Faust/Parte seconda/Atto primo/Luogo aprico

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Atto primo - Luogo aprico

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Parte seconda - Atto primo Parte seconda - Palazzo imperiale
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LUOGO APRICO.


Crepuscolo.


FAUSTO sur uno strato di molle erbetta, sfinito, inquieto, per addormentarsi, gruppo di SPIRITI, che si agitano e volteggiano in cerchio. Piccole forme graziose.

Ariele. (Canto con accompagnamento di cetre eolie.)

         Appena vien che cada
       Dal cielo in primavera
       Sui campi la rugiada;
       Appena è che si veggia
       La mèsse che biondeggia;
       Piccoli Silfi a stuolo
       Traggon per dar aita
       A quanti son che in duolo
       Menan quaggiù la vita.
         Sia tristo od innocente,
       Se da miseria afflitto,
       A lor pietade ha dritto.

     O voi che in sul capo ghirlanda gli sate,
  Aërea falange, tempo è che si mostri
  Del vostro decoro qual cura serbate.

     Di quell’alma inquïeta
  L’ardor si tempri: rimovete il truce

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  Di rimorsi crudeli
  Cocente dardo che la strazia, e dalla
  Coscienza commossa escano fuori
  Della vita mortal tedi e terrori.
  In quattro stadi partesi, il sapete,
  La notte, questa notte alma e serena
  Che a tondo il carro mäestoso mena.
  Provvedete solleciti non uno
  Attimo ne trascorra inoperoso:
  A placido riposo
  Sovra origlieri di be’ fior contesti
  Ne adagiate la fronte, e cospargete
  Su lei l’obblivïosa onda di Lete.
  Alle torpide membra
  Torni l’alma salute in questo grato
  Sopor che verso un dì novo lo spinge;
  La più dolce indi fia per voi compiuta
  Ed ultima fatica
  Rendendo al ciglio suo la luce amica.

Coro. (Una, due o più voci alterne, o concertate insieme.)

         Appena i fior del prato
       Culla la mite orezza,
       E di fragranze eteree
       L’aëre intorno olezza:
       Amabili, graditi
       Oda per voi concenti,
       Sì che l’età fanciulla
       Quando posava in colla
       Quel mesto cor rammenti.
       Poi sovra i chiusi cigli
       Levemente passando i rosei diti

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       Fate che a poco a poco
       Languido sonno il pigli.

     Ma già regna nel cielo
  L’ombra notturna, e l’infocata stella
  Già fra le nubi in santo
  Consorzio miri alla sorella accanto.
  D’infiniti splendori
  Tutto intorno l’immenso etra sfavilla:
  Qual da presso, qual brilla
  Nel lontano zenit, e qual dall’onde
  Trasparenti del lago esce riflesso;
  Qual della notte in seno
  Con tremulo baleno — i rai diffonde.
  Ve’ serena e tranquilla
  Sorger la bianca Luna
  Della valle e de’ flutti imperatrice:
  Ve’ come luminosa
  E tondeggiante per lo ciel si tragge,
  Alle sopposte piagge
  Felicità recando e pace e cara
  Voluttà che i mortali al sonno invita.
  Ma l’ora anco è svanita.
  Nel piacere oggimai
  L’affanno eco non trova;
  Viņca ragione! A nova
  Virtù rinasci, e in calma
  Che un altro di ne sia concesso aspetta.
  Rinverde il suol; la vetta
  Onde l’ombre più fresco abbian riposo
  Di spessi cespuglietti a sè fa velo:
  E per l’aperto cielo

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  Quasi minuta polve
  Coi terreni vapori il venticello
  I semi delle messi in un travolve.
     Ma perchè tutta innanzi a te la pompa
  Dell’esistenza arcana or si disveli,
  Volgi lo sguardo al Sol. Che mai t’arresta?
  Non è, non è cotesta
  Onde tanto stupor l’alma t’accende
  Che la scorza di lui, chi ben l’intende.
  Svègliati! or su; disperdi
  Quella nebbia che gli occhi ancor ti copre:
  Sorgi! allerta! suvvia! t’affretta! all’opre!
  Mentre in calcoli e trappole e consigli
  Spender suo tempo suol la vulgar gente,
  Compiere arditamente
  Un magnanimo cor puote ogn’impresa
  Sol che l’ora da tanto abbia compresa.

