Gemme d'arti italiane - Anno I/La cuccagna

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Carlo Tenca

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Campagna lombarda nelle brughiere fra crenna e somma Il saluto al mattino

[p. 130 modifica]LA CUCCAGNA [p. 131 modifica]


LA

CUCCAGNA

gruppo in marmo

di Geatano Manfredini

per commissione dei Nobili Signori Duca Antonio e Conte Giulia Litta

L’autore di questo gruppo è certamente un’ottimista.

Diamine! rappresentare la vita umana sotto l’aspetto d’una cuccagna, come se tutto il difficile consistesse nell’arrampicarsi, e chi arrivasse in cima all’albero non avesse che a stender la mano per esser felice! Nemmen Epicuro, di gioconda memoria, non è arrivato a tanto. E sì che quel valentuomo vedeva tutto color di rosa nella vita, e lasciò una filo [p. 132 modifica]sofia che può dirsi la cuccagna di tre quarti del genere umano. Ma quegli poneva il piacere a scopo d’ogni nostro desiderio; il signor Manfredini invece pone gli onori, le ricchezze, la gloria in cima al suo albero, e non li eleva neppur tanto dal suolo che uno non possa coglierli spiccando un leggier salto. Di più il suo albero è liscio e piano, e non oppone ostacoli a chi ne tenta la salita, fuorché una tal qual levigatura che lo rende scivolante sotto la mano; il che verrebbe a significare, che il peggio che possa accaderci nella vita sarìa quello di ricadere donde siamo partiti senza averne un male al mondo. Credo anzi che all’ingiro dell’albero sia un tappeto di verzura, sul quale, pur cadendo colle gambe all’aria, non si possano toccare né ammaccature, né percosse.

A dir vero chi guardasse quest’albero e questi bimbi che gli fanno pressa intorno, avrebbe di che rimaner consolato, e sarebbe costretto ad esclamare, che tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili.

Lascio giudicare ai lettori, se le cose camminino proprio così lisce nel mondo, come ce le figura questo gruppo, e se per toccar l’apice dell’industria, delle arti e delle lettere si salga sopra un albero senza tronchi e senza spine, amorevolmente ajutato dalle spalle de’ proprj confratelli.

I nostri lettori si ricorderanno al certo di que’ capponi che il buon Renzo portava al dottore Azzecca- Garbugli, e che, legati insieme pei piedi, malmenati e scossi dall’arrabbiato contadino, invece di ajutarsi e farsi puntello a vicenda per avere il minor male possibile da quelle scosse, si aizzavano e si beccavano tra loro con istizza. Quei capponi sono l’immagine perfetta dell’umana società. Per rappresentare gli uomini, che si affaticano intorno all’albero della vita, [p. 133 modifica]invece di quella scena riposata e tranquilla, sarebbe stato d’uopo d’una lotta universale, in cui i bimbi si contendessero la salita, e ciascuno si studiasse di tenersi sotto gli altri. La gara amorevole, il reciproco ajuto degli uomini nella grande arena della vita è uno splendido sogno, che si avvererà da qui a qualche migliaio d’anni.

Potrebb’essere però che il Manfredini avesse inteso di dare col suo gruppo una lezione di carità fraterna agli uomini, e avesse voluto mostrare come il concorso delle forze individuali appiani meglio gli ostacoli e abbrevii quel cammino che tutti devono percorrere. Il pensiero

così espresso sarebbe eminentemente morale, ed io volentieri ne voglio lodar lo scultore; solamente avrei pregato il Manfredini a far che qualcuno de’suoi bimbi toccasse la meta, perché senza di ciò la lezione è perduta.

Quando il porgersi la mano non deve portare a cogliere i frutti desiderati, han ragione gli uomini di arrabattarsi e di porsi i piedi sul collo per arrivarvi.

Un’altra cosa, di cui non so darmi pace nel gruppo del Manfredini, è il vedere l’unica femmina da lui posta a piedi dell’albero cadere riversa al suolo in atto d’assordar l’aria colle sue strida, nel mentre che gli altri bimbi tirano innanzi nella loro gara senza badare né punto né poco a quella meschina. Se lo scultore non ha voluto fare un epigramma alla gentile metà del genere umano, non so perché abbia collocato la donna all’ultimo gradino della scala sociale, additandola alla compassione ed allo scherno dei riguardanti. Non c’è bisogno di dire, quanto predominio eserciti la donna nella direzione dell’umana attività. Se il Manfredini avesse fatto sviar li occhi di alcuni di quei bimbi dalla [p. 134 modifica]meta sospirata per tenerli occupati nel fascino della bellezza, non solo avrebbe servito a un sentimento di galanteria, ma avrebbe rappresentato eziandio una delle più grandi verità morali.

Uomini che non si curano della bellezza e che s’accordano cortesemente fra loro per cogliere i frutti più desiderati della vita, non saprei trovarli in nessun umano consorzio, neppur in una società di quaccheri.

I lettori però non piglino la cosa tanto pel sottile, e non cerchino nel gruppo del Manfredini nessun albero della vita e nessun pensiero sociale. L’osservino tutt’al più come una cuccagna qualunque, intorno alla quale folleggiano e s’arrampicano alcuni vispi fanciulletti. Vi cerchino la purezza del disegno, il brio e la facilità degli atteggiamenti, la bellezza delle forme, la grazia dei volti, tutta insomma la più accurata esecuzione artistica. Di questi pregi abbonda il gruppo del Manfredini, e per essi ebbe assai favorevole il pubblico giudizio. Tant’e tanto la scultura umanitaria non fu per anco inventata, e chi ardisse di farlo, si buscherebbe per lo meno del matto. Il Manfredini adunque può esser lieto d’aver esposto un gruppo di bimbi, che non la cedono in paragone ai graziosi amorini dell’Albano: a coloro poi che volessero ad ogni costo cercare in quelli un’allegoria, potrebbe rispondere ch’egli ha inteso di scolpir dei bambini. Del resto, ciascuno è libero di cavarne quell’interpretazione che più gli piace. E chi volesse assolutamente veder gli uomini rappresentati in sembianza di bambini, lo faccia, ché alla fin fine non andrà molto discosto dal vero.

C. Tenca