Gazzetta Musicale di Milano, 1850/N. 1

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N. 1 – 13 gennaio 1850

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Gazzetta Musicale di Milano, 1850 Suppl. N. 1

[p. 1 modifica]- 1 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO ANNO VIII. - N.° 1 SÌ pubblica ogni Domenica. 15 GENNAJO 1850 Prezzo annuo d’associazione» La Gazzetta sola eff. sonanti aust. L. 12 per Milano, e L. 14 per fuori. La Gazzetta colla musica " n 20 n «25 n «Le associazioni alla sola Gazzetta si ricevono anche per semestre; quelle alla Gazzetta colla musica sono obbligatorie per un anno. L’Associalo alla Gazzella colla musica ha diritto di scegliere nello Stabilimento dell’editore Ricordi quei pezzi musicali di sua edizione che gli tornassero a grado, non escluse le più recenti novità, sino alla concorrenza di 20 franchi, prezzo marcato. Le associazioni si ricevono in Milano nello Stabilimento dell’editore-proprietario Gio. Ricordi, contrada degli Gmenoni N. 1720, e sotto il portico a fianco deli’ I. R. Teatro alla Scala; nella Monarchia e all’estero presso i principali negozianli di musica e presso gli uffìcj’ postali. - I signori Associali fuori di Milano sono pregati a dirigere tanto i gruppi quanto le lettere relative alla Gazzetta all’Ufficio della Gazzella Musicale di Milano. I pagamenti delle associazioni debbono essere anticipati. - Qualsiasi spesa di porto pcr musica, lettere c gruppi sarà a carico dell’Associato. Sommario. - Lna riconciliazione musicale. - Haydn al teatro della Wieden. - Giuseppa Grassini. -1. R. Teatro alla Scala. - Carteggi particolari e Notizie. Il ritardo di alcune corrispondenze ci ha, nostro malgrado, costretti a protrarre d’una settimana questo primo numero. I signori Abbonati ne avranno per altro quel compenso a cui hanno diritto, nel corso dell’anno. UNA RICONCILIAZIONE MUSICALE L’assurda e burlesca contesa dei Gluchisti e dei piccinisti affrettò lo scioglimento e il giudizio di una causa che pendeva da oltre vent anni dinanzi il parlamento di Farigi, fra il conte d’Avaux cd il marchese di Crémar. Quest’episodio della grande guerra musicale, che contribuì da sua parte a render celebri tanto gli ultimi anni del secolo XVIII, è troppo bizzarra per non essere qui riportata. Gluck volle accommiatarsi dai parigini con un capolavoro; Ifigenia in Tauride fu composta e data sulle scene del teatro dell’opera nell’anno 1779. Il giorno della prima rappresentazione fu per cosi dire una solennità nazionale; il salone dell’Accademia reale di musica poteva a stento contenere gli ammiratori fanatici dell’autore d’Armida. I palchetti invasi da persone addette alla Corte di Francia, e dalle signore più belIe e più ricche dell’epoca, scintillavano di perle, di giojelli, di fiori, di oro e spandevano per ogni intorno profumi; il trionfo era già assicuralo in anticipazione; e, dal loggione alla platea, ognuno si disponeva a salutar l’opera dell’Orfeo viennese con unanimi acclamazioni. Ferò un piccolo numero di zelanti piccinisti si era dato appuntamento in platea per protestare contro la buona riuscita dell’Ifigenia. Il primo atto è udito dal principio alla fine con sommo favore; ma, in sul terminar del secondo, alcuni fischi acuti si confondono con gli applausi della moltitudine. A questo segnale d’una malevolenza, d’un’opposizione concertata, i bravo prorompono da tutte le parti, accompagnati da fragorosi battimani. I Piccinisti, riconosciuti e segnali a dito dai palchetli, sono assaliti in mezzo alla platea, arrestali dai commessi di polizia, e condotti fuor del teatro come perturbatori della pubblica quiete. Ma giunti al posto occupato dalle guardie francesi, i piccinisti stessi reclamano con solenni proteste la loro immediata libertà. — Siamo rassegnati a giuntarvi il nostro danaro, essi gridano, ma non intendiamo di passare al corpo di guardia quelle ore clic potremmo consumare assai meglio. — Me ne duole, signori miei, risponde l’officiale, ma io non posso appagare i vostri desidcrj, giacché ho ricevuto ordine di non lasciarvi in libertà se non dopo la rappresenlazione. Se però qualcuno di voi ha mezzo di reclamare, io non porrò ostacolo alcuno alla sua uscita da questo luogo. Due procuratori del