Filocolo/Libro primo/30

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Libro primo - Capitolo 30

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Ma poi che il sole nascose i suoi raggi nelle oscure tenebre e le stelle cominciarono a mostrare la loro luce, il campo si cominciò con taciturnità a riposare, sì per l’affanno ricevuto il preterito giorno che richiedeva agli affannati membri riposo, sì per l’allegrezza della vittoria che molte menti avea nel vino sepellite. Solo l’angoscioso pianto di Giulia e delle sue compagne facea risonare la trista valle, e questo risonava nelle orecchie al vittorioso re. E egli, che ne’ tesi padiglioni si riposava, udendo queste voci, chiamò un nobile cavaliere il quale s’appellava Ascalion, e disseli: - Deh, or di cui sono le misere voci che io odo, che non lasciano partire della nostra mente in alcuno modo la crudele uccisione fatta nel passato giorno? -. - Sire - disse Ascalion - io imagino che sia alcuna donna, la quale forse era moglie d’alcuno del morto popolo, e così mi pare avere inteso da’ compagni, e similmente la sua favella, la quale io intendo bene, il manifesta -. Allora gli comandò il re che elli andasse ad essa, e comandassele ch’ella tacesse acciò che ’l suo pianto non gli accrescesse più dolore che il preterito danno. Mossesi Ascalion con alquanti compagni, e per l’oscura notte con picciol lume, per lo sanguinoso campo scalpitando i morti visi, andarono in quella parte ove essi sentirono le dolenti voci, e pervennero a Giulia; la quale, come Ascalion la vide, imaginando le nascose bellezze sotto il morto sangue del suo viso, mosso dentro a pietà, quasi lagrimando disse: - O giovane donna, il cui dolore invita gli occhi miei, veggendoti, a lagrimare, io ti priego, per quella nobiltà che il tuo aspetto ne rapresenta, che tu ti conforti e ponghi fine alle tue lagrime. Certo io non so qual sia la cagione della tua doglia, ma credo che sia grande; e chente ch’ella sia, io non credo che per lo tuo pianto si possa emendare, ma più tosto piangendo aumentare la potresti. E noi medesimi, i quali, se al ricevuto danno volessimo ben pensare, certo noi non faremmo mai altro che piagnere; e considerando quello che è detto, ci ingegnamo di dimenticare quello che ancora non vuole fuggire delle nostre memorie. E simigliantemente il re nostro signore te ne manda pregando; e credo che molto gli sarebbe caro, secondo il suo parlare, che tu venissi dinanzi al suo cospetto -. Giulia, udendo la romana loquela, la quale Ascalion, lungamente dimorato a Roma, impresa avea, alzò il viso verso lui, forse credendo che fosse alcun de’ miseri compagni di Lelio, e con torti occhi riguardando il cavaliere e vedendo ch’egli era della iniqua gente, piangendo il richinò, e gittando un gran sospiro, disse: - Niun conforto sentirà l’anima mia, se voi nol mi porgete. Voi m’avete con le vostre spietate braccia ucciso colui il quale era mio conforto e mia ultima speranza. Acciò che l’anima mia possa seguire per le dilettevoli ombre quella del mio Lelio, questo graziosamente vi domando, questo fia l’ultimo bene che io spero, e a voi non fia niente. Voi avete oggi bagnate le vostre mani in tanti sangui, che io non accrescerò la somma del vostro peccato per la mia morte, ma la farò più lieve per la pietà che voi userete uccidendomi. Deh! aggiungetemi al triste numero, acciò che si possa dire: "Giulia amò tanto il suo Lelio, che ella fu del numero de’ corpi morti con lui insieme ne’ sanguinosi campi". E se voi non volete usar questa pietà, almeno prestate alle mie mani la tagliente spada, e consentite che sanza briga di queste mie compagne io possa morire, essendone le mie mani cagione -. Ascalion e’ suoi compagni, che