Fermo e Lucia/Introduzione

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Prima introduzione contemporanea
alla stesura dei primi capitoli

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Prima introduzione contemporanea
alla stesura dei primi capitoli
Introduzione rifatta da ultimo

«La Storia si può veramente chiamare una guerra illustre contro la Morte: poiché richiamando dal sepolcro gli anni già incadaveriti, gli passa di nuovo in rassegna, e li ordina di nuovo in battaglia: onde i perspicaci ingegni che in questo arringo raccolgono palme conservano al loro nome quella immortalità che agli altri conferiscono. Ma questi nobili campioni della memoria non fanno all’obblio se non furti splendidi e rapiscono soltanto le spoglie le più ricche e brillanti, imbalsamando coi loro inchiostri i fatti dei prencipi e potentati, e personaggi, tessendo come in feral tela le battaglie, e trapuntando coll’ago finissimo dell’ingegno i fili d’oro e di seta che formano un perpetuo ricamo di azioni gloriose. Però non essendo alla debolezza del mio ingegno concesse queste vittorie, ed avendo io osservato nel lungo giro dei miei anni molte e straordinarie vicende le quali mi sono sembrate degne di memoria, ma di memoria defraudate saranno e per essere avvenute in gran parte a persone meccaniche e di bassa condizione e non avere portata mutatione nelle ruote degli stati: ho stimato di lasciarne una ricordanza ai posteri o almeno ai miei discendenti, collo scolpirle in queste carte, parendomi che le cose private di questi tempi sieno meritevoli di quella osservazione che i dotti danno alle cose mostruose, perché in picciolo teatro vi si veggono luttuose tragedie di calamità, e scene di malvagità grandiosa. Onde si vede esser vero quel detto che il mondo invecchiando peggiora, ma non credo che sarà vero d’ora in poi, perché avendo il male ormai passato i termini della comparazione, ha toccato l’apice del superlativo, e il pessimo non è di peggioramento capace. Si vedrà anche come l’umana malizia ha saputo superare tutti i ritegni, e spezzare tutti i freni più ben temprati, avendo potuto moltiplicare ogni sorta di sevizie, perfidie ed atti tirannici a dispetto delle leggi divine ed humane. E considerando che questi stati sieno soggetti alla Maestà del re Cattolico che è quel sole che mai non tramonta, e che sovra di essi con riflesso lume qual luna risplenda chi ne fa le veci, e gli amplissimi senatori quali stelle fisse vi scintillino, e gli altri magistrati come erranti pianeti portino la luce in ogni parte, venendo così a formare un nobilissimo cielo, si vedrà che gli atti tenebrosi che a malgrado di tante provvidenze si sono moltiplicati essere altro non possono che arte e fattura diabolica, poiché l’humana potenza del male bastare a tanto non dovrebbe. Narrando adunque come fedele spettatore li accidenti singolari da me osservati, tacerò per degni rispetti molti nomi di personaggi e di luoghi che potrebbero servire come di indizio e di guida a trovare i personaggi nel covile oscuro della dimenticanza: né per ciò si dirà che questa sia imperfezione alla suddetta mia storia; a meno che non fosse letta da persone ignare della filosofia, e gli uomini dotti ben vedranno che nulla manca alla sostanza; perché essendo fuori di ogni dubitazione che il nome altro non è che purissimo accidente...».

Aveva trascritta fino a questo punto una curiosa storia del secolo decimosettimo, colla intenzione di pubblicarla, quando per degni rispetti anch’io stimai che fosse meglio conservare i fatti e rifarla di pianta. Senza fare una lunga enumerazione dei giusti motivi che mi vi determinarono, accennerò soltanto il vero e principale. L’autore di questa storia è andato frammischiando alla narrazione ogni sorta di riflessioni sue proprie; a me rileggendo il manoscritto ne venivano altre e diverse; paragonando imparzialmente le sue e le mie, io veniva sempre a trovare queste ultime molto più sensate, e per amore del vero ho preferito lo scrivere le mie a copiare le altrui; stimando anche che chi ha una occasione per dire il suo parere sopra che che sia non debba lasciarsela sfuggire.

Le mezze confidenze del narratore e le ommissioni frequenti dei cognomi dei personaggi, e dei nomi dei luoghi, non fanno a dir vero oscurità: veggio nullameno per esperienza che sono fastidiose a chi legge, e avrei desiderato trovare altrove ciò che è solamente indicato nel manoscritto, ma non mi venne fatto: in qualche luogo però le indicazioni di luogo sono così chiare e moltiplici che il nome si è potuto trovare certamente e facilmente, ed allora l’ho scritto.

