Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro I/II

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Libro I - Cap. II

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CAPITOLO SECONDO.

Viaggio sino all’Imperial Città di Mexico, e descrizione di essa.


P
Resa la guida per la Dogana, e la bolletta dal Castellano, per poter passare la Guardia, mezza lega distante da [p. 17 modifica]Acapulco; mi posi in cammino il Lunedi 18. quattr’ore dopo mezzo dì: e passata la Guardia suddetta, dopo esser montato, e sceso per altissimi monti, e fatte tre leghe; pervenni nell’osteria d’Attaxo, composta di cinque capanne, coperte di paglia, e circondate di palificate. Tutta la notte mi succhiò quivi il sangue una legione di zanzare.

Essendo rimaso in Acapulco, per alcuni suoi affari, il Padron delle tre mule; fu d’uopo, che l’aspettassi il Martedì 19. nell’istessa osteria, sino a mezzo dì. In sì cattivo luogo non potei aver, che pessima la fine del Carnasciale; perche l’Oste mi fece pagare, quanto quindici carlini di Napoli, una gallina, e quattro grani l’uno le uova. Il vicino bosco era pieno di cacciagione; onde per diporto vi andai uccidendo alcune ciaccialacche. Questo uccello è di color cenerognolo, di coda lunga, di grossezza poco men d’una gallina, e di non inferior sapore. Trovai, nel più folto del bosco, molti alberi di limoni bellissimi, e melaranci, che si perdevano, senza esser tolti da alcuno. Partitomi quindi, dopo tre leghe di strada, fra monti, e boschi copiosi di legno brasile; giunsi, sul tramontar del Sole, nell’osteria, o [p. 18 modifica]Venta di Lexido; dove passai anche malamente la notte, a cagion delle zanzare. Il pane di formento è bandito da tai luoghi, perche gli abitanti mangiano Tortillas di Maiz, o grano d’India; che medesimamente si dà, come orzo, a’ cavalli, e mule. Lo bagnano prima con acqua, e poi lo macinano su d’una pietra, come il Cacao, per la cioccolata. Le Tortiglie, fatte di tal pasta, le arrostiscono poi su d’una padella di terra, a fuoco lento. Calde non sono affatto cattive; però fredde non mi dava l’animo di trangugiarle.

Ben mattino mi posi in istrada il Mercordì 20. e camminando per paese meno montuoso, pervenni, a fine di quattro leghe, nell’osteria, appellata de dos arroyos; dove mi riposai sino alle venti ore dell’oriuolo Italiano. Un’Indiano di questo luogo mi dette a mangiare una frutta silvestre (detta Scio chiaccos, cioè acida) rossa, e bianca, lunga come un dito, e del sapor delle ciriege. Entro v’erano alcuni granelli neri, come pepe. L’albero, che la produce, suol’essere alto dieci palmi; e le sue frondi sono ben lunghe.

Divenuta più fresca l’aria, facemmo altre quattro leghe, et andammo a pernottare in un luogo, detto de los [p. 19 modifica]Pozuolos. Uccisi prima di notte un gallo di monte, dagl’Indiani chiamato faggiano. Egli è più grande d’un capone; ha coda, et ale lunghe; un pennacchio sul capo, e penne nere: il petto però bianco, e nero; e’l collo di carne nuda, come quello del gallo d’India: la carne non è di mal sapore. La notte fu fresca, senza zanzare, benche avessimo per tetto il Cielo. La mattina del Giovedì 21. ci ponemmo in camino a buona ora, per andare a prendere alcun cibo nell’osteria del Pellegrino, sul monte del medesimo nome. Andammo poscia, con gran stento, per le pendici della montagna del Papagayo, dove convien salire per una lega, tutta di pietra viva; e scendere altrettanto, con pari incomodità, per venire al fiume dell’istesso nome. Passai il fiume a guazzo; però in tempo d’inverno, che s’ingrossa per le pioggie, si costuma di passare in Balze. Queste barche si compongono di legna ligate in Croce, e sostenute a galla da 20. e alle volte (giusta la grandezza) sino a 60. zucche, ligate sotto. Caricata ch’è la balza, un’Indiano si gitta nell’acqua, con una mano tirandola, e coll’altra spingendosi avanti, a nuoto, sino a portarla dall’altra riva: e come che la Corrente sempre la porta più in giù; [p. 20 modifica]l’Indiano poi se la toglie in ispalla, e la porta al giusto passo.