vedeano il chiaro viso tutto rigare di vermiglio sangue, lagrimavano tutti per pietà di costei; e piangendo le rispose e disse: - Giovane, gl’iddii facciano le mie mani di lungi da sì fatto peccato. Certo io fuggii oggi per non bagnarmi nella dolente occisione: ma tu, perché piangendo e sconfortandoti guasti il tuo bel viso? Perché desideri d’incrudelire contra te medesima? Credi tu con la tua morte render vita al morto marito? Questo sarebbe impossibile. Ma levati su, e non volere qui però nelle sopravegnenti tenebre apparecchiare la tua bella persona alle salvatiche bestie, le quali alla tua salute potrebbono essere contrarie, però che vivendo ancora potrai forse riavere il perduto conforto. Levati su, e segui i nostri passi, e non dubitar di venire a’ reali padiglioni con le tue compagne, ch’io ti giuro, per quelli iddii ch’io adoro, che, mentre che essi mi concederanno vita, il tuo onore e delle tue compagne sarà sempre salvo a mio potere, solo che vostro piacer sia. Ora ti leva, non dimorare più qui, vieni nella presenza del nostro signore, il quale, ancora che dolente sia, veggendo il tuo grazioso aspetto, ti onorerà sì come degna donna. Or se noi ti volessimo qui lasciare, non ti spaventano gl’infiniti spiriti de’ morti corpi, sparti per lo piagnevole aere? Non dubiti tu degli scelerati uomini che sogliono essere ne’ tumultuosi esserciti, i quali, trovandoti qui, non si curerebbono di contaminare il tuo onore e delle tue compagne? Deh! vieni adunque, che vedi che io e’ miei compagni per compassione di te righiamo i nostri visi d’amare lagrime -. Giulia non facea altro che piagnere; e ben ch’ella fosse molto dolorosa, non per tanto dimenticò la sua anima i cari ammaestramenti della gentilezza, e non volle nelle avversità parere villana a’ divoti prieghi del nobile cavaliere; ma preso con le sue mani un bianco velo, coperse il palido viso di Lelio e con un suo mantello tutto il corpo, e poi si voltò ad Ascalion e disse: - I vostri prieghi hanno sì presa la mia dolorosa anima, che io non mi so mettere al niego di quello che dimandato m’avete. E poi che Iddio e voi mi negate la morte, quella cosa che io più disidero, io m’apparecchio di venire in quelle parti ove piacer vi fia; ma caramente raccomando in prima me e le mie compagne e ’l nostro onore nelle vostre braccia, pregandovi, per la gentile anima che guida i vostri membri, che come di care sorelle il serviate e non consentiate che di quello che le misere anime de’ nostri mariti, rinchiuse ne’ mortali corpi, si contentarono, sciolte da essi si possano ramaricare -. E volendosi levare, per debolezza fra le sue compagne supina ricadde. Allora Ascalion teneramente per lo destro braccio la prese; e dall’altra parte un suo compagno sostenendola e con dolci parole confortandola, e con lento passo andando, pervennero alle reali tende, nelle quali entrati, il re vedendo costei, vinto per lo pietoso aspetto, umilmente la riguardò; e avendo già udito da Ascalion gran parte della condizione di lei, comandò ch’ella fosse onorata. Giulia, veduto il re, ancor che per debolezza le fosse grave, pur gli s’inginocchiò davanti e lagrimando disse: - Alto signore, a questi nobili cavalieri è piaciuto di menarmi nel vostro cospetto, nel quale piacciavi che io trovi quella grazia che da loro non ho potuta avere. Io non credo che la misera Ecuba né la dolente Cornelia ne’ loro danni sentissero maggiore doglia che io fo in quello che da voi ho ricevuto, né credo che effettuosamente alcuna di loro disiderasse de’ suoi nimici vendetta, com’io disidero di voi, solo che prendere ne la potessi. Ma poi che la fortuna m’ha il potere levato, e fattami vostra prigione, datemi, per guiderdone della fiera volontà