Fiore di virtù/XXIV

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Capitolo XXIV

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CAPITOLO XXIV.

Del timore appropriato alla lepre .

Timore, ovvero paura, ch’è contrario vizio della fortezza, secondo che dice Tullio, si è di tre maniere: la prima si è d’essere pauroso nello animo senza alcuno indizio, ma pur solo immaginando: e questo si è propriamente timore: la seconda si è a temere alcuna cosa che gli avvenga più che non si conviene, e questa si chiama viltà; la terza si è a non potere sostenere per fievolezza d’animo alcuna avversitade; e questa si è chiamata fievolezza. E puossi appropriare il vizio del timore alla lepre, la quale è la più paurosa bestia che sia al mondo; ch’essendo in un bosco, e udendo sonare foglie che si muovono per lo vento, incontanente fugge. Salomone dice del vizio della paura: Nessuna cosa è che faccia l’uomo pauroso se non la rea coscenza ch’egli ha d’essere ripreso delle sue rie opere. Tullio dice: Troppo più crudele cosa è a temere la morte che morire. Terenzio dice: Vuo’ tu essere senza paura? Fa bene, e favella poco, e viverai sicuro. Nelle Storie Romane si conta del vizio del timore, che il re Dionisio era il più vile e ’l più pauroso uomo del mondo, e per questa cagione non poteva mai avere bene alcuno; e un suo amico tutto dì gli lodava la sua vita, e dicea com’egli avea molto da lodare Iddio che gli avea dato tanto bene. Sicchè il Re lo [p. 75 modifica]chiamò un dì, e miselo nella sua sede, e sotto gli fece accendere un gran fuoco, e di sopra la testa gli fece appiccare una grande spada, legata con una setola di cavallo; e intorno gli mise tutte le gioje ch’egli avea. Guardando costui là dov’egli era, incontanente si levò suso, e pregò il Re che lo lasciasse partire di quello luogo. Allora il re Dionisio gli disse: Tu lodavi molto la vita mia: dunque non la lodare più; chè io sto continovamente in maggiore timore che quello là dove tu eri e tu non vi se’ potuto stare un’ora.