Fior di Sardegna/Capitolo VIII
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VIII.
Venne così l’inverno. Gli affari di Ferragna andavano a volo, tanto che si era procurato l’odio e le cause di quasi tutti gli avvocati di X***; si diceva che in pochi mesi aveva guadagnato più di venti mila lire; ciò non si sapeva di sicuro, però si sapeva che il lusso o lo sfarzo regnavano nella palazzina bianca e che agli ultimi di novembre Marco aveva acquistato una «tanca» dai Massari, che vendevano gli ultimi avanzi del loro patrimonio. Si susurrò assai in paese per questo; perchè infine Ferragna era marito di Lara e questa figlia di Sebastiano Mannu; ma Marco fece tacere le cattive lingue dicendo pubblicamente che lui non entrava punto in inimicizie, amico di tutti, nemico di nessuno. Fu approvato. Donna Margherita solo ne mosse rimprovero segreto con suo marito, ma lui strinse le spalle mormorando: — La «tanca» si vale dieci mila lire e fu ceduta a Marco per seimila: dunque è stato un buon affare e... salute ai nemici che ci fanno far buoni affari! — Disse «ci», perchè lui aveva in idea che Marco e Lara, il più tardi possibile, morrebbero senza figli, lasciando i loro beni a Maura, Pasqua e Speranza.
La compra della «tanca» poi allegrò assai don Salvatore. Ah! i Massari divenivano più miserabili di giorno in giorno, e già don Salvatore sognava di vederseli innanzi chiedendogli l’elemosina. Ah, quel dì, quel dì! Come li disprezzava ora! Fra poco non avrebbero più un pezzo di terra al sole, una lira da spedire ai figli che studiavano a Cagliari, che pretendevano diventar avvocati, — poveroni e vigliacchi! — e per cui vendevano a vil prezzo gli ultimi avanzi del loro antico patrimonio! Ma le avrebbero ben presto spese le sei mila lire di Ferragna, e allora?...
Allora voleva vederli lui, don Salvatore Mannu, quei pezzenti vestiti come figurini; voleva vederli, senza terre e senza soldi, senza laurea e con la schiena dura non pieghevole al lavoro. Ah, avrebbero finito col mettersi guardie daziarie o farsi... preti! Che bella vendetta!
Marco Ferragna la pensava diversamente; pensava che gli studenti di casa Massari erano due bravi giovanotti che si sarebbero fatti onore... Ah, sì, sì, specialmente il grande, doveva diventar qualche cosa. Ma Ferragna si guardava bene dal dirlo davanti a don Salvatore, che l’avrebbe odiato a morte udendolo parlar così.
Pensava così Marco una trista mattina d’inverno nel suo elegante studio ben riscaldato da un gran fuoco, quando Lara mandò giù da lui una domestica pregandolo di salire. Il giovine salì subito. Trovò Lara accanto al fuoco, pallida e sconvolta.
— Che vuoi? che hai, Lara? — chiese baciandola. — Sei pallida come una morta. Ti senti male?
— Sì! — rispose lei con voce tremula. — Ti ricordi l’anno scorso a Roma? Mi sento male, con gli stessi sintomi!...
— Sarà nulla, allora! Vuoi che avvisi un medico?
— Sì! — Il medico venne: Lara fu di nuovo costretta a letto, ove rimase inchiodata per due o tre settimane. Quando si levò, non era più la Lara che vi si era coricata, ma uno scheletro vivente di fanciulla, uno stelo morente ravvolto graziosamente in un abito di casimiro bianco. Il suo viso e le sue mani parevano di cera, e l’idea di una morte vicina le offuscava i grandi occhi neri e profondi...
Ah, sì! Glielo avevano ben maledetto le ragazze di X***, e forse anche quelle di Sassari il grande amore di Marco, e quell’amore la uccideva! Era quell’amore che le aveva consumato il sangue, che le rapiva la vita; perchè non provava alcun dolore fisico, solo una stanchezza strana, uno spegnersi lento, voluttuoso, fra le braccia del suo diletto. Lara moriva sorridendo: che le importava morire, se Marco le stava vicino, morire con gli occhi fissi in quelli di lui, le mani fra quelle di lui? Moriva e non si lagnava, perchè sapeva vagamente che Marco soffriva più di lei, che avrebbe provato più dolore lui a sopravviverle che lei a morire. A poco a poco la fanciulla aveva perduta la percezione delle cose che la circondavano: la sua casa, i parenti, il passato, l’avvenire le si aggiravano intorno silenziosamente, come libellule dal volo vellutato, come le tinte vaghe, degradanti sullo sfondo di un quadro; solo Marco restava distinto, profilato negli ultimi barlumi della sua vita, solo la voce del giovine adorato riusciva a scuoterla dal suo voluttuoso torpore, solo i suoi baci ardenti le davano un fremito per il sangue morente. Sui primi di aprile, perchè la malattia di Lara durò tutto l’inverno e invano Marco aveva messo in opera ogni mezzo per salvarla, parve rialzarsi alquanto, scese in giardino, visitò la zia e promise a Maura di condurla a passeggio la domenica seguente.