ch’io ho verso di voi, la morte -. Non sofferse il re che Giulia stesse in terra davanti a lui, ma con la propia mano levatala in piè, la fece sedere davanti a sé, e risposele così: - Giovane donna, il vostro lagrimoso aspetto m’ha fatto divenire pietoso e quasi m’invita con voi insieme a lagrimare. E certo io non mi maraviglio del vostro parlare, il quale dimostra bene il vostro gran dolore, ché usanza suole essere de’ miseri di volere quello che maggior miseria loro arrechi, infino a quell’ora che la tristizia pena a dar luogo al natural senno. E però che io conosco che voi ora più adirata che consigliata domandate la morte, e mostrate ver me crudel volontà, né la morte vi fia per me conceduta, né ancora le adirate parole credute. Ma quando voi avrete alquanto mitigate le giuste lagrime che voi spandete, io vi farò conoscere come la fortuna non sia contro di voi del tutto adirata, né ch’ella v’abbia fatta mia prigione; e ancora conoscerete che sia suto il migliore rimanere in vita sì per voi e sì per l’anima del vostro marito. Ma ditemi, se vi piace, qual sia la cagione del vostro pianto, e chi voi siete, e onde e ove voi andavate -. Giulia, piangendo, con pietosa voce gli rispose: - Io sono romana, e fui misera sposa del morto Lelio, il quale voi oggi con le propie mani uccideste, e quinci muove il mio tristo lagrimare; e andavamo al santo Iddio, posto nell’ultime fini de’ vostri regni, per lo ricevuto dono della mia pregnezza -. Udendo questo, il re, quasi stupefatto, tutto si cambiò, e disse: - Oimè! or dunque non foste voi con gli assalitori del mio regno, i quali all’entrare in esso arsero la ricca Marmorina? -. - Signore no - rispose Giulia, - ma passando per essa, la vedemmo bella e ornata di nobile popolo -. Allora dolfe al re molto di quello che era fatto e sospirando le disse: - Giovane donna, i fortunosi casi sono quasi impossibili a fuggire; a noi fu porto tutto il contrario di quello che voi ne porgete, e questo ne mosse a fare quello che omai non può tornare adietro, e che ci duole. E non è dubbio che voi avete nel preterito giorno gran danno ricevuto, e io non piccolo; ma però che il nostro lagrimare niente il menomerebbe, convienci prender conforto. E a cui che il lagrimare stia bene, a noi e’ si disdice, i quali co’ propii visi abbiamo a confortare i nostri sudditi. Adunque confortatevi, e qui meco rimanete; e dopo il preso conforto, se a voi piacerà altro marito, io ho nella mia corte assai nobili cavalieri, de’ quali quello che più vi piacerà in guiderdone dell’offesa che fatta v’ho, vi donerò volontieri; e se voi alle ceneri del morto marito vorrete pure servar castità, continuamente in compagnia della mia sposa come cara parente vi farò onorare. E se l’esser meco non vi piacerà, io vi giuro per l’anima del mio padre che dopo l’alleviamento del vostro peso, infino in quella parte ove più vi piacerà d’andare, onorevolemente vi farò accompagnare. A dire quanto mi dolga di quello ch’è fatto per lo mio subito furore, sarebbe troppo lungo a narrare, però ch’io ci ho perduto un caro nipote e molti buoni cavalieri, e voi ho sanza vostra colpa offesi -. Giulia non rattemperava per tutte queste parole il dolente pianto, anzi, piangendo, nel savio animo diliberò che molto valea meglio di rimanere al proferto onore, fingendo il suo mal talento, infino che la fortuna la recasse nel pristino stato, che miseramente cercare gli strani paesi; e con sospirevole voce, rotta da dolenti singhiozzi, rispose: - Signor mio, nelle vostre mani è la mia vita e la mia morte: io non mi partirò mai dal vostro piacere -. Comandò allora il re che ella in alcuno padiglione, sotto la fidata guardia di Ascalion, ella e le sue compagne fossero onorate.