Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro I/IX

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Libro I - Cap. IX

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CAPITOLO NONO.

Rischio, in cui si pose l’autore, per veder cavare il Metallo;

e si descrivono le miniere di Paciuca.


B
Enche tutti gli amici mi avessero sconfortato dall’andare a vedere le miniere di Paciuca; come quelle, che sono oltre ogni credere, profonde; pure, ostinato nel mio proponimento, mi c’incamminai il Mercordì 17. Volle accompagnarmi il Parrocchiano, due leghe, sino al Villaggio di Techischiac. Quivi fummo ricevuti dal Curato dell’istesso; il quale, quantunque stasse con imbarazzi, pure ne diede un buon desinare. Gl’imbarazzi erano col Governadore Indiano; perche volendo questi dargli il vino, per la celebrazion delle Messe; egli, che volea più tosto il danajo per comprarlo (quasi facendo scrupolo di celebrar con vino, recato da mani Indiane) vi era venuto a parole, e rottagli una Vara sulle spalle. Amendue questi Preti volevano ritenermi la notte; però io, ringraziatigli, passai avanti, trovando dopo una lega il Casale di Guipustla; ed andando a pernottare, [p. 128 modifica]indi a tre leghe, nell’Azienda, o massaria di Tusantlalpa; dove ebbi un malissimo letto, per l’assenza del Padrone. Uccisi la sera quattro lepri presso la casa, e ne avrei potuto uccider più, ma non volli; primamente, perche non hanno il sapore di quei d’Europa; e poi, perche i Mexicani gli hanno in abbominazione, per avergli trovati a mangiar i vermi della carne di cavalli morti.

Il Giovedì 18. fatte sei leghe per paese, or piano, or montuoso, giunsi in Paciucca, dove fui ospiziato da Domingo Lavarrea Official maggiore della Real Cassa. Come che il mio principale intendimento, era di veder le miniere; desinato ch’ebbi, mi fece egli accompagnar da un suo Genero a due le più vicine, cioè mezza lega discoste, perocchè v’era un sentiero malagevole, e dirupato. Amendue erano profondissime. La prima chiamata di Santa Crux era di 92. stadj (uno stadio contiene tre vare Spagnuole): la seconda detta di Navarro di 80. In quella di S. Crux si tirava il metallo per Malacates. Questa è una macchina, che ha l’asse perpendicolare, appoggiato a due ferri. Intorno all’asse gira una manganella, alla quale s’avvolge, in cambio di corda, una catena di [p. 129 modifica]ferro; che da una estremità vien su, col metallo appeso, e dall’altra va giù, per legarvisi l’altro. Vien mossa la macchina da quattro mule, ligate a un legno, che attraversa l’asse. Si adopravano in quella bocca due Malacates, così per prendere il metallo, come l’acqua, che forse sorgendo avea impedito il lavoro. Calai giù per curiosità cinque scale, o legni; ma poi il Miniero non volle farmi passare avanti, temendo, che non precipitassi: e veramente i legni, per gli quali dovevamo scendere, eran bagnati; e molto di facile vi sarebbe fallito il piede nel voler trovare l’intaccatura. Passai poscia nella bocca del Navarro, dove gl’Indiani portavan su il metallo in ispalla, con evidente pericolo della vita; nel salir tante scale, a moscas, dette dagli Spagnuoli, cioè legni diritti intaccati. Ciò fanno, non ha dubbio, per la paga di quattro reali al dì; però la sera si permette loro di portarsi tanto metallo, quanto ponno in una volta; che poi si divide col Padron della miniera. Erano cinque mesi, che vi si faticava, per fare un varreno, o forame di comunicazione sotto terra dell’una col l’altra; e far cadere l’acqua del Navarro in quella di S. Crux, ch’era più profonda: però sino [p. 130 modifica]a quel dì non s’erano incontrati i minatori, ma stavano così vicini, che sentivansi fra di loro i colpi.

Il Venerdì 19. in compagnia del medesimo Genero dell’Uficiale, e d’un’altro Biscayno, andai due leghe lontano, a veder le miniere del monte. Vi trovai quasi una Città di case di loto, coperte di legno (se altrove gl’Indiani le cuoprono di foglie di maghey); poichè ben 12. mila persone quivi si procacciavano il pane entro quelle voragini. Si numerano nel solo spazio di sei leghe, circa mille miniere; parte abbandonate, parte che si cavano attualmente, e parte che si guardano; perocchè alcuni di nascosto vi scendono, a trarne furtivamente il metallo. Otto dì prima in una di esse erano morti 15. Indiani, sotterrati dal terreno della miniera, mentre stavano scendendo per una bocca picciola; essendo serrata la principale, per ordine del Padrone.