parlamento, Lionnet e Marteau, che si trovavano fra gli arrestati, dissero all’officiale: — Abbiamo riconosciuto due nostri clienti nei palchetti di proscenio; fateci il favore di mandare a cercarli. — Di buon grado, rispose l’jufficiale^come si chiamano? — Il conte di Avaux e il marchese di Crémar. — • Basta cosi. Fu subito spedilo un sorgente al teatro, e questi due titolati si presentarono poco stante al corpo di guardia. Entusiasti di Gluck sino al fanatismo, questi due signori furono presi da santo sdegno all’udire il motivo dell’arresto dei due| procuratori. — Come, signori? essi esclamarono, voi piccinisti!! — E perchè no? rispose Marteau; le opinioni musicali non son forse libere? Almeno le musicali!... — Perfettamente d’accordo; ma cercar di farle prevalere con manifestazioni contrarie al buon ordine ed alle convenienze, ci sembra un fallo imperdonabile da parte di uomini gravi e sensali. — Signore, noi abbiamo fatto uso di un diritto, di un diritto pagato alla porta, prolestando contro applausi che non ci sembravano meritati.. — E che in fatti non lo erano, soggiunse improvvisamente un giovane, la cui cera cupa ed i lineamenti, duri e feroci annunziavano un carattere vioIento. — Voi. tacete, Tinvillej disse Marteau; sapremo difendere da noi stessi, senza il vostro soccorso, la nostra causa, che è quella della giustizia e del buon diritto. — Dio mi perdoni, Marteau, ma parmi che questo spaccone sia vostro giovane di studio, riprese il marchese di Crémar. E volgendosi al giovane stesso: anche voi dunque, ei soggiunse, avete il ticchio di voler essere picei nisla? — E perchè nol sarò? rispose fieramente l’interrogalo, cacciandosi il cappello sugli occhi. In un luogo di pubblico spettacolo, dove tulli si aprono l’ingresso col proprio danaro, il pralicanle di un procuratore può, come un duca ed un pari, manifestare come gli piace la propria opinione. — Si vede che Boileau vi è mollo familiare, disse il Marchese: ün clerc, pour quinze sous, sans craindre le holà, Peut aller, s’il lui plaît, attaquer Attila, Et si le roi des Huns ne lui charme l’oreille, Traiter de Visigots tous les vers de Corneille. — Signor Marchese, citazione per citazione, replicò impetuosamente il praticante di Marteau. Alcuni anni sono, il signor di Voltaire dirigeva a Grélry che, simile al nostro piccini, non aveva trovalo grazia dinanzi alla platea dorata di Trianon, la seguente quartina: La cour a sifflé tes talents, La ville applaudit tes merveilles. Gretry, les oreilles des grands Sont souvent de grandes oreilles. Ho quest’oggi la certezza, signor Marchese, che de Voltaire non vi ha calunnialo. — Insolente! gridò il Marchese alzando sul giovane il suo bastone dal pome doralo. I due procuratori e il conte d’Avaux si gettarono fra il Marchese e il praticante di sludio il quale, coll’occhio fiammeggiante, la testa alta e il pugno stretto e nocchiuto, si disponeva a respingere la forza con la forza. — Lasciatelo fare, lasciatelo fare! egli disse ai mediatori; gli proverò, quando vorrà, che la spada d’un popolano e di un giovane di studio è ben temprala al pari di quella d’un nobile. — Da quanto succede, disse il conte d’Avaux ai due procuratori, devo indurre che la noslra presenza in questo luogo non possa esservi di nessun utile; perciò ce ne andiamo. Se il signor Comandante di questo posto militare volesse, sotto la personale sua responsabililà, lasciarvi uscire, ne avremmo piacere; ma noi non possiamo, ne converrete voi stessi, chiamarci mallevadori della tranquillità di per [p. 2 modifica]sone che fanno uso d’insulti e di villanie per ottenere un servigio. Il conte d’Avaux e il marchese di Crémar si ritirarono in fatti, lasciando i due onesti procuratori mortifica fissimi della scena successa. Ma intanto che questi apostrofavano scriamente l’ardente loro compagno, il marchese si avvicinava, nella sala del ridotto, al conte, e gli teneva il seguente discorso. — Mio caro conte, Molière ha detto: La collera di un medico è più temibile di quanto si creda (de Crémar era un citatore per la vita); ma la collera di un procuratore non è meno pericolosa, perocché se l’uno ha fra le mani il filo della nostra esistenza, l’altro ha in suo possesso i titoli delle nostre ricchezze

