Filocolo/Libro secondo/20

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Libro secondo - Capitolo 20

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Libro secondo - Capitolo 20
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Nel tempo della seconda battaglia stata tra ’l magnifico giovane Scipione Africano e Annibale cartaginese tiranno, essendo già la fama del valore di Scipione grandissima, avvenne che uscito del campo d’Annibale un cavaliere in fatto d’arme virtuosissimo, chiamato Alchimede, con molti compagni per prender preda nel terreno de’ romani, acciò che ’l campo d’Annibale copioso di vittuaglia tenessero, Scipione, uscitogli incontro, dopo gran battaglia tra loro stata, gli sconfisse, e lui ferì mortalmente abbattendolo al campo. Alchimede vedendosi abbattuto e sentendosi solo, da’ suoi abandonato e ferito a morte, alzò il capo e riguardò il giovane, il quale la sua lancia avea a sé ritratta, forse per riferirlo, e videlo nel viso piacevole e bello, e niente parea robusto né forte come i suoi colpi il facevano sentire, a cui egli gridò: - O cavaliere, non ferire, però che la mia vita non ha bisogno di più colpi a essere cacciata che quelli che io ho, né credo che il sole tocchi le sperie onde che l’anima mia fia a quelle d’Acheronta. Ma dimmi se tu se’ quel valoroso Scipione cui la gente tanto nomina virtuoso -. Il quale Scipione, riguardandolo e udita la voce, il riconobbe, però che in altra parte aveva la sua forza sentita, e disse: - O Alchimede io sono Scipione -. Allora Alchimede gli porse la destra mano e con fievole voce gli disse: - Disarma il già morto braccio, e quello anello il quale nella mia mano troverai, prendilo e guardalo, però che in lui mirabile virtù troverai: che a qualunque persona tu il donerai, elli, riguardando in esso, conoscerà incontanente se noioso accidente avvenuto ti fia, però che il colore dell’anello vedrà mutato, e sì tosto come egli l’avrà veduto, la pietra tornerà nel primo colore bella. E a me per tale cagione il donò Asdrubal, fratello al mio signore Annibale, a cui tu tanto se’ avverso, quando di Spagna mi partii da lui, che più che sé m’amava. Io sento al presente la mia vita fallire, e sola d’alcuno amico; onde, se io qui muoio con esso, o perderassi, o troverallo alcuno il quale forse la sua virtù non conoscerà, o che forse non sarà degno d’averlo: e però io amo meglio che tu, posto che offeso m’abbi, il tenghi in guiderdone della tua virtù, che alcuno altro il possegga per alcuno de’ detti modi -. E detto questo, la debole testa sopra il destro omero bassò; e dopo picciolo spazio si morì. Scipione, prestamente disarmata la mano del rilucente ferro, più disioso della virtù dell’anello che del valore, trovò il detto anello bellissimo, e fino oro il suo gambo, la pietra del quale era vermiglia, molto chiara e bella: il quale egli prese, e mentre che viveo con gran diligenza il guardò. Ma poi, pervenendo d’uno discendente in altro della casa, pervenne al valoroso Lelio, il quale, essendo consueto d’andare sovente per lo bene della republica, come valoroso cavaliere non tralignante da’ suoi antichi, fuori di Roma contro a’ resistenti, donò questo anello alla misera Giulia, dicendole la virtù, acciò che ella sanza cagione di lui non dubitasse. E quando lo infortunato caso da non ricordare l’avvenne, l’avea ella in mano, e per dolore il si trasse e diedelo a guardare a Glorizia, dicendo: - Omai non ho io di cui io viva più in dubbio, né per cui la virtù del presente anello più mi bisogni -. Ma dopo la morte di Giulia, Glorizia il donò a Biancifiore, dicendole come del padre di lei era stato e appresso della madre, e la virtù di lui: il quale Biancifiore lungo tempo caramente guardò. E ricordandosene allora, lo portò dove Florio era, e così cominciò piangendo a parlare: