garantirne la democraticità nella gestione dei processi decisionali poiché il consenso dovrà essere alla fine formalizzato attraverso l’apposizione delle firme necessarie per validare l’iniziativa.

Ritornando alla definizione di processo per la revisione della GPL3, incontriamo nel punto 1.4 l’affermazione degli intenti di una “consultazione della comunità”. l’intento dell’associazione è di avviare una discussione nella maniera più esaurente possibile con tutte le comunità e gli utenti impegnati nel processo di revisione attraverso un percorso di risoluzione dei problemi che implichi una valutazione approfondita di rischi e benefici.

Essendo un lavoro molto impegnativo, vasto e complesso, è prevista la formazione di “Comitati di Discussione”, che in realtà costituiscono una forma di democrazia non diretta, agendo in rappresentanza delle diverse tipologie di utenti e distributori.

Cercando di orientare i commenti e gli interventi secondo uno spirito costruttivo, ogni proposta di modifica e di risoluzione dei problemi richiede la necessaria descrizione dei rischi e benefici. La definizione specifica dei comitati di discussione avviene nel successivo punto 3.

Il tentativo che si cerca di fare, con la costituzione dei comitati di discussione,è di creare dei punti di concentrazione ed aggregazione dei temi e degli interessi. l’organizzazione del processo dialogico e democratico è demandata alla capacità dei comitati stessi di organizzarsi e di permettere l’inclusione di nuovi membri all’interno dei comitati. La fondazione promotrice (FSF) fornisce lo schema di lavoro di base dal quale partire.

I comitati svolgono anche un importante lavoro di razionalizzazione, catalogazione ed accorpamento dei commenti e dei problemi emersi.

Questo risulta molto utile in quanto diversi commenti e richieste di modifiche possono risultare simili tra loro oppure generare delle interdipendenze e dei conflitti.

In genere, i commenti, una volta identificati e catalogati, diventano a pieno titolo un tema a cui bisognerà trovare una soluzione.

Grande risalto è dato alla trasparenza dei processi di discussione, ad esempio é prevista la pubblicazione delle trascrizioni dei meeting internazionali faccia a faccia.

Dal punto di vista cronolgocio il processo è caratterizzato da alcune scadenze che portano alla pubblicazione di versioni ufficiali della bozza, accompagnate da una spiegazione 'razionalÈredatta dall’associazione riguardo le modifiche apportate al testo.

Tutti i temi che non hanno raggiunto una soluzione verranno rimandati alla fasi successive. Nell’ultima fase, per tutti i problemi a cui non si è riuscito a trovare una soluzione, verrà presa in ultima analisi una decisione da parte della fondazione promotrice dell’iniziativa, accompagnata da un commento esplicativo a supporto della soluzione. Naturalmente, anche nel prendere questa decisione il soggetto promotore dovrà tener conto degli sviluppi precedenti delle discussioni da parte della comunità.

Cercando di ottenere il consenso all’interno di un processo dialogico, anche quando non si giunge ad un accordo, diventa difficile che le decisioni possano essere prese in maniera totalmente arbitraria da parte del promotore, ma si cercherà di trovare un soluzione di bilanciamento rispetto a quanto emerso fino a quel momento.

Tutto il processo deve ricomporsi entro la data dell’ultima revisione, dopo la quale il testo viene promulgato.

Dal punto di vista degli strumenti informatici utilizzati, oltre al sistema di commento delle bozze del testo, viene utilizzato un wiki per la costruzione collaborativa della conoscenza a supporto del processo contenente diverse informazioni, il calendario di incontri e conferenze e una raccolta di domande ricorrenti (frequently asked question).

Inoltre è presente un sistema di tracciamento dei temi in modo da permettere ai proponenti di seguire gli sviluppi di una proposta inviata. I diversi comitati di discussione, a loro volta, possono usare strumenti di comunicazione mediata al computer sia sincroni che asincroni, come la mailing list, la chat o la videoconferenza, per poter organizzare il proprio lavoro. Il supporto legale alla produzione della licenza viene dato da esperti all’interno della associazione, ma naturalmente, a seconda del grado di esperienza, si possono avere anche contributi di tipo tecnico-legale apportati da altri esperti che partecipano al processo: pensiamo solo ai problemi di compatibilità del testo della licenza con la normativa degli ordinamenti nei diversi Paesi.

