Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro I/VI

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Libro I - Cap. VI

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CAPITOLO SESTO.

Orribili sacrificj, che faceano gl’Indiani a’ loro Idoli;

feste, ed abiti de’ medesimi.


A
Veano i Mexicani, come un giubileo ogni quattro anni, nel dì de’ 19. di Maggio, in cui cadea la festa dell’Idolo Tezcatlipùca. Cinque giorni prima digiunavano; e i Sacerdoti s’astenevano dalle mogli, e si andavano percotendo, in abito di penitenza. Tutti gli altri vestivansi similmente, et andavano in processione, dimandandosi perdono l’un l’altro. Il giorno destinato si sacrificava uno schiavo simile alla statua dell’Idolo; ed altri ancora, aprendo loro il petto, (com’è mentovato di sopra) e’l cuore strappato ancor vivo, buttandosi in faccia all’Idolo. Questi schiavi, per maggior loro miseria, erano alquanti giorni prima ingrassati, e venerati per la Città, come Iddij.

Più esecranda era la festività, che faceano in onore del Dio Quetza à letatl. Compravano 40. dì prima uno schiavo sano, e senza macchia; e vestivanlo degli ornamenti dell’Idolo, acciò fusse [p. 76 modifica]riverito. Nove dì prima della festa venivano due vecchi del Tempio, ad annunziargli la morte; e vedendolo turbarli, andavano, e lavavano i coltelli del sacrificio e quel sangue, che ne toglieano, lo davano a bere a quel misero, mescolato con cacao: credendo che così non avrebbe avuto timore della morte. Giunto il dì della festa, a mezza notte gli aprivano il petto, e trattone il cuore l’offrivano alla luna, e poi all’Idolo. Il corpo lo buttavano giù per le scale del Tempio; donde lo prendeano i mercanti, e portatolo in casa del principale, ne faceano nel dì seguente un lauto banchetto.

Vi era un’altro genere di sacrificio, detto Racaxipe Valztli, che significa scorticamento di persone; perocchè scorticavasi uno schiavo, e di quella pelle vestitone un’altro, lo portavano per la Città, chiedendo per lo Tempio; e dando con una parte della pelle sul volto delle persone, che non davano niente; sinoattanto, che la medesmna non era putrefatta. O pure vestivano molti schiavi degli ornamenti degl’Idoli, un’anno prima, di giorno portandogli per la Città, acciò fussero adorati, a somiglianza degl’Idoli; e di notte tenendogli chiusi, dando loro ben [p. 77 modifica]da mangiare. In fine dell’anno ne facevano un sacrificio, e ne sostituivano altri. Alcun’anno ne uccidevano sino a venti mila; perche andavano i barbari Sacerdoti a dire al Rè, che gl’Idoli non avevano che mangiare, e si morivano di fame; e perciò quelli andavano l’un contro l’altro in guerra, per far cattivi da sacrificarsi. Quattro Sacerdoti teneano le vittime per gli piedi, e mani: ed altri due, uno apriva loro il petto, togliendone il cuore; e l’altro sosteneva il collo, portolo prima colle spalle sopra una pietra aguta.

Nel Perù oltreacciò si sacrificavano fanciulli, di quattro sino a dieci anni, per la salute dell’Inga; e i figli, per la salute del padre infermo, e disperato, al Sole, o al Viracova; soffocandogli, o tagliando loro la gola.

In Mexico gl’Idoli più rinomati, dopo Vitziltpuztli, erano Tezcatepuca, e Hucilobos: a’ quali sarificavansi ogni anno circa 2500. persone, ingrassate prima entro gabbie. L’offerta si faceva solamente della fronte, orecchie, lingua, labbra, braccia, gambe, ed altre estremità. Si fabbricavano i Templi a modo delle Piramidi d’Egitto, a scalinate, e per lo più di terra; ponendosi l’Idolo nella sommità, [p. 78 modifica]entro un Tabernacolo; presso al quale era un luogo separato, per porre le teste delle vittime. Appiè del Tempio erano abitazioni per gli Sacerdoti.