 e dei nostri beni. Noi siamo in lite

da venti anni, e possiamo continuare ad esserlo

 venti altri, se piace ai due procuratori

di vendicarsi dell’averli noi abbandonati in questa circostanza. Credete a me, poniamo un termine a cause che ci mandano in rovina, viviamo in buona intelligenza e facciamo che la nostra amicizia abbia principio stabile e durevole dalla prima rappresentazione dell’Ifigenia in Tauride. Il Conte d’Avaux accettò di buon grado la proposta pacifica del marchese di Crémar, e allungandogli la mano: — Marchese, gli rispose, sono al pari di voi disposto alla pace. Scegliete un arbitro e la sua sentenza sarà per me inappellabile. De Crémar pregò il signor de Malesherbes acciocché gli piacesse di giudicare in ultima istanza i punti in disputa. L’onesto e virtuoso magistrato si sdebitò di questo incarico difficile con piena soddisfazione delle parti; e una causa di vent’anni fu terminata in poche ore, con sommo dispiacere sicuramente dei poveri procuratori, che si vedevano privati per tal modo delIe enormi propine che procacciavano allora, come procacciano oggidì agli avvocati, le procedure

 civili lunghe e complicate.

Il signor Marteau deplorando, dopo quel giorno, il gusto ch’egli aveva avuto si mal a proposito per la musica di piccini, suoleva ripetere co’ suoi amici quel vecchio adagio, si pieno di buon senso e che molle persone dovrebbero ricordar con frequenza; Ne suitor ultra crepidam. Il praticante di studio piccinista, Tinville, comperò, alcuni mesi dopo, una carica di procuratore

 al parlamento; tredici anni da poi,

questo stesso procuratore, accusator pubblico presso il tribunale rivoluzionario, sotto il celebre

 nome di Fouquier-Tinville, faceva condannare

a morte il marchese di Crémar e mandava al patibolo il saggio Malesherbes. P. al teatro della Wieden Era la sedicesima volta che celebravasi a Vienna l’anniversario della morte di Mozart, allorché la vedova e il figlio di lui, volendo dare un doppio movente a quest’ovazione annuale, imaginarono di festeggiare il giorno natalizio

 di Haydn, in età allora di settantasei

anni. Quanto la capitale della Monarchia possedeva

 d’artisti, d’amici o protettori delle arati, quanto di ricchi signori, ecc. s’affrettò

a sottoscrivere a sì felice progetto, e venne scelto a tal uopo il teatro delia Wieden. Fra le tante persone che consideravano siccome

 dover religioso il tributare omaggi, ogni

anno, alla memoria di Mozart, Haydn solo non poteva assistere alla cerimonia; perocché la debolezza di sua salute, conseguenza dei suoi numerosi lavori, obbligavalo suo malgrado a non uscire di casa. S’egli non avesse seguilo che gli impulsi del proprio cuore, vi sarebbe andato sicuramente; ma le prescrizioni

 del dottor Capellini, e più di esse le

preghiere de’ suoi amici nel dissuasero. Era un grande sagrificio ch’egli faceva all’amicizia! però, non sì tosto venne a sapere, come si unisse il suo nome a quello di Mozart, e come egli fosse destinalo a divider gli onori della solennità, addio prescrizioni, mediche, addio preghiere amichevoli! Egli andrà sicuramente al teatro, poiché vuole trovarsi, ancora una volta, in mezzo agli artisti, e fra quel pubblico al quale ha consacrato

 per tanti anni le proprie voglie, i propri
 lavori.

È impossibile descriver la gioja onde fu compreso ognuno alla Wieden, allorché si seppe che Haydn voleva essere presente alla festa! Un’idea malinconica ad ogni modo veniva a mescersi col piacere.... E s’egli morisse per via?... Avrà la forza di arrivare sin qui? di resistere alle sue emozioni?... - Tale era il soggetto dei discorsi di lutti. A un tratto, sorgono nella sala della Wieden

 altissime grida; è il popolo che saluta

il vecchiardo: egli è portato al teatro! — E chi è l’uomo al cui braccio il Venerando

 s’appoggia? Forse un parente? Un

artista? - No, è desso il bucciere pel quale egli compose una volta il minuetto del bue; è un amico riconoscente. Si aprono le porte, e Ia principessa Estherhazy muovesi ad incontrare il maestro. Gli applausi degli spettatori si confondono coi canti dell’orchestra che lo saluta; ma egli non può rispondere che con la mano, giacché l’emozione

 ha attenuate, rifinite le di lui forze.

Haydn è collocato frattanto in una sedia a bracciuoli, nel mezzo di triplice fila di seggiole destinale agli amici dello spettabile vecchio; e dopo breve silenzio, durando il quale ognuno cerca nascondere quelle lagrime che gli potrebbero svegliare nell’anima sinistre impressioni, il maestro Salieri abbandona l’orchestra e si presenta a ricevere gli ordini del grande maestro... Qui, il loro pianto confondesi insieme, e i due amici stanno per lungo tempo strettamente abbracciati. Ma Salieri torna all’orchestra, ed è già dato il segnale. La cantala che Mozart aveva composta per Haydn è quella che apre il concerlo. Succede a questo pezzo la Creazione. La Fischer, Weitmùller e Radici cantan gli a solo. Invano, per un istante, la mano dell’illustre autore, tenta di battere il tempo.... essa ricade, e la sua testa s’inchina. Si accorre da tutte le parti, si trema d’una sventura.... Ma, grazie al cielo, non sono che lagrime; ultimo mezzo a noi concesso dalla natura

 per mostrare le nostre gioje, i nostri

affanni.... e sono lagrime di dolcezza! Tutto è sospeso per breve intervallo; le tenere sollecitudini degli astanti lo richiamano in sè, e gli restituiscono un po’ di forza.... Ricomincia il concerto; ma doppiamente rattristato e dalla vista di un grand’uomo che spegnesi e dal recente timore; quindi la musica

 assume tutt’altro aspetto. Non è più,

quasi diremmo, un concerto; è una preghiera all’Eterno affinchè prolunghi i giorni di Haydn. Rifinito da tante emozioni, egli è assalito da un tremito generale. Il dottor Capellini, che non lo perde di vista, teme che le sue gambe non sieno coperte abbastanza, e in un momento si recano d’ogni parte scialli di cachemire. — Che cosa bisogna fare, Dottore? parlale. — Grazie, miei buoni amici; grazie, miei cari, ripete una voce debole e quasi spenta... Nulla... nulla... è finito. Le forze lo abbandonano; ognuno si offre di portare il maestro a casa sua. Haydn, con un gesto ne li distoglie, e volgendosi all’orchestra, solleva al cielo le mani, e pieni gli occhi delle sue ultime lagrime, benedice ai suoi vecchi amici. Alcuni giorni dopo, Haydn non era più. P. Nella sera del 5 corrente, con la rassegnazione

 del giusto spirava la celebre cantante
 Giuseppa Grassini, nata a Varese nell’anno