Quello che possiamo dire in conclusione è che sarebbe necessario uno studio specializzato sull’effettivo svolgimento di questo processo, dell’analisi dei meccanismi adottati sul campo nella risoluzione delle problematiche, delle metodiche con le quali si è raggiunto il consenso nelle varie occasioni, nello studio delle dinamiche di gruppo all’interno di questi spazi virtuali (fenomeni di in-group, out-group, conformismo, ruolo delle maggioranze e minoranze, nell’identificazione delle leadership carismatiche e di competenza), formazione di identità comuni e condivisione di universi simbolici, mediazioni di norme e definizione di ruoli. Tutti questi aspetti psicologico-sociali sono ancora poco studiati all’interno delle comunità pratiche, e più in particolare nelle comunità virtuali.

La piattaforma utilizzata dalla FSF, che implementa solo una ridotta funzionalità a supporto dei processi, ha quindi ancora molti margini di sviluppo, anche a livello ergonomico, per permettere la riduzione dei costi cognitivi nelle attività di interazione, di produzione e ricerca delle informazioni.

Per altri aspetti, sovraccaricando il sistema di strutture formalizzate, si rischierebbe di burocratizzare eccessivamente il processo codificandolo eccessivamente e togliendo ampi spazi alle potenzialità discrezionali del dialogo.

Ad esempio, un sistema di classificazione delle proposte, tramite ontologie e attività sociali di etichettatura o convalidazione sociale delle ontologie stesse, potrebbe ridurre lo sforzo cognitivo per reperire le informazione e navigare le varie proposte prima di votarle.

l’obiettivo è quello, in parte, di automatizzare e distribuire tra tutti i partecipanti parte del lavoro che viene ora centralizzato. Attualmente i volontari della FSF debbono controllare ogni modifica o commento apportato alle bozze, effettuare una valutazione di ogni commento, controllare se non sia già stato precedentemente classificato, eventualmente accorparlo o assegnargli lo status di nuova problematica.

Tutti i sistemi che puntano all’individuazione di schemi ontologici che permettano di creare inferenze semantiche per la classificazione e la navigazione dei contenuti si rivolgono sia al web che a tutti quei sistemi con una vasta produzione di informazioni non strutturate.

Le ricerche in questo campo spesso si riferiscono al così detto “web semantico”.

La possibilità di negoziare socialmente ontologie, è una delle prospettive più interessanti da studiare e sperimentare, in una ricerca ibrida di strumenti, sia inferenziali, di trattamento automatico del linguaggio, sia di costruzione e validazione sociale di questi schemi classificatori.

Validazione degli strumenti di democrazia diretta.

Vediamo ora di trattare la fase di validazione per le iniziative di democrazia diretta sviluppate con il supporto di strumenti ICT.

Abbiamo visto che la conoscenza di base a supporto di una comunità di pratica può essere strutturata all’interno di un Wiki, mentre i canali di discussione possono essere gestiti attraverso forum, mailing list, chat, teleconferenze ed incontri faccia a faccia. In relazione alla metodologia di lavoro e all’insieme delle norme condivise dalla comunità pratica, andranno sviluppati e modificati gli strumenti che riducono il più possibile l’impegno cognitivo nella gestione dei flussi e della reperibilità delle informazioni, per permettere ai membri di concentrarsi sul processo di negoziazione delle rappresentazioni.

