Elegie romane/II/Villa Chigi

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II - Il viadotto II - Il vóto
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VILLA CHIGI

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I.



Sempre nelli occhi, sempre, avrò quella vista. Oh silente
     2pallida ignuda selva, non obliata mai!

Noi discendemmo piano, seguendo il famiglio, una scala
     4umida, angusta, dove l'ombra parea di gelo.

Ella era innanzi. A tratti, sostava. Mal certa su i gradi
     6ripidi, contro il muro ella tenea la mano.

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Io la guardai. La mano bianchissima parvemi esangue,
     8parvemi cosa morta. Morta la cara mano

che tanti al capo sogni di gloria mi cinse, che tanti
     10sparsemi di dolcezza brividi ne le vene!

Soli restammo. Un fonte gemea roco a piè d’una loggia:
     12alto salìa l’antico feudo chigiano al cielo.

Erano sparsi fumi pe 'l ciel come candidi velli.
     14Entro correavi un riso tenue d’oro; e i nudi

vertici de la selva parean vaporare in quell’oro;
     16eran le felci al sommo èsili fiamme d’oro.

Ella tacea, guardando. Ma, tutta nelli occhi, la grave
     18anima dolorosa queste dicea parole.

— Dunque nell’alta selva, che udisti cantar su ’l mio capo,
     20seppellirai tu, senza pianto, il tuo grande amore?

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Intenderò io dunque nel dolce silenzio, che amammo,
     22la verità crudele? Dunque per questo, o amico

unico mio, per questo m'hai tu ricondotta ne' cari
     24luoghi ove un giorno io parvi schiuder la primavera? —

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II.



Oh primavera, tutta la selva correano ì tuoi spirti,
26tutta prendean l’inerte selva da le radici,

occultamente: rari aneliti uscieno; talvolta
28era come un ansare languido, oh primavera!

Ella tacea, guardando. Udiva io l’interna sua voce;
30ma non risposi. Io tacqui. Io non risposi mai.

Vano ogni sforzo. Un freddo suggel mi chiudeva la bocca;
32torbido, invincibile, contro di lei, da l’ime

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viscere mi sorgeva non so quale odio; moriva
     34ogni pietà di lei nel saziato cuore.

Muti, così, vagammo: così, l’uno a fianco dell’altra,
     36simili ad ombre erranti sotto un fatal castigo.

Era la carne stanca; le pàlpebre erano gravi;
     38era nelli occhi quasi una caligine.

Tutta la notte, ahi, lunga! (parea che non fosse mai l’alba ),
     40io con ardor, con ira folle cercato avea

di ravvivar la fiamma ne’ corpi commisti, ne’ baci.
     42Ella non più beveva l’anima mia ne’ baci.

Ella bevea soltanto le lacrime sue ne’ miei baci.
     44Lacrime di quelli occhi, pur vi sentii su ’l cuore

ardermi fra’l disgusto che a flutti salìa dal profondo,
     46lacrime di que’ dolci occhi ove il cielo io vidi!

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III.



Or non vedeva il cielo nelli occhi di lei; ma dolore.
     48Ella tacea pur sempre, pallida più del cielo.

Tutte le forme alli occhi miei lassi apparian dubitose.
     50inesistenti, come forme di sogni, strane.

Alberi strani, in torno, balzavan da terra a ghermire
     52con mostruose braccia la delicata nube.

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Snella fuggla la nube l’abbraccio terribile, dando
     54al ghermitor selvaggio labili veli d’oro.

Folti per ogni parte i muschi crescean nella grave
     56umidità. Le querci erano di velluto.

Tutti copriva i tronchi quel fresco velluto opulento;
     58tutte le pietre in torno erano di velluto.

Oh meraviglia! Un tempo mi parve il mirabile ammanto
     60opra di carmi, ed ella spargere tal mistero.

Dubio, da un ciel di perla, guardava il sole tra i rami;
     62ella ridea con occhi limpidi all’Adorato.

