Estirpazione di quasi tutta la clavicola, praticata dal chiar. prof. Regnoli
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Disarticolazione della clavicola sinistra nella sua articolazione sternale, ed estirpazione della quasi totalità di quest’osso, praticata dal prof. Giorgio Regnoli. Appunti raccolti dal dott. Andrea Ranzi, assistente al Clinico dell’I. e R. Università di Pisa.
- Soggetto di questa operazione è il vetturale Angelo Bianchi delle Maremme toscane, nell’età di anni 34, di temperamento linfatico. Egli godè sempre buona salute se togliamo dei corsi di febbre periodica, la quale doveasi al luogo che gli era di soggiorno. Fu nell’agosto del 1838 che nel sollevare un sacco di grano sentì dolore alla spalla sinistra, il quale cessò dopo breve istante. Non tardò peraltro a riaffacciarsi questa sensazione dolorosa alla regione clavicolare, e specialmente tutte le volte che il Bianchi ritornava alle sue giornaliere fatiche; ed in termine circa di 10 giorni, il dolore incominciò a non aver tregua fino a toglierli il sonno. Questa regione poi ben presto divenne turgida, insieme colle parti circonvicine. L’applicazione delle mignatte, dei topici ammollienti, il riposo, la dieta, ecc., non valsero ad arrestare questo processo infiammatorio; chè nel corso di circa venti giorni la suppurazione si stabilì, e si fece strada per ulcerazioni alla pelle. Verso la fine di novembre si presentò nella Clinica di Pisa mostrando una ulcerazione alla regione clavicolare, ulcerazione che occupava buon tratto della clavicola; intorno a sè avea i tegumenti rossi da infiammazione, i bordi fongosi, lardacei; ispessiti, ed una sanie piuttosto che un pus da essa gemeva. Esplorato il fondo di quest’ulcera, si scorgeva la clavicola denudata, e la necrosi di essa non riusciva difficile a diagnosticarsi. Il malato era consunto, e la febbre vespertina non l’abbandonava. Furono praticate diverse incisioni onde mettere allo scoperto la porzione dell’osso necrosato, e per dare libero esito alle suppurazioni.
È da notarsi che ogni incisione era seguita da abbondante effusione di sangue, la quale veniva dalla lesione di tessuti fongosi, e pregni di sangue che componevano i tessuti circostanti alla clavicola. Fu atteso qualche tempo per vedere se la natura operava nulla a pro dell’infermo; ma l’emaciazione progredendo, la febbre vespertina non cessando, chiaramente appariva ch’essa era inefficace e che chiedeva il soccorso dell’arte; tanto più che l’ulcerazione andava ogni giorno estendendosi al punto di aver consumata parte della pelle alle regioni sopra e sotto clavicolare. Il nostro clinico adunque si decise a fare l’estirpazione della clavicola. A tale oggetto, il 27 decembre 1838, posto il malato a sedere, con un bisturi convesso ingrandì l’apertura dell’ulcera, ch’era nel mezzo della clavicola, portando le incisioni tanto verso la sua estremità acromiale, quanto verso quella sternale; oltrepassandone però i confini di qualche linea, specialmente a quest’ultima estremità. Il bisturi si faceva strada per tessuti induriti, lardacei, i quali stridevano sotto il tagliente, ed aveano perduta ogni traccia di organizzazione.
Messa così allo scoperto la clavicola si trovò allora un tratto di quest’osso nella sua diafisi quasi isolato, il quale afferrato con robuste pinzette non presentò resistenza alla sua estrazione. Rimanevano gli estremi acromiale e sternale; quest’ultimo necrosato, ed il primo in apparenza sano; fu disarticolato l’estremo sternale mediante colpi di forbici, e lasciata la piccola porzione acromiale. Il dover lavorare in mezzo a tessuti, i quali aveano perduta tutta la loro primitiva fisonomia e che non permettevano che il lume dell’anatomia guidasse il coltello, faceva sì che l’operazione riuscisse alquanto scabrosa. Nessun vaso considerevole gettò sangue, talchè non fu legata neppure un’arteria. La medicatura consistè nella introduzione di fila entro la ferita. Non accade nulla di rimarchevole, se non che per qualche tempo ci fu il non pervertimento di quell’ulcera in piaga a fronte della infiammazione traumatica. Il processo infiammatorio che si mantenne, diede luogo alla necrosi di quella porzione acromiale, talchè furono estratti altri pezzi nel corso della cura consecutiva. Persistendo sempre quella infiammazione esulcerativa, si volle sperimentare dal Clinico, anche in questo caso l’efficacia delle faldelle di mercurio, da cui si ottenne qualche vantaggio, il maggiore però sembra aversi ottenuto dai bagni, talchè oggi la cicatrice del vasto impiagamento è quasi completa, e solo rimangono i comuni integumenti circostanti leggermente rossi. Era meraviglia l’osservare la vegetazione dei bottoni cellulo-vascolari prendere consistenza fibrosa in poco tempo; e tener luogo dell’osso estirpato1.
Il malato può senza alcuna difficoltà muovere in tutti i sensi il braccio corrispondente; se si eccettua la leggiera debolezza di quell’arto, la quale devesi più all’inerzia, tutto è ritornato allo stato normale2. (METAXA, Annali Medico-Chirurgici. Giugno, 1839)
Note
- ↑ Non sono scarsi gli esempii di porzioni di osse tolte o per necrosi o per altro, che sono state rimpiazzate da una sostanza, la quale se non è elevata alla organizzazione ossea, è certamente valevole a tenere luogo di osso, e se non fossero numerosi i casi già conosciuti, noi potremmo riportare ancora una esportazione dei due terzi della tibia fatta dal Regnoli in una bambina, nella quale si ebbe una riproduzione di bottoni cellulo-vascolari duri, fibrosi, che furono capaci a rimpiazzare l’osso, e serbarono la forma della gamba, e sostenevano il corpo.
- ↑ Si può rammentare ancora come il medesimo Clinico alcuni anni addietro, tolse per necrosi la porzione acromiale in un bambino di 10 anni, e si ebbe una guarigione completa.