Riprendiamo quindi l’esempio dell’iniziativa per una legge popolare che introduca la banda larga nel servizio universale. Consideriamo ad esempio che un’associazione come Antidigitaldivide6 si assuma l’impegno dello sforzo di start-up dell’iniziativa e quindi predisponga la piattaforma dei servizi e degli spazi sul web, definisca una metodologia di lavoro e un insieme di regole condivise e democratiche per lo svolgimento dei lavori e si assuma, almeno inizialmente, il ruolo di moderare e amministrare il processo, oltre a fornire un supporto legale alla stesura del testo. Attraverso la strutturazione di commissioni di valutazione delle proposte, le varie fasi di revisione delle bozze, l’eventuale votazione degli emendamenti, si arriva, infine, alla redazione finale del testo strutturato in articoli.

A questo punto in Italia è necessario validare formalmente la proposta con la raccolta di 50.000 firme autenticate (art.71 Cost.) per presentarla in Parlamento.

Se la proposta fosse stata di ambito regionale, provinciale o cittadino, il numero di firme sarebbe cambiato in base ai singoli statuti delle istituzioni locali.

Abbiamo visto che organizzare a livello logistico sul territorio la raccolta di firme autenticate è alquanto dispendioso in termini di risorse.

La soluzione quindi, sarebbe quella di procedere alla raccolta attraverso l’apposizione della firma digitale direttamente online, unita eventualmente alla possibilità di raccolta ed autentica tradizionale, per permettere a chi non utilizza la rete di sottoscrivere l’iniziativa.

Purtroppo, almeno in Italia, questo procedimento non è possibile, anche se la firma digitale è già regolamentata a livello legislativo dove è equiparata alla firma autografa su carta. A parte il meccanismo un pò farraginoso per ottenere una firma digitale attraverso i soggetti certificatori, il vero problema è che non è previsto ne il deposito della proposta in Parlamento attraverso internet, ne l’apposizione della firma digitale per validare proposte di legge, referendum e liste elettorali per via telematica.

Andrebbe fatto uno sforzo preliminare, quindi, per procedere online alla realizzazione di un’altra proposta di legge di iniziativa popolare, che permetta di superare questi due problemi e procedere, per l’ultima volta, a una vasta raccolta tradizionale di firme autenticate sul territorio.

Principali limiti dell’estensione degli strumenti democratici diretti.

Nonostante il supporto degli strumenti ICT possa, per molti aspetti, semplificare l’effettivo esercizio degli istituti di democrazia diretta già presenti nell’ordinamento, ci sono alcuni problemi di varia natura che ne limitano sia l’utilizzo che gli effetti.

Parleremo in particolare del caso italiano, ma l’analisi può essere adattata ai contesti normativi di altre Nazioni.

Se prendiamo per esempio la legge di iniziativa popolare, anche riuscendo a costruire un testo largamente condiviso tramite l’interazione mediata al computer e a raccogliere le firme digitali necessarie, non è legalmente garantita l’approvazione della proposta. Dovrà affrontare l’iter parlamentare con possibilità di arenarsi, essere respinta o magari pesantemente snaturata dagli emendamenti. l’iter della legge è comunque trasparente ed accessibile telematicamente attraverso i siti dei due rami del Parlamento.

Per poter evitare eventuali comportamenti elusivi dei rappresentanti politici si potrebbe evidenziare la loro responsabilità politica attraverso i dati estratti dai siti istituzionali.

Nello spazio web, dove si è organizzata la produzione della proposta legislativa, alcuni membri della comunità potrebbero inserire una serie di informazioni attraverso i sistemi di feed rss delle notizie, mailing list, annunci sul forum, calendari degli eventi etc. Verrebbero così evidenziati i voti in commissione, i firmatari ed i voti degli emendamenti, insieme ai voti definitivi dei singoli deputati e senatori sulla proposta.

La serie di informazioni generata alla fine dell’iter parlamentare, andrebbe riorganizzata ed aggregata (anche attraverso procedure automatizzate) in modo da supportare il cittadino durante le elezioni permettendogli di conoscere rapidamente le votazioni espresse sulle leggi di iniziativa popolare, sia per partito che per singolo candidato.

Attraverso la “tracciabilità” delle scelte politiche sarebbe possibile anche rafforzare gli strumenti democratici.