Mi vacillava il cuore: — La luce che illumina il bosco,
     64misteriosa, piove dalli occhi suoi? dal sole? —

Come nell’alba prima la luna d’agosto mancando,
     66pallida, effonde un riso che non fu mai più lene:

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tremano in ciel due vaghi miracoli; un sogno la terra
     68ultimo esala, incerta nello spirtale albore:

ella così mi parve. Contorte al suo piè le radici
     70eran di serpi un gregge obediente a lei.

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IV.


Or chi guidava il nostro cammino? Forse un ricordo?
     72E perchè mai varcammo la sconsolata altura?

Era per quell’altura (udiva io salendo alenare
     74la taciturna) un bosco ceduo. Tutti, ignudi,

grigi, sottili, i fusti sorgevano in una eguaglianza,
     76come di lance schiera ordinata in campo;

o non più tosto, anima mia, come un lungo solenne
     78ordine di cèrei spenti ne l’aer muto?

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Parvero a lei, per certo, così mentre ella passava.
     80Ella pensò la morte. Lessi nel suo pallore,

— Tu mi vedrai morire. Vuoi tu, vuoi tu dunque ch’io muoia? —
     82lessi nelli occhi. — Pure, io non ti feci male.

Pure, io non altro feci che amarti, che amarti; non altro
     84feci che amarti sempre! Io non ti feci male. —

Vano ogni sforzo. Un freddo suggel mi chiudeva la bocca.
     86Un maleficio occulto dentro m’avea gelato.

Ma trasalimmo entrambi, sostando: un tronco abbattuto
     88attraversava il passo. Muti, sedemmo quivi.

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V.


Sempre nelli occhi, sempre, avrò quella vista. Oh silente
     90pallida ignuda selva non obliata mai!

Erasi chiuso il cielo. Qualche alito, raro, destava
     92per le caduche cime quasi un brivido.

Cumuli di carbone qua e là nelli spiazzi, come alti
     94roghi ove già fossero cenere i cadaveri,

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lenti fumigavano. Salivan nell’aria le spire
     96lente ondeggiando; lente dileguavano;

e su ’l composto suolo di foglie morte, su quella
     98tomba d’autunni, l’ombre camminavano.

Cenere, fumo ed ombra parean quivi segnar la gran legge.
     100— Devono, come i corpi, come le foglie, come

tutto, le pure cose dell’anima sfarsi, marcire;
     102devono i sogni sciogliersi in putredine.

Devi tu, uomo, sempre, di ciò che ti diede l’ebrezza
     104assaporare torpido la nausea.

Nulla dal fato è immune. Nel corpo e nell’anima, tutto
     106tutto, morendo, devesi corrompere. —

Or chi di noi soffriva più forte? Ella, ella mi amava;
     108vivere al men sentiva, d’una tremenda vita,

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entro il cuor suo la fiamma: la fiamma anche pura e raggiante!
     110Io non l’amava. Il cuore gonfio parea d’un tetro

lezzo; non altro senso avea che d’un tedio infinito
     112l’anima ottusa. Oh come, donna, t’invidiai!

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VI.



Ma trasalimmo entrambi, udendo sonare una scure.
     114Colpi iterati, sùbito, echeggiarono.

Aspra nel gran silenzio ferìa l’invisibile scure:
     116non il ferito tronco udíasi gemere.

Ella, ella, a un tratto, come ferita, ruppe in singhiozzi;
     118ruppe ella in disperate lacrime; ed io la vidi

nel mio pensiero, quasi nel guizzo d’un lampo, io la vidi
     120ùmile sanguinare, ùmile boccheggiare,

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stesa tra ’l sangue, e alzare le supplici mani dal rosso
     122lago; e dicea con gli occhi: — Io non ti feci male. —

Oh moribonda anima! Le stetti da presso impietrito.
     124Anche una volta bere le sue lacrime

io non poteva? Al meno sfiorarle i capelli una volta
     126io non poteva? Al meno, prenderle i polsi; il viso

bianco scoprirle, il giglio divino imperlato di pianto:
     128chiederle almen con voce dolce: — Perchè piangete? —

Ella piangea. Di lunge, i colpi echeggiavano; gli alti
     130roghi, d’in torno, lenti fumigavano.