(Un forle scoppio annuncia l’appressare del Sole.)


Ariele. Odi il rintocco — lento d’ogni ora;

  Già già distinto — suona agli Spiriti
  Qual è più leve — ronzio d’aurora.
     Del Sole il novo — disco già splende:
  A lui fin l’erte — rocce dischiodono
  Le inaccessibili — caverne orrende.
     Già Febo lanciasi — e in sua carriera
  Di retro al plaustro — fiammante guizzano
  Lampi di vivida — luce sincera.
     Qual manda fremito — l’eterea lampa!
  Qual cupo murmure — qual tuon ne parte!
  Le orecchie intronano — l’occhio n’avvampa,
     Ma a ridir ciò ch’e’sia vien manco ogni arte.

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     Ratto, o Silfi, a fuggir l’ali battete,
  E agli odorati in sen freschi rosai,
  Delle rupi nel fesso or v’ascondete
  Giù, giù tra ’l fitto de’ fogliami. – O guai!
  Se quel lume immortal qui vi sorprende:
  Sordi, e per sempre, ad ogni suon vi rende.


Fausto. Le arterie della vita battono con forza vitale di recente acquistata, per salutare il crepuscolo etereo. O terra, tu salda reggevi pur questa notte, ed ecco tutta quanta respiri e ti avvivi dinanzi a me. Già fin d’ora incominci ad avvilupparmi di care voluttà, e susciti ed accendi nel mio cuore un forte proposito di spingermi continuo inverso la esistenza più sublime. Il mondo, chiuso per anco ne’ vapori del crepuscolo, sta per cacciarneli; la foresta risuona all’intorno di una vita molteplice e armoniosa; i globi ondeggianti di nebbia esalano fuor della valle, per indi ricadervi; tuttavia il chiarore celeste penetra sino al fondo, e le frasche ed i rami, pregni di rugiade, sorgono dal vaporoso abisso in cui sepolti dormivano. Uno ad uno spiccansi i colori da que’ bassi luoghi là dove il fiore e la foglia lasciano cadere le tremule stille ond’erano ingemmate: da ogni lato il mondo mi si cangia in un paradiso.

Or leva il capo, e fissa il guardo colassù! — Le vette gigantesche de’ monti annunciano omai l’ora solenne: ad esse è consentito il godere prima d’ogni altro della eterna luce, la quale non discende a noi che più tarda. Un chiaror nuovo, un nuovo splendore inonda le allure verdeggianti delle Alpi: e già a poco a poco dovunque si spande, già vivida [p. 206 modifica]sfolgoreggia! — Ahimè! chè abbacinate se ne sviano le offese pupille.

Non altrimenti avviene quando la ineffabile speranza, raggiunto appena, dopo lungo affaticarsi e perseverare, un desiderio sublime, vede spalancarsele incontro la porta che al soddisfacimento fa capo: ed ecco tosto sbucare dagli eterni abissi ed ire imperversando un oceano di fiamme. Stupidi noi restiamo e interdetti; smaniosi di accendere la fiaccola della vita, da un vortice di fuoco ci scorgiamo ravviluppati. E oh Dio! qual fuoco! Gli è forse l’amore, l’odio forse, che ne costringono a vicenda fra’ lacci dell’affanno e della voluttà, sì fattamente, che il nostro sguardo si avvalla di bel nuovo alla terra a nasconderci nel velo della prima nostra innocenza?

E s’ella è cosi, restimi il Sole mai sempre alle spalle! La cascata che strepita sull’erto della roccia io la contemplo con estasi ognor crescente. Di balzo in balzo va essa, mentr’io parlo, precipitando, e forma poscia delle sue acque mille e mille torrentelli, sprazzi e spume ad un tempo per l’aere spargendo. E oh! come grande e maestosa, mentre scaturisce di mezzo a quel frastuono, ti compare la mobile curva dell’arco variopinto! Unita e liscia talora si avvalla, e talora giù cadendo si frange, diffondendo all’intorno un fremito fresco e vaporoso. Or non è ella questa un’immagine delle umane passioni? Pensaci, e meglio te ne chiarirai: quella refrazion di colori è per l’appunto la vita!