Filocolo/Libro secondo/75

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Libro secondo - Capitolo 75

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Libro secondo - Capitolo 75
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Poi che pervenuti furono a Montoro, i due cavalieri, sanza alcuno romore o pompa, quanto più poterono celatamente al tempio di Marte smontarono, e passati dentro a quello fecero accendere fuochi sopra i suoi altari, ne’ quali divotamente misero graziosi incensi: e fattisi disarmare, le loro armi offersero a’ santi altari in riverenza e perpetuo onore del valoroso iddio. E appresso rivestiti di bianchissimi vestimenti se n’andarono al tempio di Venere, ivi molto vicino, tutti soletti e quello fatto aprire, uccise con la sua mano un giovane vitello, le cui interiora con divota mano ad onor di Venere mise negli accesi fuochi. Le quali cose faccendo Florio, per tutto il tempio si sentì un tacito mormorio dopo il quale fu sopra i santi altari veduta la santa dea coronata d’alloro, e tanto lieta nel suo aspetto, quanto mai per alcuno accidente fosse veduta, e con sommessa voce così cominciò a dire: - O tu, giovane sollecito difenditore delle nostre ragioni, agl’iddii è piaciuto che io ti debbia porgere la corona del tuo triunfo, acciò che tu per inanzi ne’ nostri servigii e nelle virtuose opere prenda migliore speranza, e più ferma fede nelle nostre parole -; e detto questo, con le propie mani presa la corona del suo capo, ne coronò Florio. Allora Florio, in sé di tanta grazia molto allegro, cominciò così a dire: - O santa dea, per la cui pietà tutti coloro che a’ loro cuori sentono i dardi del tuo figliuolo, come io fo, sono mitigati, quanto il mio potere si stende, tanto ti ringrazio di questo onore, il quale tu con la divina mano porto m’hai. Ma però che più la tua potenza che ’l mio valore adoperò nella odierna battaglia, io di questa corona al tuo onore ornerò i tuoi altari -. E questo detto, trattasi la corona della testa, sopra i santi altari con grandissima reverenza la pose, e dirizzossi; e uscito del santo tempio, niuno altro in Montoro ne rimase che da lui visitato non fosse, e onorato con degni sacrificii. La qual cosa fatta, egli e Ascalion, tornati al palagio del duca così freschi come se mai arme portate non avessero, montarono nella sala, ove trovarono il duca con molti altri, i quali tutti si maravigliavano e ragionavano quello che di Florio potesse essere, che veduto non l’aveano quel giorno. Il quale quando il duca il vide, lietamente andandogli incontro l’accolse, dicendo: - Dolce amico, e dove è oggi vostra dimora stata, che veduto non v’abbiamo? Certo noi eravamo tutti in pensiero di voi -. A cui Florio faccendo grandissima festa disse: - In verità io sono stato, e Ascalion con meco, in un bellissimo giardino con donne e con piacevoli damigelle in amorosa festa tutto questo giorno -. - Ciò mi piace - disse il duca, - e questa è la vita che i valorosi giovani innamorati deono menare, e non darsi in su gli accidiosi pensieri, consumandosi e perdendo il tempo sanza utilità alcuna -.