Filocolo/Libro quinto/39

Da Wikisource.
Libro quinto - Capitolo 39

../38 ../40 IncludiIntestazione 17 settembre 2008 75% letteratura

Libro quinto - 38 Libro quinto - 40

Come il duca e Messaallino videro il rozzo popolo, di loro si risero, e alquanto gli riguardarono, e già aveano determinato di ritornarsi indietro, quando Messaallino disse: - Perché non andiamo noi a loro, e di loro condizione ci facciamo certi, acciò che tornando a Filocolo, il quale di tutto loro essere ci domanderà, non sappiendogliele ridire, non siamo da lui scherniti? -. - Andiamo - rispose il duca; e verso quelli che già mostravano di loro dubitare, con segno di pace s’appressarono, e con graziosa voce, non mostrando d’avere la loro picciola condizione a schifo, gli salutarono, e quelli, che sopra la riva del fiume dimoravano dal lato del bosco, domandarono chi essi fossero e perché quivi stessero, e quale era stata la cagione del loro romore poco avanti. A’ quali uno di loro, il quale forse degli altri avea il maestrato, così rispose: - Noi, i quali voi qui vedete, siamo abitatori d’un picciolo poggio qui vicino, il quale i nostri antichi chiamarono Caloni, e noi da quello Caloni ci chiamiamo, popolo robusto e fiero nelle nostre armi, né niuno altro è a cui il lavorio della terra meglio sia noto, né che fatica in ciò a comparazione di noi possa durare: e la cagione per che qui dimoriamo è acciò che passare possiamo questo fiumicello e di sopra quel terreno cacciare in perdizione la gente che vi vedete, la quale nuovamente venuta qui, un poggio simile al nostro, che nostra iurisdizione era, s’hanno preso, e abitanlo oltre a nostro volere, e chiamansi Cireti. I quali, come voi vedete, a contradirci il passo qui a fronte a noi sopra la riviera si sono posti, né in alcuna parte possiamo su per quella andare che essi non ci vengano tuttavia davanti. Il gran romore che fu poco avanti fu per due che nell’acque si combatteano, a conforto de’ quali ciascuna col gridare aiutava il suo; ma ultimamente il nostro ebbe vittoria, per che di quercia il coronammo, come là vedere il potete -. Disse allora Messaallino: - Secondo ch’io avviso, voi dovreste con pace poter sostenere che coloro abitassero il vostro poggio, però che sì gran popolo non mi parete che soperchio terreno sanza quello che coloro hanno preso non abbiate, ma n’avete tanto che sanza cultura la maggior parte veggiamo -. - Certo - disse il villano - più contrarietà di sangue che vaghezza di terreno ci muove a queste brighe, per mio avviso -. - E che contrarietà di sangue è tra voi? - disse Messaallino; - non siete voi tutti uomini, e in una contrada abitate e in un luogo? -. A cui colui rispose: - Noi fummo dell’antica città di Fiesole, e allora di quella uscimmo quando Catellina, de’ nostri mali singulare cagione, superato da Antonio e da Afranio ne trasse i nostri antichi, i quali della mortale battaglia appena campati qui fuggirono, e quasi in dubbio di loro salute abitarono quel poggetto che davanti vi dissi, sotto quel nome ch’avete udito che ci chiamiamo. Ma costoro, non è gran tempo passato, quando Attila guastò la nuova città da’ romani fatta a piè della nostra, temendo le fiamme e l’ira del tiranno, qui fuggirono, e sanza alcuno congedo s’abitarono il paese prima da noi occupato: per che noi, a giusta ira mossi, ogni anno a quello che ora ne vedete ne siamo e saremo infino a tanto o che noi di questo paese fuggendo gli cacceremo o che essi noi alle nostre case renderanno vinti -.