Filocolo/Libro terzo/72

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Libro terzo - Capitolo 72

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Fece allora Florio prendere i molti tesori e fare l’apprestamento grande per montare sopra una nave, posta nel corrente Adice, vicino alle sue case. Le quali cose vedendo la reina uscì della sua camera, e bagnata tutta di lagrime venne a Florio nella sala dove con li compagni dimorava, e disse: - O caro figliuolo, che è quello ch’io veggo? Hai tu proposto d’abandonarci così tosto? Ove ne vuoi tu ire? Che vuoi tu andare cercando? Oimè, come così subitamente ti parti tu da me? Non pensi tu quanto tempo egli è passato che io non ti vidi, se non ora? E ora con tanta tristizia t’ho veduto che se veduto non t’avessi, mi sarebbe più caro! Deh, per amor di me, non ti partire al presente. Non vedi tu le stelle Pliade, le quali pur ora cominciano a signoreggiare? Aspetta il dolce tempo nel quale Aldebaran col gran pianeto insieme surge sopra l’orizonte: allora Zeffiro levandosi fresco aiuterà il tuo cammino, e il mare, lasciato il suo orgoglio, pacifico si lascerà navicare. Deh, non vedi tu tempo ch’egli è? Tu puoi vedere ad ora ad ora il cielo chiudersi con oscuro nuvolato, e levandoci la vista de’ luminosi raggi di Febo, di mezzo giorno ne minaccia notte: e poi di quelli puoi udire solversi terribilissimi tuoni e spaventevoli corruscazioni e infinite acque. E tu ora vuoi i non conosciuti regni cercare, ne’ quali se tu fossi, non saria tempo di partirtene per tornare qui? Deh, or non ti muove a rimanere la pietà del tuo vecchio padre, il quale vedi che del dolore che sente di questa partita si consuma tutto? Non ti muove la pietà di me, tua misera madre, la quale ho de’ miei occhi per te fatte due fontane d’amare lagrime? Oimè, caro figliuolo, rimani. Ove vuoi tu ire? Tu vuoi cercare quello che tu non hai, per lasciare quello che tu possiedi, né forse avrai già mai! Tu vuoi cercare Biancifiore, la quale non sai ove si sia: e se pure avvenisse che tu la trovassi, chi credi tu che sia colui che a te forestiero e strano la rendesse? Non credi tu che le belle cose piacciano altrui come a te? Chiunque l’avrà, la terrà forse non meno cara che faresti tu. Lasciala andare, e diventa pietoso a stanza de’ miei prieghi. E se tu non vuoi di noi aver pietà, increscati di te medesimo e de’ tuoi compagni, e non vogliate in questo tempo abandonarvi alle marine onde, le quali niuna fede servano, avvegna che esse con li loro bianchi rompimenti mostrano le tempeste ch’elle nascondono; e i venti similemente sanza niuno ordine trascorrono, ora l’uno ora l’altro, e fanno strani e pericolosi ravolgimenti di loro in mare, e sogliono in questi tempi con tanta furia assalire i legni opposti alle loro vie, che essi rapiscono loro le vele e gli alberi con dannoso rompimento, e talora loro o li percuotono a’ duri scogli, o li tuffano sotto le pericolose onde. Temperati e rimanti di questa andata al presente: la qual cosa se tu non farai, più tosto delle dure pietre e delle salvatiche querce sarai da dire figliuolo, che di noi. E se a te e a’ tuoi compagni, i quali paurosi ti seguitano conoscendo questi pericoli, farai questo servigio di rimanere, io m’auserò a sostenere la futura noia, pensando continuamente che da me ti debbi partire, né mi sarà poi la tua andata sì noiosa come al presente sarà, se subitamente m’abandoni -. A cui Florio rispose: - Cara madre, per niente prieghi, e dell’audacia che hai di pregarmi mi maraviglio. Fermamente, se io già col capo in quelli pericoli che tu m’annunzi mi vedessi, io più tosto consentirei d’andare giuso e di morire in quelli, che di tornare suso per dovere con voi rimanere, però che sì fattamente avete l’anima mia offesa, che mai perdonato da me non vi sarà, infino a tanto che colei cui tolta m’avete, io non riavrò. E però voi rimarrete, e io co’ miei compagni, come la rosseggiante aurora mostrerà domattina le sue vermiglie guance, ci partiremo sopra la nostra nave, la quale forse ancora qui carica tornerà del mio disio -.