Epigrammi (Alfieri, 1903)/XXXIX. Che pretende il Pretendente

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XXXIX. Che pretende il Pretendente

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XXXIX. Che pretende il Pretendente
XXXVIII. Ce grand procès, à mon avis XL. Il bestemmiar gli Angeli, i Santi e Dio

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XXXIX.

6 aprile 1786.

Che pretende il Pretendente?
Dei Britanni essere il re:
Ed io credo fermamente
Che da scettro cosa egli è.
Portò l’armi entro il bel regno,
Da cui l’avo suo fuggì;
E di gran valor diè segno,
Ch’ei non vinse, e non morì.
E diceva il suo stendardo
Per spiegar suo grande ardir:
Questi è il fior d’ogni gagliardo;
Qui vuol vincere, o morir.

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Poi di Senna ai lidi venne
Stoltamente a dimostrar,
Ch’è un volar senza le penne
L’esser re senza regnar:
Che il suo amico il Cristianissimo
In soccorso alfin gli dà
Un nodetto soavissimo,
Che prigion per poco il fa.
Quindi il resto di sua vita
Di ben sempre in meglio andò.
Alleanza non tradita
Con la botte egli firmò.
Fu la botte la sua stanza,
Il suo trono, il suo piacer:
Furo accidia ed ignoranza
I suoi primi consiglier.
Prese poi, già in là con gli anni,
Giovin moglie, d’alto cor:
Cui diè in dote i suoi malanni
E il regale suo fetor.
La rinchiuse, odiò, depresse:
La seccò, battè: che più?
Ben due lustri ella ci resse,
Poi fuggir costretta fu.
Fu mal padre, e mal marito,
E mal figlio, e mal fratel:
Con la moglie e i servi ardito,
Con chi ha petto un vero agnel.
Duro e ingrato per natura,
Senza amici altri che se;
Buon talvolta per paura;
Chi dirà ch’ei non sia re?