Favole (La Fontaine)/Libro secondo/XIX - Il Leone e l'Asino a caccia
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Per celebrare il dì della sua festa,
il biondo imperator della foresta
fuori alla caccia andò.
Non a caccia di merli e d’usignoli,
ma di cervi, s’intende,
di bei cinghiali e grassi caprioli,
e l’Asino invitò.
Ha l’Asino una voce sì potente,
che a dieci miglia quasi la si sente;
onde il Leon pensò,
poi che la bestia avea sì buona musica,
di farsene suo pro’.
Copre il Messer di lauro e d’altre erbette,
e di ragghiar coverto gli commette,
e l’Asino ragghiò.
Quella voce, che subito risona
e nell’aria terribile rintuona,
le bestie spaventò.
Costoro, che non sono abituate
a sentir quella tromba che rimbomba,
dentro la selva fuggon spaventate,
e ad una ad una a seconda che tocca
dentro le zampe cascano
e del Leone in bocca.
Allor superbo l’Asino esclamò:
- Se potesti adunar tanto bottino,
ringraziami, vicino.
- È ver, - rispose il Re della foresta, -
mandasti ragghi proprio della festa,
anzi soggiungerò
che avrei potuto spaventarmi anch’io,
ma ti conosco e tema, grazie a Dio,
degli asini non ho -.
Volea la bestia sciocca replicare,
ma tanto non osò,
conoscendo l’umor del suo compare.
E fece bene, io penso,
se al carattere suo si rassegnò:
ché un asino spaccone è un controsenso.