Faust/Parte seconda/Atto primo/Luogo aprico
Questo testo è completo. |
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
◄ | Atto primo | Atto primo - Palazzo imperiale | ► |
LUOGO APRICO.
Crepuscolo.
FAUSTO sur uno strato di molle erbetta, sfinito, inquieto, per addormentarsi, gruppo di SPIRITI, che si agitano e volteggiano in cerchio. Piccole forme graziose.
Ariele. (Canto con accompagnamento di cetre eolie.)
Appena vien che cada
Dal cielo in primavera
Sui campi la rugiada;
Appena è che si veggia
La mèsse che biondeggia;
Piccoli Silfi a stuolo
Traggon per dar aita
A quanti son che in duolo
Menan quaggiù la vita.
Sia tristo od innocente,
Se da miseria afflitto,
A lor pietade ha dritto.
O voi che in sul capo ghirlanda gli sate,
Aërea falange, tempo è che si mostri
Del vostro decoro qual cura serbate.
Di quell’alma inquïeta
L’ardor si tempri: rimovete il truce
Di rimorsi crudeli
Cocente dardo che la strazia, e dalla
Coscienza commossa escano fuori
Della vita mortal tedi e terrori.
In quattro stadi partesi, il sapete,
La notte, questa notte alma e serena
Che a tondo il carro mäestoso mena.
Provvedete solleciti non uno
Attimo ne trascorra inoperoso:
A placido riposo
Sovra origlieri di be’ fior contesti
Ne adagiate la fronte, e cospargete
Su lei l’obblivïosa onda di Lete.
Alle torpide membra
Torni l’alma salute in questo grato
Sopor che verso un dì novo lo spinge;
La più dolce indi fia per voi compiuta
Ed ultima fatica
Rendendo al ciglio suo la luce amica.
Coro. (Una, due o più voci alterne, o concertate insieme.)
Appena i fior del prato
Culla la mite orezza,
E di fragranze eteree
L’aëre intorno olezza:
Amabili, graditi
Oda per voi concenti,
Sì che l’età fanciulla
Quando posava in colla
Quel mesto cor rammenti.
Poi sovra i chiusi cigli
Levemente passando i rosei diti
Fate che a poco a poco
Languido sonno il pigli.
Ma già regna nel cielo
L’ombra notturna, e l’infocata stella
Già fra le nubi in santo
Consorzio miri alla sorella accanto.
D’infiniti splendori
Tutto intorno l’immenso etra sfavilla:
Qual da presso, qual brilla
Nel lontano zenit, e qual dall’onde
Trasparenti del lago esce riflesso;
Qual della notte in seno
Con tremulo baleno — i rai diffonde.
Ve’ serena e tranquilla
Sorger la bianca Luna
Della valle e de’ flutti imperatrice:
Ve’ come luminosa
E tondeggiante per lo ciel si tragge,
Alle sopposte piagge
Felicità recando e pace e cara
Voluttà che i mortali al sonno invita.
Ma l’ora anco è svanita.
Nel piacere oggimai
L’affanno eco non trova;
Viņca ragione! A nova
Virtù rinasci, e in calma
Che un altro di ne sia concesso aspetta.
Rinverde il suol; la vetta
Onde l’ombre più fresco abbian riposo
Di spessi cespuglietti a sè fa velo:
E per l’aperto cielo
Quasi minuta polve
Coi terreni vapori il venticello
I semi delle messi in un travolve.
Ma perchè tutta innanzi a te la pompa
Dell’esistenza arcana or si disveli,
Volgi lo sguardo al Sol. Che mai t’arresta?
Non è, non è cotesta
Onde tanto stupor l’alma t’accende
Che la scorza di lui, chi ben l’intende.
Svègliati! or su; disperdi
Quella nebbia che gli occhi ancor ti copre:
Sorgi! allerta! suvvia! t’affretta! all’opre!
Mentre in calcoli e trappole e consigli
Spender suo tempo suol la vulgar gente,
Compiere arditamente
Un magnanimo cor puote ogn’impresa
Sol che l’ora da tanto abbia compresa.