1775, e l’accompagnavano nel suo morire la stima di tutti coloro, che, amici delle patrie.glorie, si contristano ogni qualvolta venga a mancare una di esse. - Il nome della Grassini era già divulgalo pria che al secolo XVIII subentrasse il presente, nel principiar del quale la fama di lei pervenne ad un apogeo come ben poche artiste melodrammatiche poterono conseguire. Da Zucchinetti, che di sè lasciò buona ricordanza qual maestro della cappella varesina, apprese le prime nozioni di musica e di solfeggio; quindi il raro timbro

 di voce e la beltà della persona indussero

il generale Belgiojoso ad incaricarsi della sua educazione, compita in Milano dal maestro Secchi, lo stesso che fu più tardi professore al Conservatorio di Musica. Nel prodursi sulle scene ebbe la fortuna di cantare con Marchesi nel carnevale del 1794 alla Scala, con Rubinelli e Brizzi nel successivo anno alla Fenice di Venezia, c con Crescentini di nuovo alla Scala nella Giulietta e Romeo del Zitigarelli nel 1796, e negli Orazj e Curiazj di Cimarosa a Venezia nel 1797, spartiti espressamente

 musicali, ed il suo talento pertanto

potè tosto informarsi a uno stile di perfezione oggidì sconosciuto. Un successo non aspettò l’altro; ne’ primarj teatri ed in regali concerti

 fu accolta con entusiasmo, ottenne ricchezze, e cospicui omaggi le vennero tributati

dalle sommità dell’epoca, compresa la più radiante di tutte. Poco dopo la vittoria di Marengo, Bonaparte, intesala in una serata dal generale Belgiojoso, e preso d’affascino, la volle a Parigi, ove al 22 luglio del 1800 cantò al Campo di Marte in un concert-monstre a cui presero parte ottocento esecutori. - Visitò Berlino, Londra, Monaco, poi richiamata in Francia fu assunta a direttrice del teatro italiano ed a virtuosa dell’imperiale Corte con stipendi! munificenti e con una pensione di 15000 franchi

 che ebbe a perdere colla caduta dell’impero. La Grassini nelle sere degli 11 e 15

aprile 1817 diede due accademie alla Scala, e per l’ultima volta comparve sulle scene, se pur non si erra, in Brescia neI 1819, cantando con Giuditta Fasta gli Orazj e Cu [p. 3 modifica]riazj. La provetta cantante lombarda in quella circostanza influì grandemente sullo sviluppo artistico della giovane milanese, dappoi l’insuperata interprete d’Anna Balena e di Norma. I musicisti, che in teatro ebbero a bearsi della deliziosa emissione de’ suoi suoni, del suo accento penetrante, dell’imponente suo fraseggiare, non dimenticheranno mai il sovrumano potere dell’esteso e soave organo deila Grassini. Chi, addolorato, verga questi brevi cenni necrologici, non ha molto, potè concepire qualche idea dell’eccellenza sua, con mezzi dal tempo affievoliti

 udendola modulare la famosa ultima cantilena
 della Giulietta e Romeo. 0h se le cantanti
 che ora fra i plausi vanno assordando le

platee avessero potuto insinuarsi nell’interpretazione di quelle poche battute, per la omogeneità

 e finezza de’ portamenti vocali di una

settuagenaria avrebbero avuto agio di mistirare quanto esse e con quanto detrimento dell’arte abbiano forvialo dal retto sentiero! - Da molli anni la Grassini (maritata Ragani) era solita passare i suoi giorni tra Milano e Parigi, sicché nel discorrere si abituò ad un miscuglio di francese e d’italiano di una piccante

 originalità. - I consigli di lei valsero a

svelare la tradizione della classica scuola antica alle di lei nipoti Giuditta e Giulietta Grisi e ad innalzarle in un rango distinto. - Nella Grassini la bontà di cuore e generosità d’animo, per cui a benefizio altrui buona parte del suo aveva converso, non erano meno da onorarsi

 che la eminente virtù nel canto. I. C.

I. R. TEATRO ALLA SCALA. La prima sera della stagione di carnevale venne inaugurala coll’opera Attila, dell’egregio maestro Verdi. Multo si è scrino e sul dramma e sulla musica, ed anche la nostra Gazzetta ne pubblicò già due articoli nei primi numeri del 1847, epoca in cui venne per la prima volta rappresentala al nostro Gran Teatro. Non faremo perciò che qualche cenno sui nuovi cantanti clic vi presero parte. - Una nuova artista per noi è la signora Cruvelli, che da poco tempo calca le scene, ma che ottenne già altrove buoni successi. Essa sostenne