Passato il fiume del Papagayo, fummo a dormire nella Venta del Caccavottal (così detta, per esser quivi stati per l’addietro molti alberi di Cacao) dopo fatto in tutto il dì sei leghe, per montagne asprissime. Uccisi la sera due Ciaccialacche, per servirmene a cena, in difetto di altro cibo.

Il Venerdì 22. dopo quattro leghe di cammino montuoso, ci riposammo a los dos caminos, ch’è il primo Villaggio, che s’incontra dopo Acapulco. Alloggiammo nella Casa del Comune; dove vennero Indiani, per servirci in tutto quello, che ne facea d’uopo. Tra questi monti l’aria era meno calda di quella, donde venivamo. Si lasciarono nel Villaggio quattro mule, soverchio stanche, e se ne presero altre. Postici in cammino, montammo prima, e poi scendemmo dall’orribile, e straripevole montagna de los Caxones, alta una lega: e dopo quattro leghe, giugnemmo ben tardi alla Guardia della Dogana d’Accaguisotta, nella cui capanna cenammo, e dormimmo. Le Guardie visitarono le robe, e mi bonificarono il bollettino, che portava d’Acapulco. [p. 21 modifica]

Tardi il Sabato 23. ci ponemmo in una strada, parte montuosa, e parte di valli; e fatte quattro leghe, pervenimmo nel Trapici, o Trapeto di Massatlan; avvegnache i mulattieri (contando le leghe a capriccio) le dicessero due; perche eglino non sentivano stanchezza, andando a cavallo. In quello luogo trovammo buon pane, che non è picciola cosa fra monti, i di cui abitanti non mangiano, che picciole focacce di grano d’India. Vien chiamato il Trapici, per esservi un buon strettojo, o macchina da premer zucchero. Non molto lungi è una miniera d’argento, e buona caccia di Cervi. Dopo desinare, ripigliato il cammino, venimmo, fatte due leghe, nel Casale de las Pataquillas; composto di poche case, appiè del monte; e stemmo nella casa del Comune. La notte si sentì gran freddo, essendo in clima ben differente da quello d’Acapulco.

La Domenica 24. fatte due picciole leghe, sentìmmo Messa nel Casale di Cilpansingo; commoda abitazione, in mezzo a valli, così abbondanti di Maiz, che la raccolta si ripone nell’istesse casette di campagna, fatte di legno, e loto. Le donzelle di questo luogo, per farsi [p. 22 modifica]morbida la faccia, e difenderla dal freddo, se la impiastrano con un fiore giallo macinato. Andammo quindi a riposarci, dopo due leghe, in Zumpango, Casale posto medesimamente fra valli; che gli Spagnuoli chiamano Cañada, per essere un cammino d’otto leghe, senza verun riparo d’alberi. In tutte queste case del Comune, si truova un Mesonero, ed altri Indiani, quali servono i viandanti da cuoco, e danno sale, e legna, senza mercede, essendo dal medesimo Comune perciò pagati. Mantengono essi le stanze monde, e vi tengono sempre un’altare, coll’immagine di Nostro Signore, o di qualche Santo.

A buon’ora il Lunedi 25. mi posi a camminare per una Vallèa, simile a quelle del Tirolo; e pervenni dopo nove leghe (senza prender mai riposo) al Rio de las Balsas, detto così, perche si valica entro balze. Così questo fiume, come quello del Papagayo rendono le loro acque al Mar di Mezzogiorno. Gl’Indiani del vicino Casale detto Amascala, traggettarono, nel modo suddetto le robe, e tutti noi in balza; che dalla Corrente fu portata un tiro di moschetto in giù, verso l’opposta riva. Altri Indiani poi fecero passar le mule a [p. 23 modifica]guazzo, non essendo largo, che un tiro d’archibuso. Rimanemmo a dormire in campagna, due leghe lontano, nel luogo, che dicono Nopalillo, Cannada del Carizal. Due ore prima di mezza notte sentissi un terribile tremuoto, che durò per lo spazio di due Credo. Non potè fare alcun danno a noi, che stavamo in campagna aperta; però in Acapulco (come poi si seppe) uguagliò al suolo più case.