Riposatomi alquanto andai nella miniera, che dicono della Trinidad, per esser comporta di tre, dette la Campeciana, Joya, e Pignol. Quantunque fussero tre bocche separate, tutte però andavano alla medesima vetta, o vena. Quanto alla ricchezza di essa, mi narrarono persone [p. 131 modifica]degne di fede, e pratiche del luogo: che in dieci anni se ne sono presi quaranta milioni d’argento; lavorandovi ogni giorno novecento, e mille persone. Quando fu giunto il lavoro a cento stadj di profondità, si trovò l’acqua; per evacuar la quale si posero sedici malacates, e per sostenere con legni la terra, acciò non precipitasse, si spesero due milioni. Però il tempo, che il tutto consuma, ha fatto divenir questa ricchissima miniera, tanto pericolosa, che può dirsi impossibile il trarne più argento, onde le bocche sono state tutte serrate.

Si è aperta però quivi vicino una nuova miniera, detta di S. Matteo, sono ormai 8. anni, con non poco utile del Padrone; essendo le vene del metallo da Oriente ad Occidente, che facilmente s’incontrano, e ripigliano. In questa miniera, profonda cinquanta stadj, deliberai di vedere le vette, o vene di metallo; ma passate cinque scale (a moscas, come dicono) mi sbigottii, vedendo, che vi era molta probabilità di precipitare. Volendo adunque tornar su, il minero (colui, che ha cura di riparar le miniere) m’animò dicendo, che pochi legni restavano da scendere tanto che preceduto dal [p. 132 modifica]medesimo col lume in mano m’arrischiai a fare il restante, con grandissimo timore; perche alle volte mi vedeva imbarazzato in abbracciare il legno, e porre, nell’istesso tempo, amendue i piedi nelle intaccature del medesimo. Ad ogni modo raccomandandomi a Dio, scesi fortunatamente tre volte più di quello, che avea detto il Minero, per darmi coraggio; onde giunsi a por piede fermo, nel luogo de los Varretteros; i quali dalla vetta, o vena con scalpelli di ferro facean saltare la durissima pietra del metallo. Mi dissero, che in alcuni luoghi suol’esser meno dura, e di varj colori; ed avendogli regalati, mi diedero molto metallo. In questo luogo m’avvidi del pericolo, in cui m’era posto; tanto più che in quella oscura voragine, non potea dimorarsi senza pregiudizio della salute, a cagione degli aliti pestilenziali di quel cattivo terreno. Adunque dopo esservi stato circa due ore, ritornai su, con grandissimo timore, per l’infame cammino; e giunsi alla luce del giorno molto stracco. Parvemi in quel punto medesimo di rinascere al mondo; e in verità confesso, che giammai a’ miei dì non intrapresi azione più temeraria, per non [p. 133 modifica]dir pazza; nè per cinque anni di viaggio fra barbare Nazioni aver conosciuto simil timore. Se mi avessero date due, o tre mila pezze d’otto, certamente non sarei tornato a scendere in un luogo, donde veniva per mera curiosità.

Sono così profonde le miniere, perche sempre si cava perpendicolarmente a trovar la vena del buon metallo; la quale tagliata orizontalmente, si torna donde s’è cominciato, a cavar più sotto, e far l’istesso: di modo che il lavoro, continuando un secolo, e più; forza è, che le miniere si rendano profondissime, come si vede nella seguente figura.

A     Bocca della miniera.

B     Legni pericolosissimi a scendere.

C     Indiani, che montano in alto col metallo, portando lume in mano.

D     Vene di metallo, dove stanno altri Indiani a tagliar la pietra.

Il male è, che quantunque i meschini Indiani portino il lume; nondimeno come che questo non può far loro vedere quel di sotto; bisogna, che pongano i piedi a caso; e così precipitano alle volte col [p. 134 modifica]metallo in ispalla. Voleano condurmi a vedere altre; ma io non volli tentare Dommenedio di vantaggio. Ritornato quindi con tre ore di giorno in Paciucca, fui a desinare in casa del Genero del Lavarria.