 plausibilmente la parte d’OdabelIa, ed

ebbe meritati segni d’approvazione, massime nella sua cavatina. I pregi che possiede d’una robusta e flessibil voce di vero soprano, d’una figura interessante e di molta energia di sentimento, la rendono ben accetta al pubblico, il quale seppe apprezzare le sue doti. - Speria mo che gli applausi avuti la incoraggieranno a non pretermettere lo studio, col quale solo potrà rendere più nitidi alcuni difficili passi che in quest’opera, fortemente accompagnata dall’orchestra, non lasciano apparire l’imperfetta loro esecuzione, ma che in altro spartito di canto più libero e scoperto lascierebbero alcun che da desiderare. Il bisogno che abbiamo d’un’artista che possa sostenere il peso dei grandi teatri, ci anima a spingere la signora Cruvelli verso il perfezionamento dell’arte, e quindi a curare l’espressione del canto, massime nei larghi, non che il dignitoso sceneggiare; le quali cose, accoppiate coi doni che possiede, formeranno quel complesso d’arte e natura che è necessario a riescire eccellente. Il protagonista, signor Manfredi, nuove per noi, disimpegno lodevolmente la parte affidatagli. Fu in lui rinvenuta una buona voce di basso, bastevole franchezza d’azione e di canto, ed in particolare una buona accentuazione. Solo crediamo possa tornargli utile d’evitare lo sforzo che fa troppo frequente di voce,massime quando non lo richiede nè la frase musicale, nè il colorito drammatico; giacché il nostro teatro, ancorché vasto, è per natura sonoro, e può essere sicuro di farsi udire anche

 con canto naturale. Mantenendo la voce in

un medio equilibrio, avrà libero il campo a rinforzarla e diminuirla, come si richiede dal chiaro scuro e dal buon genere di canto. Il tenore Musich è già noto favorevolmente al nostro pubblico, e ottenne applausi nella parte di Foresto per giusta declamazione e per espressione di canto. Il baritono Gnone parimenti nolo a noi, cantò bene l’adagio della sua aria, e venne in generale apprezzalo

 nella parte di Ezio.

Non vogliam però terminare questo breve cenno senza notare, che sarebbe desiderabile una più accurata esecuzione nel largo del finale secondo, nel quale avviene spesso che taluno degli artisti, nel punto in cui il canto è senza accompagnamento, prendendo l’iniziativa con una nota un poco calante, trae gli altri a secondarlo

 e a deviare vieppiù dalla giusta intonazione; per cui giungendo al forte dove ai

cantanti s’unisce l’orchestra, è forza notare una distanza che riesce troppo sensibile anche all’orecchio meno intelligente. Nella sera di sabato 5 corrente fu poi data per seconda opera il Cellini a Parigi, melodramma di Gio. Peruzzini, musicalo dal maestro Lauro Rossi pel teatro d’Angennes in Torino, nel 1845. Fu già riferito in questa

 Gazzetta, come l’opera ottenesse al suo

comparire esito fortunato. Si legge nel N.° 25 di quell’anno un articolo del sig. M.° Luigi Rossi, in cui sono accennale le bellezze che venivano encomiale dal pubblico Torinese. Sfortunatamente non ebbe l’opera un simile successo tra noi: e solo furono qui notati i difetti, le bellezze passarono inosservate. Limitandoci quindi a parlare degli esecutori, faremo innanzi tutto lodevole menzione dell’esordiente signora Luxore di Genova, la quale dà le migliori possibili speranze e promette un felicissimo avvenire. Essa è dolala di chiara, intuonata ed estesa voce di soprano, che facilmente sale fino al re sopracuto e discende alle note basse con notevole eguaglianza. Sempre

 mantenendo una perfetta intonazione eseguisce
 i più difficili passi con molta franchezza

e con una precisione che può dirsi mirabile in un’esordiente. Da questo lato merita fin da quest’ora distinti elogi. Infatti, ancorché il pubblico

 si serbasse freddo nel maggior corso dell’opera,

diede in applausi fervorosi all’esecuzione

 della sua aria, nella quale soprattutto

fece apparire i pregi che abbiam mentovati. Ci lusinghiamo del resto che ponendosi sotto una buona direzione progredirà nell’incamminata carriera, viemmeglio perfezionando le doli che possiede, e procurando di acquistare maggior

 sicurezza nella terminazione delle frasi

come nelle abitudini della scena. - Avendo riguardo al suo buon esito avvenire, crediamo opportuno di avvertirla, che la sua voce essendo

 bella, ma per indole dilicata, converrà

che ben si guardi cosi dagli slanci esagerali che sventuratamente vennero tanto di moda al nostro secolo, come dal cantare in opere troppo

 istrumentate che obbligano l’artista a continui
 sforzi di gola.

Il baritono Superchi sostenne con molto merito la parte di protagonista. È cantante ed attore provetto che giustamente venne finora acclamato sulle scene che percorse. L’azione è dignitosa ed intelligente: il canto di stile corretto e diremmo italiano, aggraziato di certe fioriture a mezza voce che ricordano gli artisti

 d’altri tempi. Si fece particolarmente conoscere
 nella cavatina e nell’aria.

Il bravo basso comico signor Soares, per quanto impegno ponesse nel sostenere il suo personaggio, non riesci ad emergere, essendo la parte sua quasi un fuori d’opera nel dramma. Fare che siasi voluto applicare ad un buffo una parte seria per natura, forse per servire a speciali richieste del teatro per cui l’opera venne scritta. Del tenore pavesi e dell’altra prima donna signora Bianchi, non ci stendiamo in particolari, essendoché l’opera non diede loro campo

 a distinguersi, massime perchè tra noi in

molte parti mutilata. Per ripiegare all’esito mancato del Cellini, nella sera di giovedì venne per ultimo messo in iscena l’Ernani. Trattandosi di musica che tulli conoscono, non diremo anche di quest’opera che qualche parola sui cantanti. E prima d’ogni altro parleremo del baritono Superchi, a cui era specialmente rivolta l’attenzione degli uditori, cosi perchè eran corse le più favorevoli prevenzioni sul conto di lui, come perchè la parte di Carlo

