Filocolo/Libro secondo/15

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Libro secondo - Capitolo 15

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Libro secondo - Capitolo 15
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Turbossi alquanto Florio veggendo il padre turbato, ma non pertanto quasi lagrimando così li rispose: - Padre mio, sì come voi sapete, né il sommo Giove né il risplendente Apollo, da voi ora davanti ricordato, né alcuno altro iddio ebbe all’amorevole passione resistenza; né tra’ nostri predecessori fu alcuno tanto di virile forza armato, né sì crudo, che da simile passione non fosse oppresso. Adunque, se io giovinetto contra così generale cosa non ho potuto resistere, certo non ne sono io sì gravosamente da riprendere, come voi fate, ma emmi da rimettere, pensando che il mio spirito è stato sì volgare, che per rigidezza non ha rifiutato quello che ciascuno altro gentile ha sostenuto. E la mia forma la quale mercé degl’iddii è bellissima, richiede tale uficio, più tosto che alcuno altro. E che si potrà giustamente dire a me s’io amo, poi che ad Ercule e ad Aiace uomini robusti non si disdisse? Appresso dite che gravoso vi sembra pensando la qualità della femina che io amo però che popolaresca e serva la riputate, e voi credo che in parte ignoriate di qual sangue questa giovane, cui io amo, sia discesa, sì come quegli che ingiustamente il suo padre valoroso, resistente con picciola schiera alla vostra moltitudine di gente, uccideste, il quale forse non fu di minor qualità che voi siate, pensando alla grandezza di tanto animo quanto nella sua fine mostrò. E ancora che certamente noi nol sappiamo, noi pure avemo udito che la madre di costei, la quale voi non serva prendeste, discese dell’alto sangue del vittorioso Cesare, già conquistatore de’ nostri regni per adietro. E posto che manifestamente la nazione di questa giovane esser vile si conoscesse, sì conosciamo noi lei esser tanto gentile o più, quanto se d’imperiale progenie nata fosse, se riguardiamo con debito stile che cosa gentilezza sia, la quale troveremo ch’è sola virtù d’animo. E qualunque è quelli che con animo virtuoso si truova quelli debitamente si può e dee dire gentile. E in cui si vide già mai tanta virtù, quanta in costei si truova e vede manifestamente? Ella è di tutte generalmente vera fontana. In lei pare la prudentissima evidenzia della cumana Sibilla ritornata; né fu la casta Penolope più temperata di costei, né Catone, più forte negli avversarii casi, né con più equalità d’animo: liberalissima la veggiamo. La grazia della sua lingua si potrebbe adeguare alla dolcissima eloquenzia dell’antico Cicerone. A cui mai tanta grazia concessero gl’iddii? Questa è sommamente virtuosa: adunque sanza comparazione gentile. Non fanno le vili ricchezze, né gli antichi regni, forse come voi, essendo in uno errore con molti, estimate, gli uomini gentili né degni posseditori de’ grandi uficii: ma solamente quelle virtù che costei tutte in sé racchiude. Deh, or come mi potea o potrebbe già mai Amore di più nobil cosa fare grazia? Questa ha in sé una singular bellezza, la quale passa quella che Venus tenea, quando ignuda si mostrò nelle profonde valli dell’antica selva chiamata Ida a Paris, la quale, ognora che io la veggio, m’accende nel cuore uno ardore virtuoso sì fatto, che s’io d’un vile ribaldo nato fossi, mi faria subitamente ritornare gentile. Né niuna volta è che io i suoi lucentissimi occhi riguardi, che da me non fugga ogni vile intendimento, se alcuno n’avessi. Adunque, poi che questa a virtuosa vita mi muove, non che ella è gentile, come di sopra detto è, ma se ella fosse la più vil feminella del mondo, sì è ella da dovere essere amata da me sopra ogni altra cosa. Ma poi che tanto v’aggrada che io studii, acciò che riputato non mi possa essere in vizio il non ubidirvi, farollo volentieri; ma se mia vergogna vi sembra che costei per le strane scuole mi venga seguendo, levate la cagione acciò che non seguiti l’effetto: non vi mandate me, il quale sono presto d’andarvi, poi che a voi piace, e impromettetemi di mandarmi lei. Sieno del loro amore ripresi la trista Mirra e lo scelerato Tireo e la lussuriosa Semiramis, i quali sconciamente e disonestamente amarono, e me più non riprendete, se la mia vita v’aggrada -.