Prima di nascere il Sole il Martedi 26. e mentre si stavano sellando le mule, sentissi di nuovo il tremuoto; preceduto da un rumore, e rimbombo, come d’una cannonata. Posti a cavallo facemmo quattro leghe, per una strada mezzana mente buona, per la quale andai sempre uccidendo ciaccialacche, ed altri uccelli, di cui ha gran dovizia il Paese. Passato quindi il Rancio di Palula, venimmo a desinare predo un laghetto; donde, fatte tre leghe, andammo a pernottare in Pueblo nuevo, dove era una gran lacuna, con molte anitre.

Il Mercordi 27., fatte sei leghe per asprissimi monti, prendemmo riposo vicino l’acqua; e dopo altrettanto cammino, passato a guazzo di notte un grosso fiume, restammo nel casale di Amacusac, [p. 24 modifica]giurisdizione di Cornavacca. Per lo buon ordine, che si tiene, a qualsisia ora giungano i viandanti, subito vengono il Topile, e Mesonero a provvedergli di tutto il bisognevole. Il Topile (che significa Birro in lingua Messicana, o serviente) è tenuto di comprare tutto ciò, ch’è necessario a’ passaggieri; e’l Mesonero a prepararlo, ad accomodare i letti, e a non far mancare stovigli, acqua, e legna.

Il Giovedi 28. dopo tre leghe, giugnemmo in Aguaguezingo, dove riposati un poco; continuammo il cammino due altre leghe, sino ad Alpugleca (Casale di Cornavacca) dove desinammo. Nella casa del Comune trovammo un Teponaste, o Tamburo, che anticamente sonavano gl’Indiani. Egli era fatto d’un tronco di legno concavo, lungo quattro palmi, e serrato con pelle, da amendue le parti: e sen za dubbio facea uno strepito, che sentivasi per mezza lega. Dopo desinare fatta una lega, passai per Cucitepech, dove vidi una mezzana Chiesa di Religiosi; e dopo tre altre leghe, rimanemmo a dormire in campagna, a Cielo aperto. Passammo quel dì due grossi fiumi.

Il Venerdì primo di Marzo, passata una lega, facemmo alto in Cornavacca; [p. 25 modifica]Capo dell’Alcaldia di tal nome (appartenente al Marchese del Valle) che si stende sino al Casale di Amacusac. La Terra è ricca, perche abitata da molti mercanti, allettati dalla bontà del terreno. Preso alquanto di cibo, mi riposi in cammino; e dopo mezza lega, passato il picciol Casale di Taltenango, pervenni (fatta un’altra lega di faticosa strada) nella sommità della montagna di Cornavacca, dove è un Casale detto Guicilac. Gli abitanti fanno buon Pulcre; licore, che tolto da una pianta, detta Maghey, e fatto fermentare con certe erbe, diviene una bevanda, che inebbria come ii vino. Il dazio di questa bevanda rendea, tempo fa, alla Real Cassa di Mexico 100. mila pezze; però il Re la vietò, per le brutalità, che commettevano gl’Indiani ubbriachi. Io ne bevei, appunto come si trasse dalla pianta; e mi parve del sapore d’un’acqua Aloxa di Spagna: il colore era di siero, o d’acqua dibattuta con mele. Innoltratici quindi tre altre leghe, rimanemmo a pernottare in mezzo d’un’orrida montagna di pini; perocchè l’indiscreto padron delle mule, per non ispendere nell’abitato, faceva pascolare in campagna trenta mule, che portava: onde, per la [p. 26 modifica]debolezza, solamente cinque ne faticavano a vicenda. Il peggio era, che ne’ luoghi montuosi, non si trovava che erba secca; tal che la bruciavano i Contadini, per ingrassare il terreno. La notte cadde tanta neve, che la mattina ne trovai coperta la coltre; or pensate, come stetti caldo la notte.