 V era stala fra noi cagione di varie peripezìe. Questa volta la fama non aveva grandeggiato
 nel cammino, e fummo lieti di trovare
 nel Soperchi quell’artista cantante che

molte voci ci avevano annuncialo. Ben più che nel Cellini ebbe qui campo di far bella mostra della nobile sua intelligenza nello sceneggiare, e del suo bel modo di porgere. L’artista del bel canto italiano ha qui meglio

 potuto farsi conoscere. Gli applausi più

invidiabili l’accompagnarono in tutta la parte; ma specialmente nella cabaletta, Vieni meco, sol di rose, ecc., mosse e levò il pubblico

 all’entusiasmo. E veramente egli ei fece

udire quella melodia con modi così nuovi per le nostre scene, che non solo fece onore a sè stesso, ma anche al maestro il quale seppe cosi opportunamente appropriare al suo stile quel soave concetto. Nessuno dei cantanti che hanno preceduto il Soperchi ha saputo dare a questo periodo musicale quel carattere di leggiadria e leggerezza in cui venne concepilo, e senza del quale diventa una cosa volgare. Ci duole che in alcun tratto ci abbia lascialo il desiderio di maggior nerbo di voce: ma siccome ninna cosa è perfetta sulla terra, così non gli facciam carico di ciò. La signora Cruvelli, di cui già tenemmo parola, sostenne la parte di donna Elvira. Eseguì la cavatina, se non a perfezione, almeno

 in modo da farsi applaudire, tanto dopo

l’adagio, che dopo l’allegro, al fine del quale venne due volte richiamala da fervorosi applausi. I pezzi concertali sortirono buon effetto, ed ebbero mollo risalto per la potenza della sua voce, massime ne’ suoni acuti. Di alcune mende ei pare che essa potrebbe correggersi. Per esempio, vorremmo che il trillo, posto a mezzo della cabaletta della cavatina, venisse eseguito colla nota superiore a quella scritta, anziché coll’inferiore; come pure sarebbe bene che le note susseguenti al trillo e che servono di legamento alla seconda

 parte del motivo, ella le accennasse

con minor forza e con maggior garbo. Non dubitiamo del resto che, per il suo vantaggio, vorrà anche emendarsi d’altri piccoli difetti: cioè di quella soverchia oscurità di fisionomia, che le dà un carattere troppo fiero, e di qualche sconvenevolezza nell’abbigliarsi. [p. 4 modifica]Dovremmo ragionare del tenore Musich, cui venne affidata la parte del protagonista; ma soprassalito alle prime note da un improvviso

 abbassamento di voce, dovette omettere
 i principali pezzi, e lo spettacolo fini

coll’atto terzo. Aspettiamo miglior incontro per giudicarlo. Terminiamo questi cenni con una parola di lode al basso Manfredi, che rappresentò il personaggio di Silva con bei modi di canto e di azione, tanto da doversi annoverare fra i distinti artisti. Ed infine un’osservazione al maestro concertatore. Abbiamo udito con sorpresa l’accompagnamento d’alcuni strumenti, nel principio del largo finale primo, alle parole «Vedi come il buon vegliardo>>, scritto dal compositore a sole voci, per le sue buone ragioni. Ci pare in generale sconveniente cosa quella di manomettere gli spartiti di chiari autori; quindi se il maestro lo ha fatto per l’ajuto dei cantanti a tenersi in tono, dobbiamo

 credere, per decoro degli artisti del

nostro gran teatro, che essi debbano essere in grado di eseguire nel miglior modo tutto quello che vien rappresentalo nei teatri secondarj, nei quali fu sempre eseguito il largo

 in discorso, come lo ha scritto l’autore.