Portando avanti una proposta di legge di iniziativa popolare che modifichi le leggi che regolamentano gli istituti di democrazia diretta, sarebbe possibile, anche a livello legale, limitare il potere discrezionale delle rappresentanze politiche attraverso l’organizzazione di iniziative dal basso.

Basterebbe far arrivare questa prima iniziativa in Parlamento, monitorando e rendendo evidenti le responsabilità politiche, poiché, una volta approvata, si avrebbe una maggior forza normativa degli istituti democratici diretti.

Un discorso diverso deve essere fatto per gli strumenti come il referendum per il quale, una volta redatta la proposta, non deve essere discussa ed approvata in Parlamento ma deve essere votata dai cittadini.

Utilizzare in questo caso la firma digitale, la redazione e il coordinamento della proposta dei cittadini attraverso il supporto degli strumenti ICT apporterebbe vantaggi parziali senza ricorrere al voto elettronico.

Essendo necessario un notevole sforzo logistico ed economico per organizzare una votazione tradizionale, tutti i vantaggi dell’organizzazione asincrona andrebbero persi in questo passaggio.

Rimane difficile aspettarsi che l’adeguamento della legislazione sulla firma elettronica possa essere realizzato dalle stesse rappresentanze politiche.

Alcuni dei principali tentativi in Italia di portare la firma digitale all’interno degli istituti democratici diretti si sono arenati in Parlamento.

La sesta delle venticinque proposte di legge di iniziativa parlamentare promosse dai Radicali, presentate alla Corte di Cassazione nel 2001 diventato poi atto del Senato n. 16207 nel Luglio 2002 risulta ferma in Commissione Affari Costituzionali dal Marzo 2004.

Questa proposta di legge prevede l’introduzione della firma elettronica per i referendum, leggi di iniziativa popolare e sottoscrizione delle liste delle candidature. Nel primo articolo troviamo anche l’introduzione del voto elettronico sia per i referendum che per le elezioni europee, politiche ed amministrative.

La parte più interessante riguarda forse la completa informatizzazione della procedura per la presentazione sia delle liste che delle proposte sottoscritte fino alla deposizione presso l’istituzione competente, prevedendo la possibilità di integrazione delle firme cartacee con quelle digitali.

Un limite della proposta è il contenere al suo interno sia la firma digitale che il delicato tema del voto elettronico.

Mentre la firma digitale è attualmente regolamentata nell’ordinamento italiano ed ha valore giuridico, il voto elettronico pone del problemi tecnici che, sebbene superabili, non sono di semplici soluzione. Racchiudere in un unica legge delega entrambe le proposte ne rende sicuramente difficile l’approvazione.

Un’altra proposta di legge è l’atto della Camera n. 52288 dell’agosto 2004 di iniziativa parlamentare dell’On. Beatrice Magnolfi riguardante la “Disciplina della sottoscrizione dei referendum popolari anche a mezzo di firma digitale” ferma dal 2004, in attesa di discussione, alla Commissione Affari Costituzionali. Nonostante questa proposta, non includendo il voto elettronico, sia di semplice approvazione, risulta limitata nell’obiettivo di regolamentare l’istituto del referendum.

Come abbiamo visto prima, essendo un processo che richiede l’intervento dei cittadini in due fasi, richiederebbe anche in questo caso l’introduzione del voto elettronico. Informatizzando la fase di creazione e sottoscrizione della proposta si avrebbe comunque l’opportunità di utilizzare lo strumento come “arma di contenimento” nei confronti delle rappresentanze politiche poiché, una volta creata la proposta on-line e raccolte le necessarie firme digitali, l’unico modo per evitarne la votazione è di modificare la legislazione oggetto del quesito. Anche adottando quest'ultima soluzione il social network che ha prodotto e promosso l’iniziativa referendaria dovrebbe rendere chiare la responsabilità politiche, sia dei singoli rappresentanti che dei partiti, utilizzando gli stessi spazi in rete sui quali si è lavorato alla costruzione della proposta evitando in questo modo che qualsiasi iniziativa dei rappresentanti, volta ad eludere il voto referendario, possa rimanere con un vuoto di responsabilità politica.

