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Edipo Coloneo (Sofocle - Giusti)/Atto quarto/Scena VI

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Atto quarto, scena VI

../Scena V ../../Atto quinto/Scena I IncludiIntestazione 11 aprile 2022 100% Teatro

Sofocle - Edipo Coloneo (406 a.C.)
Traduzione dal greco di Giovanni Battista Giusti (1819)
Atto quarto, scena VI
Atto quarto - Scena V Atto quinto - Scena I

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SCENA VI.


TESEO e detti.

teseo.

Quai grida? e donde mai? Forse da voi,
O da questo vostr’ospite? Scoppiò

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Il fulmine di Giove; o la sonora
Grandine rovinò? Certo son queste
Opre del Dio che alle procelle impera.
edipo.
O sospirato Re, venisti alfine;
Propizio un Dio ti scorse.
teseo.
E che ti avvenne,
Edipo?
edipo.
Il termin di mia vita è giunto.
E, prima di morir, vo’ meritarti
Di quanto a te promisi e alla cittade.
teseo.
Quai presagi ài di morte?
edipo.
I Dei veraci
Indizio certo me ne diero.
teseo.
Quale?

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edipo.
E folgori e saette da sicura
Destra vibrate.
teseo.
Ed io tel credo, Edipo.
Mai non mentiro i vaticinj tuoi.
Or, dinne, in che giovar ti posso?
edipo.
Ascolta:
Cosa dirò che far potrà felice
La tua città per sempre. Al sacro loco,
Dove a morir mi chiama il fato, io stesso
Senza guida n’andrò. Tu taci a tutti
Il mio sepolcro, e a tutti il cela; e sappi
Che a te quel loco assai pavesi ed aste
Varrà contro i vicini, ove sien osi
Temerarj assalir questa tua terra.
Ciò poi ch’è sacro, e non si può ridire,
Quando soli saremo, a te fia noto.
Nè tu a verun de’ cittadini, o a queste

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Mie figlie lo dirai, che pur mi sono
Tanto care. Sia chiuso entro il tuo petto
L’alto segreto; e, quando il fine arrivi
Della tua vita, al successor lo svela,
E questi all’altro il fidi, e l’altro all’altro
Pur sempre. Così fia che contr’all’armi
Di Tebe questo suol tu renda invitto.
Popoli molti, ancor che li governi
Provvida legge, a mal oprar sovente
Son tratti; e, benchè tardi, i giusti Numi
Castigano colui che le divine
Cose poste in oblio, stolto imperversa.
A te così non avverrà; nè vuolsi
Insegnare a chi sa. — Dunque si vada,
Che d’un Dio la presenza a gir m’affretta;
Vadasi, e indietro più non torni il passo.
Seguitemi, o figliuole. Io sono adesso
Vostro duce, qual voi lo foste al padre.
Meco movete, e niun toccarmi ardisca;
E a me la cura di trovar si lassi

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La sacra tomba, ove prescrisse il fato
Che me spento coprir debba la terra.
Ver me venite, che da questa parte
La via mi segna il guidator Mercurio,
E la Dea dell’Inferno — oh! sospirata
Luce, che mia pur fosti un tempo, ed ora
Sei spenta in queste misere pupille,
Deh! tu rischiara per l'ultima volta
La mortale mia spoglia! Ecco già movo
A celar dentro dal profondo abisso
L’estremo della vita. — E tu fra tutti
Gli ospiti caro, e tu, cortese Atene,
E, voi di Atene abitatori, oh! siate
Fortunati voi sempre, e nella vostra
Fortuna rammentate il morto Edipo.

coro.
Strofe.

Se a me non è vietato
     Venerar colle preci

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     Te, Diva tenebrosa,
     E te, Edonèo dell’ombre Imperadore,
     Te supplico, Edonèo, con lamentosa
     Voce per questo vecchio sventurato;
     Onde senza dolore
     Scenda agli Stigj porti
     E all’ime occulte regìon de’ morti.
          A te innocente e misero
               Sommerso nella piena
               Delle infinite tue calamità;
          A te gli Iddii concedano
               Per la sofferta pena
               Compenso di maggior felicità.
Antistrofe.
E, voi tremende Eumenidi,
     E, tu vigile Cerbero,
     Che, quale il grido suona,
     Siedi sulle polite

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     Soglie, e dai ciechi ed atri
     Spechi d’Averno orrendamente latri:
O tu dell’Orco custode indomabile,
     Dell'ampia terra e del Tartaro figlio,
     Le preci accogli, e la nostra pietà;
E fatti incontro piacevole e tacito
     A questo vecchio, che all’ultimo esiglio
     Fra brevi istanti discender dovrà.