0. CARTEGGI PARTICOLARI E NOTIZIE. — Brusselles -27 dicembre. - L Independence Belge pubblica il seguente decreto reale in data 24 corrente: Leopoldo, ccc. — Considerando che potrebbe essere utile il distribuire nelle scuole, nelle società liriche e nelle associazioni di operai una raccolta di canti popolari, atti a ispirare l’amore alle arti utili e ad onorare coloro che vi si dedicano; Art. I. Al nostro ministro dell’interno è data facoltà di prendere le misure necessarie per la pubblicazione di una raccolta di canti popolari nelle lingue francese e fiamminga. Art. IL Esso potrà distribuire agli autori de’ carmi e spartiti due imporli, di mille e dugento franchi ciascuno, da addebitarsi rispettivamente ai fondi di lettere c scienze e a quello delle arti belle. (Gazz. di Milano). — Firenze. Il Carnevale del 1850 si è aperto in Firenze con molte speranze, ma poche certezze. Gli animi han d’uopo di quiete perchè possano pensare ai divertimenti; pure in Firenze il teatro è quasi un bisogno, e non sarà per certo da lamentarsene la poca frequenza. I due teatri in cui si faccia musica sono la Pergola e l’Alfieri. In ambedue molte mediocrità, ed in conseguenza il resultato è facile a indovinarsi. - Alla Pergola / due Figaro del maestro Speranza. La musica di questa burletta non abbastanza conosciuta quanto meriterebbe per il suo merito, è piena di buon senso, e concorda pienamente col brillante libretto che ha scritto Romani. La Gabussi e Maggiorotti sostengono le parti di Susanna e di Figaro ambedue da sperimentati artisti, specialmente la prima che è inarrivabile per il brio comico. La Peruzzi (esordiente) disimpegna la parte di Ines; Riccio quella di cherubino, Morino quella del Conte. E da compiangersi che questo Spartito non abbia interpreti capaci di farne gustare tutte le bellezze comiche: ma in oggi è ben raro che in una compagnia di canto i soggetti non siano tutti sopra il mediacre, contentarsi se non sono al di sotto. Il ballo Renalo d’Arles, soggetto simile al Gustavo d’Auber, al Reggente di Mercadante, alla Clemenza di Valois di Gabussi, è ben disposto relativamente alla mimica., ma non piacque per l’insufficienza degli esecutori. Credo si pensi a cambiar presto e l’opera e il ballo. Per ora siamo sempre alle speranze. All’Alfieri l’Anna Bolena. I capolavori dei grandi maestri cominciano a far di nuovo capolino. Si sforzano di ritornare in società; ma, ohimè!, non trovano chi sappia prescntarveli con garbo. Mancano tenori, mancano bassi, mancano soprani: e sono appena 20 anni che videro la luce! E ci crediamo in progresso!! Questo, in quanto ai teatri di musica. - Delle Società particolari, e dei Concerti di artisti, poco è da dirsi perchè pochi e dell’une. e degli altri. Pure è da notarsi che il 29 del caduto dicembre il maestro Geremia Sbolei, professore all’Istituto musicale di Firenze, eseguì in sua casa una Messa di Haydn, in si bemolle, come fu scritta dall’autore, vale a diré con i soprani e i contralti nelle loro voci naturali. L’effetto di questa composizione fu mirabile. Vi fu precisione d’esecuzione, accentatura sentita, equilibrio di voci; insomma il signor Sbolci ne fece gustare questa Messa nella sua integrità, lo che siamo condannali a non ottenere nelle chiese nostre dalle quali sono affatto bandite le donne. Ma, diceva io, sentendo l’effetto che producevano, sarebbe veramente un gran male l’ammettere con le debite cautele nelle orchestre anco le donne? E cosi cessare dallo straziare, capovolgere, intrecciare, stuonare le armonie, e scandalizzare gli uditori anco i meno devoti? E questo pure è nel numero delle speranze! — Genova - 50 dicembre. - La Saffo comparsa per la terza volta sulle nostre scene ha quasi naufragalo. Nulla diremo della musica perchè troppo nota; è certo però che la causa principale di questo naufragio sta nell’esecuzione. La signora Evers è poco favorita dalla natura nella voce, e malgrado che si riconosca essere artista, non potè trascinare il pubblico al plauso; ne ebbe però alcuni molto parziali. In essa si rivela un profondo studio dell’arte del canto, e se l’opera stessa non ricordasse le incancellabili reminiscenze d’una Strepponi, d’un Costantini, d’un Ivanoff, avrebbe forse ottenuto maggior favore dal nostro pubblico. Se la nostra impresa fosse tale da accettar consigli, le diremmo di azzardare piuttosto qualche novità e di non confidar molto nelle opere di conosciut a fama che con insufficiente esecuzione fiascheggiano più delle, altre. Il tenore Curzani è molto paralizzato ne’ suoi mezzi; non sappiamo veramente se questo sia in lui cosa accidentale o abituale; il fatto sta però che dev’esser supplito quanto prima da altro tenore. I1 basso Gassier ha bella e simpatica voce, e venne applaudito, come pure il contralto, signora CasaIoni, la cui voce forte e sonora abbisogna però di essere alquanto dirozzata. Il gran solo di clarino dell’aria del tenore venne stupendamente eseguilo dal signor Manetti, distintissimo professore concertista, e seguilo anzi interrotto dal plauso universale. L’esito infelice o per lo meno molto incerto di questo spettacolo serio fece accelerare di qualche giorno l’andata in iscena dell’opera buffa. Jeri sera diffatti avemmo la sempre graziosa operetta Don Bucefalo del giovine chiaro maestro Antonio Cagnoni (giovane che gl’impresari lasciano a torlo da qualche tempo inoperoso) la quale ebbe, come altra volta, festosa accoglienza e buona esecuzione. La prima donna signora Gassier ha una sorprendente agilità, una voce acutissima e canta assai bene. 11 suo trillo è perfettissimo. Alla sua cavatina ed al rondò finale ebbe un diluvio di plausi, ed anche negli altri pezzi concertati venne pure acclamata. Il buffo comico signor Ferranti ha molti numeri per piacere, come di fitto piacque e piacerà di più, se sarà più castigato nell’azione. Nulla dirò dello Scheggi che fece ridere moltissimo; non saprei dirvi però se il pubblico sia abbastanza soddisfatto di avere in carnevale al Teatro Carlo Felice una buona opera buffa G. — Napoli - 26 dicembre. - Mi domandate notizie musicali di questi teatri, ed io prontamente secondando il vostro desiderio m’affretto a darvele. Qui riapronsi i teatri la sera di Natale, e non la sera di S. Stefano, come si costuma nell’alta Italia. Jeri dunque si diede al tollerante pubblico, per la ventesima volta almeno in quest’anno teatrale, Emani. L’impresa senza dubbio fin dal cominciamento dcll’appalto presentò nel prospetto una numerosa compagnia nella quale contansi non poche celebrità artistiche: è pur anco vero che ad alcune di queste stelle non rimane che la rimembranza del passato splendore, ma nella scarsezza attuale di cantanti di alta riputazione questi oscurati astri sono indispensabili: debbono comparire i loro nomi su i cartelloni, per contentare le direzioni teatrali, e per illudere il pubblico. Ha saputo poi l’appaltatore trarre profitto dalle tre prime donne, Tadolini, Gazzaniga, Marray, dal contralto, Salandri, dalla comprimaria, Riva Giunti, dai primi tenori, Bettini, Malvezzi, Bouccardè, dai baritoni, De Bassini, Varesi, dai bassi profondi, Selva, Arati, dai buffi, Luzio, Salvetti, Giunti, dalle rispettive seconde e terze parti, e coristi d’ambo i sessi scritturati?... Senza perderci in inutili parole è forza confessare che più malamente non poteva l’impresa condurre una si esuberante riunione di artisti. Per confermar ciò, basta dire, che parecchie volte è avvenuto, che per l’indisposizione di un solo dei nominati virtuosi, il teatro S. Carlo ha dovuto rimaner chiuso, non potendo l’impresa sostituire altro spettacolo a quello prefisso: ed in molti incontri di solenni circostanze, in cui il teatro deve assolutamente essere aperto al pubblico con qualche novità, per difetto di preveggenza, si veggono stretti a ricorrere al vecchio repertorio. Con quest’impresa, un’opera si tiene in prova un paio di mesi (salvo poche eccezioni). Non crediate che s’impieghi tanto tempo per rendere il più che si può perfetta l’esecuzione: ciò sarebbe degno di lode. Ben altra è la cagione. Gli artisti non sono pagati (o se lo sono in parte è per forza di giudicati) per cui si ricusano compiere i loro obblighi, e cosi mancando alle prove ora l’uno, ora l’altro, queste divengono sconnesse