Il Sabato 2. scesi dalla montagna, per una dirupata strada, facemmo quattro leghe, e mezza, sino a S. Agostino de las Cuevas; pagato prima un reale per mula alle Guardie del cammino, che trovammo all’uscir del monte. Il P. Procuratore della Mission di Cina, che stava nell’Ospizio di questo luogo, mi fece molte cortesie; onde gli lasciai in potere alcune robe, che potevano essermi d’imbarazzo nella Dogana di Mexico. Seguitammo poscia il cammino con grandissimo vento, ed acqua; e passata un’altra Guardia della Dogana, dopo tre leghe, entrai nella Città di Mexico, per una Calzada, o strada di terrapieno, fatta sopra la lacuna. La Guardia, che suole star sull’entrare della Città, mi accompagnò alla Dogana, acciò vi fussero visitate le mie casse: però con molta cortesia gli Ufficiali si portaron meco; apertele appena, e [p. 27 modifica]vedutone il di sopra. Speditomi dalla Dogana, andai ad albergo in un’osteria, molto mal servita, per dimorarvi sino a tanto, che non mi fussi provveduto di casa.

La mattina della Domenica 3. udii il sermone nella Cattedrale; e dopo desinare andai in S. Maria Rotonda, de’ PP. di S. Francesco, per sentire una sacra Rappresentazione in lingua Mexicana.

Il Lunedì 4. andai a far riverenza al Signor Conte di Montesumma, V. Rè del Regno, che mi ricevè con molta cortesia. Nell’uscire, che feci dagli appartamenti, vidi venire i Sindici di due Casali d’Indiani, accompagnati da molta gente; perocchè eran quivi in nome del loro Comune. Costumano questi Sindici, quando han da dare Supplica, o memoriale, portare un grande albero, coperto di fiori, che poi lasciano al V. Re. Con Corriere venuto d’Acapulco, si seppe la stragge, quivi fatta dal tremuoto de’ 25. e 26. del passato mese. In Mexico caddero anche alcuni Conventi; e furono danneggiate alquante case.

Entrai di nuovo il Martedì 5. nella Chiesa Arcivescovale, e vidivi celebrare i divini uficj, con gran convenevolezza. Il Mercordì 6. andai alla zecca, a veder [p. 28 modifica]coniare le pezze da otto. In diversi luoghi, diverse persone sollecitamente s’adoperavano, ciascuno nel suo mestiere; talche mi disse un’Officiale, che se ne facevano sino a sedici mila al dì.

Passai il Giovedì 7. a vedere il Monistero di S. Bernardo, abitato da Monache dell’istesso Ordine. Egli era ben grande, e la Chiesa adorna di ricchi altari. Ugualmente magnifico, e ricco si è l’altro di Nostra Signora di Valvaneda; nella cui Chiesa entrato il Venerdì 8. la vidi servita da venerabili Sacerdoti; e nel Coro superiore, ed inferiore da nobili Religiose.

Il Sabato 9. nella Chiesa di Iesus, e Maria si celebrarono i funerali per la morte della Regina Madre; elevandosi nel mezzo un’alta tomba: e vi fu presente il Signor V. Re, co’ Ministri, e Nobiltà. In questo monastero entrano, senza dote, le figlie de’ discendenti da’ primi conquistatori, e di altre persone benemerite; però vi bisogna cedola del Re, che somministra ciò, che fa di mestieri, per loro mantenimento. Vi entrano altre donzelle ancora, pagando la dote.

Partirono la Domenica 10. verso Acapulco, per quivi imbarcarsi, quattro Auditori, e un Fiscale; che doveano andare [p. 29 modifica]in Manila in luogo di quei, che vi si trovavano attualmente, e che aveano a ritornare in Mexico, per essere occupati nell’Audienze di quel Regno. D. Miguel d’Yturrietta, dal quale io era ospiziato, mi richiese, che andassi seco a S. Agostino de las Cuevas, ad accompagnar D. Francesco de Castro, y Guzman suo nipote, che passava Capitan di fanteria in Manila: onde, tra per far cosa grata a D. Michele, tra per riportarmi le robe, che avea lasciate in potere del Padre Procuratore, mi posi in carrozza con lui, e con un suo Cognato. Giugnemmo in S. Agostino ben tardi; e stemmo la notte nell’Ospizio sudetto de’ PP. Francescani.