Ma fu l’ultimo sprazzo di luce della sua vita; ricadde subito e morì una sera di aprile, vestita di bianco, fra le braccia di Marco, davanti al verone spalancato.
Fuori il cielo sorrideva d’oro e d’ambra nel fulgido crepuscolo di primavera, la valle verde olezzava di giunchiglie e ginestre sotto l’ombra della montagna di granito disegnata sul fondo di smeraldo dell’oriente, e nel giardino di Lara le lille fiorite fremevano alla brezza azzurra della sera... Sulle prime a Marco sembrò un sogno, un orribile sogno; ma quando si convinse della realtà, quando Lara fu portata via nella cassa di pino foderata di damasco azzurro, e la casa che aveva eretto apposta per lei, rimase vuota, desolata, come l’ajuola senza il fiore, Marco cadde in un dolore profondo, muto, furibondo, maledicendo l’inesorabile Dio in cui pure non credeva, che l’aveva colpito con la sua folgore, lui che non aveva mai peccato, lui che amava e beneficava il prossimo, lui ch’era l’essere più giusto e più buono del mondo! Lasciò X*** e i luoghi dove aveva vissuto con Lara, la casa che ad ogni momento gli ricordava una felicità irrevocabile, e andò, andò, in cerca di oblio, in cerca di pace e di calma. Col tempo il suo dolore si lenì; trovò la calma, benchè triste e senza alcun sorriso; ma a un tratto fu invaso dal desiderio di ritornare laggiù, in quel lembo sconosciuto di terra dove era stato sì felice, nella casa dove «lei» era morta.
E ritornò!... Solo chi ritorna dopo alcun tempo al nido ove conobbe e lasciò per sempre la felicità, può immaginare ciò che Marco provò al rientrare nella casa dove aveva creduto di vivere una felicità eterna. Ormai il focolare era spento e il freddo della solitudine regnava tra i velluti e i gingilli accarezzati dalla mano di Lara; pure Marco restò, deciso di vivervi il resto dei suoi giorni, rinchiuso nella voluttà dei ricordi e del lavoro, spronato nella via del bene dalla mite e bianca visione che gli si aggirava intorno, nella penombra dorata delle stanze silenziose, nell’azzurro del cielo che scorgeva dal verone donde Lara era voltata tra il fogliame e fiori di raso delle lille del giardino. E poi altri affetti lo legavano a X***. Là, nella sua patria, la famiglia lo disprezzava sempre, qui invece Marco conservava una famiglia di amici e i parenti di Lara.
Una sera d’inverno, mentre stava accanto al fuoco, solo nella vasta camera solitaria, immerso nei suoi ricordi, una figurina nera, piccola, dai grandi occhi pensosi, aprì la porta e gli si accostò leggera leggera, fermandosi ritta dietro la sua sedia. Marco non si accorse di lei se non quando si sentì chiamare: — Zio Marco!...
— Sei tu, Maura! — esclamò volgendosi. — Vieni a visitarmi? Ah, non ci vieni spesso ora, non, come prima!...
— Credevo che tu non volessi...
— Io! Ah, sì, io, proprio... — rispose Marco, serio, serio, come stesse parlando fra sè.
— E dunque, vuoi, davvero?... — chiese Maura allegra, chinando la sua testolina davanti a Marco, che chiamava zio. — Ah, se tu lo vuoi, verrò sempre, sempre, aiuterò la tua serva a mettere in ordine la casa, e... ma tu pure bisogna che mi permetta una cosa... Sai, io voleva farla senza chiedertene il permesso, ma mamma mi ha detto: — Va’ prima e domanda a Marco se ciò non gli reca dispiacere. Son venuta per ciò... sai... Ahi, che freddo che fa fuori... altrimenti non sarei uscita; ma son venuta per ciò, sai...
— Che cosa dunque?... — domandò Marco, che si divertiva assai nel sentire il chiacchierio di quella furba e graziosa piccina.
Maura riprese: — Ah, ma mi assicuri che non ti dispiacerà, non è vero?...
— Sicuro, parla! — rispos’egli.
Allora Maura, da brava diplomatica, pensò che due carezze l’aiuterebbero di più. Sicchè passò davanti a Marco e, gli passò le manine sulle guance pallide, gli arricciò i baffetti, come usava fare con don Salvatore, allorchè voleva chiedergli qualche grazia, e gli disse lentamente: — Sai, Maura è un brutto nome e vorrei cambiarlo. Vuoi permettermi di chiamarmi Lara?...
Marco trasalì, poi sorrise al pensare allo strano scrupolo di donna Margherita, e dando un abbraccio alla bambina, esclamò: Ma sì! ma sì! ma sì!... Vuoi darmi un bacio?
Maura, contentona, gli gettò le braccia al collo e Marco, preso da un istintivo bisogno di affetto, se la prese sulle ginocchia e chiacchierò con lei per tutta la sera, come un bambino, raccontandole mille storielle e pensando ogni tanto: — Ah, se Lara mi avesse almeno lasciato un figlio!...