 ed inutili. Aggiungete a ciò un direttore quanto

valente altrettanto indifferente. Che valse all’impresa assumersi grandi pesi, se pensa a tutto, meno che all’andamento degli spettacoli?... La conseguenza di tali disordini

 è immediata: la fallenza è indispensabile, e

se a stento ancor questa pubblicamente non si dichiari, devcsi all’appoggio di personaggi distinti, i quali si lusingano solamente di prolungare questi giorni che rimangono infino a che termini l’anno di obbligo cogli abbonati. Suppongo che avrete già i ragguagli esatti della nuova opera di Verdi, Luisa Miller; perciò non mi ci trattengo lungamente come meriterebbe. Questo lavoro

 del celebre compositore rifulge sopra gli altri

suoi, se non per peregrine ispirate melodie, per l’accuratczza dello stile, e soprattutto per degli effetti istromentali, nuovi specialmente alla musica italiana. La filosofia drammatica impera maestrevolmente in tutto lo spartito; che se qui al primo udirlo non produsse l’effetto che si attendeva, sono persuaso che con l’andare delle rappresentazioni l’intero pubblico saprà rilevarne tutte le bellezze. Fra i cantanti si distingue sempre il De Bassini, benché la sua parte sia di pochissimo interesse nell’azione. La Gazzaniga, ancoro indisposta, non ha potuto spiegare tutte le sue doti; ed essendo la sua parte in alcuni momenti un poco troppo acuta l’è necessario guarirsi del suo mal di gola per cogliere quelle note del terzo registro con nettezza e giusta espressione. Malvezzi si è animato in questo spartito più dell’usato, e se fosse più preciso nel suo canto, e non mendicasse l’effetto nei soli suoni acuti, potrebbe aspirare a calcare le più cospicue scene con la certezza di piacere. L’orchestra eseguisce mirabilmente questa elaborata composizione del dotto maestro. Ciò addimostra che ben diretta fin dalle prime prove, vale quanto qualunque altra orchestra, meno alcune precisioni che in Italia (confessiamolo senza ritegno) sono ancora trascurate. - Si sta preparando, al solito lentamente, La Favorita, opera nuova per queste scene: le prove sono ancora a pianoforte, lntanto si debbono dare due altre opere nuove per Napoli, e due scritte espressamente, una delle quali del celebre Mercadante intitolata Virginia, ed il tempo è assai breve e stringe. La Favorita, classico lavoro del gran maestro Donizetti, fu scritta per la Stolz, che ha voce di mezzo soprano. Qui si è data alla Tadolini. I pezzi a solo li trasporterà, ma quei d’insieme per adattarli alla sua voce ed a’ suoi modi speciali di canto, sarà mestieri manomettere l’originale. Caro amico, vi sembrano questi buoni auspicii?... In grandi teatri non si dovrebbero mai permettere siffatti sacrilegi musicali!! Questo per ora; subito che avrò alcun che di nuovo a dirvi, mi farò un dovere d’informarvene. — 27 Dicembre. - Jeri sera si ebbe la quarta rappresentazione della Luisa Miller. Il teatro era affollatissimo. I1 mio vaticinio si va avverando, giacthè jeri l’opera piacque molto, e gli applausi furono caldi e sinceri: anche l’esecuzione fu migliore. — Novara - 51 dicembre. Jeri sera andò qui in iscena l’opera nuova del maestro Luigi Gibelli, intitolata Don Pedro di Portogallo. La composizione