Edipo Coloneo (Sofocle - Giusti)/Atto quarto/Scena VI
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SCENA VI.
TESEO e detti.
teseo.
Quai grida? e donde mai? Forse da voi,
O da questo vostr’ospite? Scoppiò
Il fulmine di Giove; o la sonora
Grandine rovinò? Certo son queste
Opre del Dio che alle procelle impera.
edipo.
O sospirato Re, venisti alfine;
Propizio un Dio ti scorse.
teseo.
E che ti avvenne,
Edipo?
edipo.
Il termin di mia vita è giunto.
E, prima di morir, vo’ meritarti
Di quanto a te promisi e alla cittade.
teseo.
Quai presagi ài di morte?
edipo.
I Dei veraci
Indizio certo me ne diero.
teseo.
Quale?
edipo.
E folgori e saette da sicura
Destra vibrate.
teseo.
Ed io tel credo, Edipo.
Mai non mentiro i vaticinj tuoi.
Or, dinne, in che giovar ti posso?
edipo.
Ascolta:
Cosa dirò che far potrà felice
La tua città per sempre. Al sacro loco,
Dove a morir mi chiama il fato, io stesso
Senza guida n’andrò. Tu taci a tutti
Il mio sepolcro, e a tutti il cela; e sappi
Che a te quel loco assai pavesi ed aste
Varrà contro i vicini, ove sien osi
Temerarj assalir questa tua terra.
Ciò poi ch’è sacro, e non si può ridire,
Quando soli saremo, a te fia noto.
Nè tu a verun de’ cittadini, o a queste
Mie figlie lo dirai, che pur mi sono
Tanto care. Sia chiuso entro il tuo petto
L’alto segreto; e, quando il fine arrivi
Della tua vita, al successor lo svela,
E questi all’altro il fidi, e l’altro all’altro
Pur sempre. Così fia che contr’all’armi
Di Tebe questo suol tu renda invitto.
Popoli molti, ancor che li governi
Provvida legge, a mal oprar sovente
Son tratti; e, benchè tardi, i giusti Numi
Castigano colui che le divine
Cose poste in oblio, stolto imperversa.
A te così non avverrà; nè vuolsi
Insegnare a chi sa. — Dunque si vada,
Che d’un Dio la presenza a gir m’affretta;
Vadasi, e indietro più non torni il passo.
Seguitemi, o figliuole. Io sono adesso
Vostro duce, qual voi lo foste al padre.
Meco movete, e niun toccarmi ardisca;
E a me la cura di trovar si lassi
La sacra tomba, ove prescrisse il fato
Che me spento coprir debba la terra.
Ver me venite, che da questa parte
La via mi segna il guidator Mercurio,
E la Dea dell’Inferno — oh! sospirata
Luce, che mia pur fosti un tempo, ed ora
Sei spenta in queste misere pupille,
Deh! tu rischiara per l'ultima volta
La mortale mia spoglia! Ecco già movo
A celar dentro dal profondo abisso
L’estremo della vita. — E tu fra tutti
Gli ospiti caro, e tu, cortese Atene,
E, voi di Atene abitatori, oh! siate
Fortunati voi sempre, e nella vostra
Fortuna rammentate il morto Edipo.
coro.
Strofe.
Se a me non è vietato
Venerar colle preci
Te, Diva tenebrosa,
E te, Edonèo dell’ombre Imperadore,
Te supplico, Edonèo, con lamentosa
Voce per questo vecchio sventurato;
Onde senza dolore
Scenda agli Stigj porti
E all’ime occulte regìon de’ morti.
A te innocente e misero
Sommerso nella piena
Delle infinite tue calamità;
A te gli Iddii concedano
Per la sofferta pena
Compenso di maggior felicità.
Antistrofe.
E, voi tremende Eumenidi,
E, tu vigile Cerbero,
Che, quale il grido suona,
Siedi sulle polite
Soglie, e dai ciechi ed atri
Spechi d’Averno orrendamente latri:
O tu dell’Orco custode indomabile,
Dell'ampia terra e del Tartaro figlio,
Le preci accogli, e la nostra pietà;
E fatti incontro piacevole e tacito
A questo vecchio, che all’ultimo esiglio
Fra brevi istanti discender dovrà.