Elegie romane/II/Il vóto
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IL VOTO
Discendevamo il colle, la sera d’aprile occupando
2i colonnesi boschi umida argentea
mentre ne l’ombra cantavano già gli usignuoli,
4noti aulivano fiori anche invisibili.
Ella era muta; muto io era. Breve intervallo
6era tra noi, tra i nostri deboli corpi: breve;
ma non quel colle, ma non quel lago, ma non il lontano
8mare, ma non la sera fulgida aveva abissi
tanto profondi quanto l’abisso che muto tra noi
10era... Oh discesa lenta per l’infinito clivo
mentre ne l’ombra cantavano già gli usignuoli,
12noti aulivano fiori anche invisibili!
Candido arrise il cielo. Recò nel sovrano candore
14suon di campane l’Ave, giù da Castel Gandolfo.
Ci soffermammo. Ed ella (il suo lieve gesto mi pesa
16ne la memoria) da la fronte dolente al petto
stanco segnò la croce: — indizi d’interna preghiera
18a la sua bocca pallida salirono.
Quale fu il vóto? Invase pur me, in quel lume, un fervore
20sùbito; e pur fervido sorse il mio vóto al cielo.
— Ave, Maria. Voi fate, o Madre misericorde,
22ch’ella non m’ami! Fate ch’ella non m’ami, o ch’ella
muoia! Togliete il truce amore a l’anima sua,
24misericorde Madre, e a me il supplizio!