Il Lunedi 11. a buona ora, dopo che fu posto in cammino il Capitano, in compagnia degli Auditori, noi ritornammo in Mexico di buon passo.

Messico, dagli Spagnuoli chiamata Mexico, dagl’Indiani Tenochtitlan, è situata a 19. gr. e 40. min. d’elevazione; in mezzo d’una valle, quasi piana, lunga 14. leghe Spagnuole, da Settentrione a Mezzodì, larga 7. e di circuito 40.; però a volerlo misurare dalle cime de’ monti, dalla parte, che riguardan Mexico, sarà di 70. ed alle volte di 90. [p. 30 modifica]

Nella parte Orientale di questa valle è una lacuna, dove si rendono molti fiumi, ed altre acque; e si stende verso Mezzodì sino alla Città di Tezuco. La circonferenza de’ monti, che la circondano d’ogni intorno, la più bassa, è superiore alla lacuna, in 42500. Vare Spagnuole.

Quanto alla Città, è posta in un quasi perfetto piano, presso, o per dir meglio, in mezzo a questa lacuna; onde, per la poca sodezza del terreno, le fabbriche stanno mezzo sepellite, mal grado degli abitanti, che s’ingegnano farvi le fondamenta ben sode. La sua figura è quadrata; e sembra un bel scacchiere, a cagion delle sue diritte, larghe, e ben lastricate strade, poste verso i quattro venti cardinali: onde non solo dal mezzo (come Palermo dal Cassero) ma da qualsivoglia parte, si vede quasi tutta intera. Il circuito è di due leghe; e’l diametro (essendo quasi un perfetto quadrato) circa mezza lega. Si entra alla Città per cinque calzade, o strade terrapienate (non essendovi nè mura, nè porte) che sono la Piedad, S. Antonio, Guadalupe, S. Colme, e Ciapultepech; non essendo più in essere la Calzada del Pignon, per dove entrò Cortes, quando soggiogolla. Per la bontà degli [p. 31 modifica]edificj, ed ornamenti delle Chiese può dirsi, che gareggia colle migliori d’Italia; ma per la bellezza delle Dame le supera: poiche elleno sono bellissime, e ottimamente disposte della persona. Sono inchinate molto a gli Europei (che chiamano Gacciopines) e con essi più volentieri si maritano (quantunque poverissimi) che co’ loro Cittadini (detti Criogli) benche ricchi; veggendo questi amatori delle mulate, dalle quali han succhiato, insieme col latte, i cattivi costumi. Indi siegue, che i Criogli odiano in si fatta maniera gli Europei, che parlandone alcuno per le strade, gli dan la burla; avvisandosi di bottega in bottega, colla voce el es: e perciò alcune volte gli Spagnuoli, giunti di fresco nella Città, venuti in colera, han loro tirato delle pistolettate. E’ giunta insomma a tal segno questa gara, che odiano gl’istessi genitori, perche sono Europei.