(Un forle scoppio annuncia l’appressare del Sole.)
Ariele. Odi il rintocco — lento d’ogni ora;
Già già distinto — suona agli Spiriti
Qual è più leve — ronzio d’aurora.
Del Sole il novo — disco già splende:
A lui fin l’erte — rocce dischiodono
Le inaccessibili — caverne orrende.
Già Febo lanciasi — e in sua carriera
Di retro al plaustro — fiammante guizzano
Lampi di vivida — luce sincera.
Qual manda fremito — l’eterea lampa!
Qual cupo murmure — qual tuon ne parte!
Le orecchie intronano — l’occhio n’avvampa,
Ma a ridir ciò ch’e’sia vien manco ogni arte.
Ratto, o Silfi, a fuggir l’ali battete,
E agli odorati in sen freschi rosai,
Delle rupi nel fesso or v’ascondete
Giù, giù tra ’l fitto de’ fogliami. – O guai!
Se quel lume immortal qui vi sorprende:
Sordi, e per sempre, ad ogni suon vi rende.
Fausto. Le arterie della vita battono con forza vitale di recente acquistata, per salutare il crepuscolo etereo. O terra, tu salda reggevi pur questa notte, ed ecco tutta quanta respiri e ti avvivi dinanzi a me. Già fin d’ora incominci ad avvilupparmi di care voluttà, e susciti ed accendi nel mio cuore un forte proposito di spingermi continuo inverso la esistenza più sublime. Il mondo, chiuso per anco ne’ vapori del crepuscolo, sta per cacciarneli; la foresta risuona all’intorno di una vita molteplice e armoniosa; i globi ondeggianti di nebbia esalano fuor della valle, per indi ricadervi; tuttavia il chiarore celeste penetra sino al fondo, e le frasche ed i rami, pregni di rugiade, sorgono dal vaporoso abisso in cui sepolti dormivano. Uno ad uno spiccansi i colori da que’ bassi luoghi là dove il fiore e la foglia lasciano cadere le tremule stille ond’erano ingemmate: da ogni lato il mondo mi si cangia in un paradiso.
Or leva il capo, e fissa il guardo colassù! — Le vette gigantesche de’ monti annunciano omai l’ora solenne: ad esse è consentito il godere prima d’ogni altro della eterna luce, la quale non discende a noi che più tarda. Un chiaror nuovo, un nuovo splendore inonda le allure verdeggianti delle Alpi: e già a poco a poco dovunque si spande, già vivida sfolgoreggia! — Ahimè! chè abbacinate se ne sviano le offese pupille.
Non altrimenti avviene quando la ineffabile speranza, raggiunto appena, dopo lungo affaticarsi e perseverare, un desiderio sublime, vede spalancarsele incontro la porta che al soddisfacimento fa capo: ed ecco tosto sbucare dagli eterni abissi ed ire imperversando un oceano di fiamme. Stupidi noi restiamo e interdetti; smaniosi di accendere la fiaccola della vita, da un vortice di fuoco ci scorgiamo ravviluppati. E oh Dio! qual fuoco! Gli è forse l’amore, l’odio forse, che ne costringono a vicenda fra’ lacci dell’affanno e della voluttà, sì fattamente, che il nostro sguardo si avvalla di bel nuovo alla terra a nasconderci nel velo della prima nostra innocenza?
E s’ella è cosi, restimi il Sole mai sempre alle spalle! La cascata che strepita sull’erto della roccia io la contemplo con estasi ognor crescente. Di balzo in balzo va essa, mentr’io parlo, precipitando, e forma poscia delle sue acque mille e mille torrentelli, sprazzi e spume ad un tempo per l’aere spargendo. E oh! come grande e maestosa, mentre scaturisce di mezzo a quel frastuono, ti compare la mobile curva dell’arco variopinto! Unita e liscia talora si avvalla, e talora giù cadendo si frange, diffondendo all’intorno un fremito fresco e vaporoso. Or non è ella questa un’immagine delle umane passioni? Pensaci, e meglio te ne chiarirai: quella refrazion di colori è per l’appunto la vita!