Strumenti democratici diretti ed Enti locali

Strumenti di democrazia diretta sono presenti anche all’interno dei vari statuti delle Regioni, Province e Comuni quindi il discorso fatto finora rimane valido a qualsiasi livello dell’apparato amministrativo.

Solo per fare un esempio nello Statuo della Provincia di Roma, nel capitolo III sono previste istanze, petizioni e proposte mentre nel IV capitolo troviamo i referendum propositivi e abrogativi di iniziativa popolare.

l’ostacolo principale, anche a livello locale, nell’utilizzo di questi istituti, rimane sempre il grosso sforzo logistico ed organizzativo che il gruppo promotore dell’iniziativa deve sostenere per formare quel social network di sviluppo della proposta e della ricerca delle adesioni all’iniziativa attraverso la raccolta firme.

l’utilizzo di strumenti ICT a supporto della rete sociale può rendere semplici i processi di costruzione delle iniziative e della raccolta delle adesioni anche in ambito locale dove le barriere geografiche risultano in stretto rapporto alle dimensioni territoriali dell’Amministrazione stessa ma la necessità di sincronizzazione richiesta nell’interazione faccia a faccia può rimanere una costante anche in centri di piccole e medie dimensioni.

Un approccio timido all’ICT.

Nell’impossibilità legislativa attuale, per le iniziative di democrazia diretta di svolgere l’intero processo tramite l’utilizzo di strumenti dell’ICT, il web è stato usato come spazio informativo centralizzato dai comitati promotori.

In particolare si fa riferimento a due progetti di legge di iniziativa popolare come “l’acqua come bene comune”9 del forum italiano dei movimenti per l’acqua e la legge di iniziativa popolare “per una buona scuola”10.

Entrambe le iniziative sono state sviluppate attraverso il lavoro di organizzazione e redazione di diversi comitati e associazioni ma non hanno direttamente usufruito ne sono stati messi a disposizione strumenti on-line a supporto della rete sociale di interessi che si è creata intorno alle iniziative. Lo spazio web, quindi viene utilizzato come strumento rapido e centralizzato di comunicazione di notizie e di iniziative legate alle proposte senza prevedere al suo interno strumenti di discussione e collaborazione.

Diciamo quindi che gli spazi online, almeno quelli centralizzati, sono stati utilizzati in maniera molto limitata rappresentando di fatto la fonte ufficiale d'informazione per i due progetti. Solo per il progetto di legge sull’acqua è presente sul sito la possibilità di effettuare donazioni per l’organizzazione della raccolta firme attraverso gli strumenti di pagamento elettronico.

Comunque, entrambe le iniziative hanno raccolto, attraverso l’organizzazione sul territorio, più delle 50.000 firme necessarie per la presentazione in Parlamento.

Quella sulla scuola è diventato l’atto parlamentare N. 1600 del 4 Agosto 2006 fermo da ottobre nella commissione Cultura mentre l’iniziativa sull’acqua ha già raccolto oltre 100.000 firme cercando ancora di aumentare il numero delle adesioni con ulteriori iniziative su base territoriale.

Avendo a disposizione la possibilità di firmare digitalmente la sottoscrizione sarebbe stato molto più semplice per queste due iniziative portare avanti la raccolta delle stesse.

Bisogna anche dire però che gli strumenti a supporto dell’interazione online sono assenti in entrambi i progetti anche a causa di un modello che non ha previsto la costituzione di una rete sociale on-line all’interno del processo di costruzione delle proposte preferendo interagire attraverso i canali delle reti associative presenti nei territori. Non sono presenti quindi ne strumenti semplici di discussione on line come il forum, la chat o la maling list, ne strumenti avanzati come applicativi Wiki per la redazione collaborativa dei testi o piattaforme del cosiddetto Web 2.0 per la partecipazione online.