Ecce Homo/d) Aurora. Pensieri sulla morale come pregiudizio

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d) Aurora. Pensieri sulla morale come pregiudizio

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Friedrich Nietzsche - Ecce Homo (1888)
Traduzione dal tedesco di Aldo Oberdorfer (1922)
d) Aurora. Pensieri sulla morale come pregiudizio
c) Umano, troppo umano e) La gaia scienza
[p. 88 modifica]

d) Aurora.

Pensieri sulla morale come pregiudizio.



1.


Con questo libro comincia la mia campagna contro la morale. Non che esso abbia il menomo odor di polvere: vi si sentiranno tutt’altri odori, molto più gradevoli, pur che si abbia il naso un po’ fine. Artiglierie di nessun genere, nè piccole nè grandi: se l’effetto del libro è negativo, i suoi mezzi non lo sono punto; sono mezzi a cui l’effetto segue come una conseguenza logica, non come un colpo di cannone. Il fatto che si smetta la lettura del libro con una diffidenza ombrosa contro tutto ciò che finora fu onorato e a dirittura adorato sotto il nome di «Morale» non è in contraddizione con la mancanza assoluta che c’è, in tutta l’opera, di negazioni, di assalti, di malignità; chè anzi esso si stende al sole rotondetto, felice, come un animale marino che si riscalda al sole, fra le rocce. In fondo, questo animale marino ero io: quasi ogni frase di questo libro è stata pensata, è stata colta mentre guizzava via in mezzo a quel caos di scogli, vicino a Genova, dov’ero solo e avevo ancora dei segreti comuni col mare. Oggi ancora, se per caso mi càpita in mano questo libro, quasi ogni sua frase mi diventa un filo che mi guida a scavar fuori dalle profondità più recondite qualche cosa d’incomparabile; tutta la sua pelle trema per la dolcezza del ricordo.

Non è piccola l’arte ch’esso contiene, arte di soffermare appena [p. 89 modifica]cose che filano via leggere e senza rumore, attimi ch’io chiamo divine lucertole: e fermarle non con la crudeltà di quel giovane dio greco che, semplicemente, trafiggeva le povere lucertolette, ma tuttavia, sempre con qualche cosa di acuto: con la penna..... «Ci sono tante aurore che non hanno ancora splenduto»; questa scritta indiana sta sulla soglia del libro. Dove cerca il suo autore quel nuovo mattino, quel rosso tenero non ancora scoperto, con cui comincia ancora il nuovo giorno, ah! tutta una serie, tutto un mondo di giorni nuovi? In una inversione di tutti i valori, in una liberazione da tutti i valori morali, in un affermare e confidare in tutto ciò che fino allora è stato proibito, sprezzato, maledetto. Questo libro, tutto d’affermazione, spande la sua luce, il suo amore, la sua tenerezza su cose affatto cattive, rende loro «l’anima», la buona coscienza: l’alto diritto e il privilegio di vivere. La morale non è combattuta semplicemente, non è più considerata..... Questo libro finisce con un «Oppure?»; è l’unico libro che finisca con un «Oppure?».....


2.

Il mio còmpito di preparare all’umanità un attimo di ritorno alla coscienza di sè stessa, un grande meriggio, in cui essa possa riguardare indietro e lungi da sè, in cui si sottragga al dominio del caso e dei preti e per la prima volta si ponga, nel suo insieme, il problema del «Perchè?», del «A che scopo?»; questo còmpito è una conseguenza necessaria della convinzione che l’umanità non va da sè per la via migliore, non è affatto governata dalla provvidenza divina, ma che, al contrario, proprio sotto i suoi più sacri concetti di valore s’è nascosto ed ha imperato l’istinto della negazione, l’istinto della corruzione, l’istinto di decadenza.

La questione dell’origine dei valori morali è, dunque, per me, una questione di primo ordine, perchè da essa dipende l’avvenire dell’umanità. L’obbligo di credere che, in fondo, tutto è nelle [p. 90 modifica]migliori mani, che un libro, la Bibbia, possa dare un’assicurazione definitiva sulla guida divina e sulla sua sapienza nel reggere i destini dell’umanità, tradotto nel linguaggio della realtà significa la volontà di non lasciar venire a galla la verità che dimostrerebbe proprio il contrario; cioè, che l’umanità finora è stata nelle peggiori mani, ch’essa finora è stata governata da gente venuta chi sa da dove, da astuti avidi di vendetta, dai cosidetti «santi», calunniatori del mondo e violatori dell’umanità. Ciò che dimostra decisamente che il prete — compresi i preti dissimulati, i filosofi — è diventato Signore non in una determinata comunità religiosa ma in generale, e che la morale decadente, la volontà della fine, fu considerata come la morale per eccellenza, è il valore assoluto che si dà dappertutto all’atto non egoistico e l’ostilità con cui si considera l’atto egoistico. Chi dissente da me su questo punto, lo considero come infetto. Ma tutto il mondo dissente da me.....

Per il fisiologo, un tale contrasto di valori non lascia luogo a dubbi. Se in un organismo un organo cessa, anche in misura minima, di badare con perfetta sicurezza alla conservazione di sè stesso, al ricupero delle forze, al suo «egoismo», subentra una degenerazione del tutto insieme. Il fisiologo esige l’amputazione della parte malata ed è ben lontano dal sentirne pietà. Ma il prete vuole proprio la degenerazione dell’insieme, dell’Umanità: perciò conserva la parte malata, e a questo prezzo la domina..... Che significato hanno quei concetti bugiardi, quei concetti ausiliari della morale, come «anima», «spirito», «libero arbitrio», «dio», se non quello di rovinare fisiologicamente l’umanità? Se si toglie serietà alla conservazione di sè stessi, all’aumento di forza corporale, cioè vitale, se della clorosi si fa un Ideale, del disprezzo del corpo «la salute dell’anima», che cosa si fa se non preparare una ricetta per la decadenza? La perdita dell’equilibrio, l’opposizione agli istinti naturali, in una parola la «trascuranza di sè stessi», questo finora s’è chiamato Morale..... Con «Aurora» incominciai la lotta contro la morale della rinuncia a sè stessi.