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Favole (La Fontaine)/Libro quarto/IV - Il Giardiniere e il Signore

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Libro quarto

IV - Il Giardiniere e il Signore

../III - La Mosca e la Formica ../V - L'Asino e il Cagnolino IncludiIntestazione 16 ottobre 2009 50% raccolte di fiabe

Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro quarto

IV - Il Giardiniere e il Signore
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Un uom già fu della campagna amante,
mezzo borghese e mezzo contadino,
che possedeva un orto ed un giardino
fiorito, verdeggiante,
recinto intorno da una siepe viva.

Colà dentro ogni sorta vi fioriva
d’insalate e bei fiori di mughetto,
e gelsomini e fresca erba cedrina,
per fare a Caterina
il giorno della festa un bel mazzetto.

Questa felicità
da una Lepre fu tanto disturbata,
che il nostro galantuomo una mattina
va dal Signor della città vicina
e racconta la cosa come sta.

- Questa bestia indiscreta
viene, - dice, - ogni dì mattina e sera,
si satolla di cavoli e di bieta,
ridendo delle trappole e dei ciottoli,
che perdon contra ad essa tutto il credito.
È un pezzo che la dura questa bega,
e quasi entro in sospetto
che sia folletto questa Lepre o strega.

- Anche fosse il diavol colla coda, -
dice il Baron, - lasciate fare a me,
che in due minuti o tre
ve la metto al dover. - Quando? - Dimani -.

E come disse, vien colla sua gente,
armi, cavalli e cani,
e, comandando in casa allegramente,
- Compar, - dice al padrone, -
i vostri polli sono grassi e teneri,
facciamo prima un po’ di colazione.

Dov’è, dov’è la bella padroncina?
Carina, t’avvicina,
quando le nozze? ehi, galantuomo, a questo
giova pensarci e presto.
Mano alla borsa, un genero ci vuole -.
Il buon Signor con tenere parole
la ragazzina fa sedere accanto,
le carezza una mano
e poi pian piano
sale al braccio, le tocca il fazzoletto,
con altre cortesie, da cui procura
difendersi la bella con rispetto.
Il babbo tace e bolle dal dispetto.

Già brulica di gente la cucina,
si mangia, si tempesta.
- Questi sono prosciutti della festa! -
dice il Signor. - È vostra cortesia;
se vi piaccion, son vostri. - Grazie, amico,
mandateli, vi prego, a casa mia -.

Mangia il Signore e mangia una caterva
di cani e cacciatori e servitori,
tutti animali e gente
a cui non manca per fortuna un dente.

In casa del padrone chi comanda
è l’Eccellenza sua, che trinca, abbraccia
e mangia in fin che giunge
il momento d’uscir a dar la caccia.

Ora incomincian le dolenti note!
Di corni e trombe scoppia un chiasso tale,
che par quasi il giudizio universale.
Ah povero padron! ah sentieroli,
ah fresche insalatine!
Addio porri, cicorie, addio fagioli,
che fate la minestra così buona!
All’erba, ai fior la caccia non perdona.

La Lepre che rifugio
avea trovato all’ombra d’un gran cavolo,
cacciata, tempestata, da un pertugio
della siepe scappò come il diavolo.
Ma il pertugio divenne una caverna,
perché il Signor, che si diverte al ballo,
vuol che si esca di là tutti a cavallo.

- Gli spassi ecco dei Grandi! - a quella vista
esclama il pover’uomo. In un momento
fecero i cani ed i cavalli un danno,
che certo ugual non fanno
cento lepri in un anno o cinquecento.

O stati microscopici,
non cercate arbitrati ai più potenti,
ma gli strappi aggiustatevi da voi.
Se li chiamate prima nelle guerre
li vedrete restar poi per le terre.