È qui il luogo d’antivenire un’accusa la quale per grave e pericolosa ch’ella sia, potrà leggermente esser data a questo scritto: cioè che non sia altrimenti fondato sopra una storia vera di quel tempo, ma una pura invenzione moderna. Prego coloro i quali fossero disposti ad ammettere questo sospetto, a riflettere che essi verrebbero ad accusare l’editore niente meno che di aver fatto romanzo, genere proscritto nella letteratura italiana moderna, la quale ha gloria di non averne o pochissimi. E benché questa non sia la sola gloria negativa di questa nostra letteratura pure bisogna conservarla gelosamente intatta, al che ben provvedono quelle migliaja di lettori e di non lettori i quali per opporsi a ogni sorta d’invasioni letterarie si occupano a dar se non altro molti disgusti a coloro che tentano d’introdurre qualche novità. Oltre di che questo genere, quand’anche non sia altro che una esposizione di costumi veri e reali per mezzo di fatti inventati è altrettanto falso e frivolo, quanto vero e importante era ed è il poema epico e il romanzo cavalleresco in versi. Per queste ragioni ognun vede quanta debba importare all’editore di allontanare da sé questo sospetto. Certo, il migliore espediente sarebbe di mostrare il manoscritto, ma a questo egli non può indursi per altri e pur degni rispetti. Il più degno dei quali si è, che se il manoscritto fosse mostrato a pochissimi ed amici, l’incredulità durerebbe, e se a molti si diffonderebbe l’opinione che la vecchia e originale storia è molto meglio scritta che la nuova e rifatta, che v’era in quella un certo garbo, una certa naturalezza, un sapore di verità, un’aria di contemporaneità che è svanita affatto nella copia. Si direbbe che veramente il reo gusto del secolo si fa sentire nello stile del vecchio scrittore ma che però vi è una certa fragranza (dico bene?) di lingua che ben fa vedere che di poco era spirato quell’aureo cinquecento, quel secolo nel quale tutto era puro, classico, lindo, semplice, nel quale la buona lingua si respirava per così dire coll’aria, si attaccava da sé agli scritti, dimodoché, cosa incredibile e vera! fino i conti delle cucine e gli editti pubblici erano dettati in buono stile. Che se nel secolo susseguente tutto si alterò, almeno almeno la corruttela non era straniera, era un lusso un abuso delle ricchezze patrie, una sazietà del bello o almeno non si leggevano ancora libri francesi, perché la Francia non aveva ancora quegli insigni scrittori che per disgrazia delle lettere ebbe dappoi.

Non volendo adunque mostrare il manoscritto originale, ha l’editore pensato un altro mezzo per convincere i lettori della realtà di questa storia. I dubbj su di essa non possono nascere da altro che dal non trovare verità nel costume, nei fatti, e nei caratteri del tempo rappresentato: poiché se si venisse a concedere che questa verità si trova, allora il dire che la storia è inventata potrebbe quasi quasi parere più che un biasimo una lode, dal che bisogna guardarsi ben bene. Ora per certificare i più increduli che i costumi sono veramente quelli del tempo, l’editore propone loro di fare ciò ch’egli stesso ha fatto per giungere a questo convincimento. A dir vero molte gli parevano tanto strane, ch’egli non sapeva risolversi a crederle realmente avvenute, perloché si pose a frugare molto nei libri e nelle memorie d’ogni genere che possono dare una idea del costume e della storia pubblica e privata del Milanese nella prima metà del secolo decimosettimo. Tutte le sue ricerche lo condussero a risultati talmente somiglianti a ciò che egli aveva veduto nel manoscritto che non gli rimase più dubbio della veracità della storia che vi si contiene. Per comodo di chi volesse rifare queste ricerche egli pone qui una scelta delle letture opportune a mettere chicchessia in caso di giudicare da sé questo fatto.

Nota di libri, memorie etc.

......

Ma di questi libri, dirà taluno; alcuni sono difficili a ritrovarsi, e la più parte nojosi a leggersi, e scritti in uno stile tra il goffo e il lezioso, tra il barbaro e il pedantesco. Alcuni poi sono in latino e come pretendere che si leggano libri latini per convincersi se una storia è vera o supposta? Chi non sa che le signore non imparano pur troppo il latino, e che le signore appunto sono quelle che più si dilettano di leggere storie private? dimodoché i mezzi di fare questa verificazione sarebbero appunto interdetti a chi più probabilmente avrà letta la storia. Rispondo anche a questa obbiezione, pregando il lettore a non farmene più altre per non farmi perdere il tempo in ciarle, e ritardare così quello che importa cioè il racconto.

Rispondo dunque: che fra i pochi lettori di questa storia, vi saranno certamente molti, i quali benché virtualmente sappiano che nel passato vi sono stati gli anni 1628-29 e -30, non hanno però mai pensato a questi anni, e che molto meno sanno che cosa in quegli anni si facesse, come si vivesse, se vi sia stato un po’ di fame, di guerra, e di peste, e di quelle altre coserelle che si vedranno in questa storia. Questi ch’io dico penseranno dunque a quest’epoca per la prima volta leggendo questa storia, e da essa ne ricaveranno tutte le notizie. E appena avranno letta qualche pagina cominceranno a trovare che la tal cosa non è verisimile, che la tal altra non ha il colore del tempo e simili scoperte. Ora fra questi lettori scommetterei che forse non vi sarà una sola signora. In generale elle non conoscono la maniera dotta e ingegnosa di leggere per cavillare lo scrittore, ma si prestano più facilmente a ricevere le impressioni di verità, di bellezza, di benevolenza che uno scritto può fare; quando non vi trovino nulla di simile, chiudono il libro, lo ripongono senza gettarlo con rabbia, e non vi pensano più. Sicché io confido che la veracità di questa storia esse la sentiranno senza discuterla, che non si divertiranno a sottilizzare per trovare il falso dove non è; e per conseguenza la nota riportata di sopra è affatto inutile per loro.

V’è poi un’altra obbiezione che non si può lasciare senza risposta, una obbiezione che l’editore farebbe a se stesso quando fosse certo che non verrà in capo a nessuno. La pubblicazione di questa storia non è cosa affatto inutile, non è una occasione di far perdere qualche ora a pochi lettori? Lettori miei, se dopo aver letto questo libro voi non trovate di avere acquistata alcuna idea sulla storia dell’epoca che vi è descritta, e sui mali dell’umanità, e sui mezzi ai quali ognuno può facilmente arrivare per diminuirli e in sé e negli altri, se leggendo voi non avete in molte occasioni provato un sentimento di avversione al male di ogni genere, di simpatia e di rispetto per tutto ciò che è pio, nobile, umano, giusto, allora la pubblicazione di questo scritto sarà veramente inutile, l’obbiezione sarà ragionevole, e l’editore avrà un dispiacere reale del tempo, e che ha fatto gittare agli altri, e del molto più che egli stesso vi ha speso.