Farà Mexico, circa 100. mila abitanti; però la maggior parte neri, e mulati, a cagion de’ tanti schiavi, che vi sono stati portati. Ciò nasce anche, perche essendo tutti i poderi in mano d’Ecclesiastici, non meno, che le case; gli Spagnuoli, ed altri Europei, non trovando, come stabilirsi alcuna certa rendita; (come ogni [p. 32 modifica]prudente padre di famiglia dee fare) non tolgono moglie così di facile; e all’ultimo si fanno anch’essi religiosi. Per tal cagione, avvegnache dentro la Città siano 22. Monisteri di Monache, e 29. di Monaci, e Frati di diversi Istituti; stanno nondimeno tutti soprabbondantemente ricchi. Per darne alcun saggio al Lettore, la sola Cattedrale sostenta nove Canonici (oltre uno per lo Re, delle cui rendite s’approfitta il Tribunal della Inquisizione, come in tutte le Diocesi della Nuova Spagna; anche coll’interessenzia) cinque dignità, cioè Dian, Archidian, Maestre d’escuelas, Ciantre, e Tesorero; sei Razioneri, e sei mezzi Razionerj; un Sagrestano maggiore, quattro Curati, eletti dal V. Rè; dodici Cappellani Regj, nominati dal Capitolo; ed otto altri, che chiamano di Laurenzana, eletti anche dal Capitolo; essendo tutti gli altri posti dal Re. Or l’Arcivescovo si prende dalla massa comune sessanta mila pezze d’otto l’anno; il Diacono undici; le quattro Dignità otto per uno; i Canonici sei; i Razioneri cinque mila; i mezzi Razionerj tre; ogni Curato quattro mila; ogni Cappellano trecento; e meno gli altri Assistenti, e Cherici, in tutto sino al novero di trecento: [p. 33 modifica]onde fattosi il calcolo, si troverà, che la Chiesa Metropolitana di Mexico terrà di rendita sopra trecento mila pezze d’otto; aggiunta alle prebende la spesa, che bisogna per la fabbrica, cera, apparati, ed altro, per la convenevolezza del divin culto. Alla fine poi Mexico è una picciola Città di sei miglia di giro; angusto spazio per tante Chiese, che vi fanno essere gran penuria d’abitazione.

Il temperamento, e clima di Mexico è stempratissimo in tutto l’anno; sentendosi il più volte nel medesimo tempo, or freddo, or caldo; il primo accostandosi all’ombra, il secondo a’ raggi del Sole. Nel rimanente considerata l’aria in se stessa, non è cattiva; e in tutto l’anno non v’ha eccesso, nè di caldo, nè di freddo; benche i dilicati abitanti, si lagnino del freddo, un poco più sensibile, la mattina; e del caldo dal mese di Marzo sino a Luglio. Da Luglio in poi certamente le pioggie lo smorzano, come in Goa; altrimente l’uno, e l’altro paese, posto sotto la Zona torrida, sarebbe inabitabile, come stimarono gli antichi fìlosofanti. Da Settembre in poi tali pioggie sono più rare, e minutissime sino a Marzo. Chiamano freddo gl’Indiani le soavi notti, che principiano [p. 34 modifica]da Novembre, e durano sino a Febbrajo: agli Europei però, non così dilicati, sembra il clima buono, perche il freddo, e’l caldo non incomoda in tutto l’anno; e l’acqua si beve fresca, giusta la freddezza dell’ambiente. Il terreno poi, per la copia dell’acque, che caggiono, dà tre raccolte l’anno; però in diversi luoghi. La prima è chiamata di Riego, o d’acqua, e si fa a Giugno delle biade, seminate ad Ottobre: la seconda di Temporale, si fa ad Ottobre del seminato a Giugno: la terza raccolta, per esser poco sicura, la dicono Avventurera; lavorandosi la terra a Novembre, sulle falde di freschi monti, per farsi poi, giusta la contingenza de’ tempi. Il Maiz, o grano d’India (principal sostentamento de’ Nazionali) si semina il più presto a Marzo, e’l più tardi a Maggio; ed è di rendita mirabile. Perciò in Mexico, a riguardo dell’altre Città, si vive a buon prezzo, bastando a una persona una mezza pezza al dì. Deesi però considerare, che non essendovi moneta di rame, e la più bassa d’argento essendo mezzo reale (cioè tre quarti d’un carlino di Napoli) per comprare frutta, viene ad essere una gran spesa. Per altro nella sola piazza di Mexico si [p. 35 modifica]spendono le picciole frutta di Cacao, per comprar verdure, che si danno 60. e 80. a reale, secondo che è alto, o basso il prezzo del Cacao. In fine Mexico non può dirsi, che un’ottima Città, giacchè nella sua piazza in tutto l’anno si veggono fiori, e frutte d’ogni spezie.