Tenevano un’Idolo della pioggia, chiamato Tlaloc, cioè fecondatore della terra. La sua statua era della datura ordinaria d’un’uomo, con volto orribile; e l’ungevano allo spesso d’un licore, detto Oholi, che stilla da certi alberi. Tutti gli ornamenti erano simboli di pioggia, e d’abbondanza; perocchè colla destra teneva un foglio d’oro battuto, significante il baleno; nella sinistra un circolo di penne turchine guernito d’un non so che, a guisa di rete. La veste era anche di penne turchine, con simile lavoro all’estremità; e con un’altro, fatto di peli di coniglio, e di lepre, a modo di mezze Lune bianche. Avea sul capo un gran pennacchio di penne bianche, e verdi, significanti le frutta verdi, e frondose; al collo un collare di pelle di Cervo; le gambe tinte di color giallo, con sonagli d’oro appesi: e questo era lo geroglifico degl’Indiani, volendo dinotar pioggia. Il tutto si vedrà meglio nella seguente figura.

Nel Perù, oltre l’adorarsi le statue dell’Inga; quando egli veniva a morte, si [p. 79 modifica]uccidevano migliaja di concubine, e i servidori più diletti, per servirlo nell’altro mondo; e sepellivansi con lui immense ricchezze, affinche potesse avvalersene. Gli altri Indiani aggiungeano a ciò, di porre vivande presso il sepolcro, credendo, che i morti mangiassero. Di più, fatte l’esequie, con molte cerimonie, vestivano il cadavere delle insegne di dignità; e poscia lo sepellivano nel cortile, o bruciatolo, conservavano in onorevole luogo le ceneri. Oggidì non è in tutto sterminata l’Idolatria d’America, ma si fanno ancor tra’ monti i medesimi abbominevoli sacrificj.

Quanto al vestire, non vi avea meno di barbarie. I soldati, per mostrarsi più terribili a’ loro nemici, si macchiavano il corpo nudo; o lo coprivano con una pelle di Tigre intera, o di Leone, adattando la testa sopra la loro. Si cingevano a traverso una catena di cuori, nasi, ed orecchie umane, e un capo d’uomo altresì portavano nelle mani, come si vede dalla seguente figura.

L’abito de’ Rè, e Principi del sangue, a comparazion del plebeo, non era affatto cattivo; ma lo rendea meno lodevole il costume di perforarsi il labbro inferiore, [p. 80 modifica]per porvi un chiodo d’oro, o altra cosa preziosa; come si vede dalle presenti figure, copiate da originali antichissimi, che sono in potere di D. Carlo Siguenza.

L’abito degl’Indiani d’oggidì è un giubbone corto, con brache larghe. Sulle spalle portano un mantello di varj colori, detto Tilma; che attraverso da sotto il braccio destro, si liga sopra la spalla sinistra, facendosi un gran nodo dell’estremità. Usano, in vece di scarpe, zoccoli, come quei de’ Religiosi Francescani, andando parimente colle gambe, e piedi nudi. Il cappello però giammai non lo lasciano, benche andassero tutti nudi, o laceri. Le donne usano tutte il Guaipil (ch’è come un sacco) sotto la Cobixa, ch’è un panno bianco di sottil tela di cottone; al quale ne aggiungono un’altro sulle spalle, quando sono in cammino, che poi in Chiesa se l’accomodano in testa. Le gonne sono strette con figure di leoni, uccelli, ed altro; adornandole di morbide piume d’anitre, che chiamano Xilotepec.

Sono tutti, così maschi, come femmine, di color fosco, quantunque studiino di difendersi dal freddo le guancie, e renderle morbide, con erbe peste. Sogliono [p. 81 modifica]anche imbrattarsi la testa di loto liquido, come quello, che si usa per la fabbrica; credendo, che vaglia a rinfrescargliela, e render i capelli neri, e morbidi; onde veggonsi per la Città molte Contadine sporcate in tal maniera. Le Mestizze però, Mutate, e Nere (che compongono la maggior parte di Mexico) non potendo portar manto, nè vestire alla Spagnuola, e sdegnando dall’altro canto l’abito dell’Indiane, vanno per la Città stravagantemente vestite; ponendosi una come gonna, attraversata sulle spalle, o in testa, a guisa di mantello, che fa parerle tante diavole.

Tutti i Neri, e Mulati sono insolentissimi, e se l’affibbiano niente meno, che gli Spagnuoli, all’uso de’ quali vestono; e così anche fra di loro s’onorano col titolo di Capitano, benche non lo siano: nè ve ne ponno esser molti in Mexico, dove non vi è, che una sola compagnia di Spagnuoli, e poche d’artigiani, in caso di bisogno. E’ cresciuta in sì gran numero questa canaglia di Neri, e color quebrado (come dicono gli Spagnuoli) che si dubbita, non un giorno abbiano a rivoltarsi, e rendersi padroni del paese; se pure non si rimedierà, con impedire [p. 82 modifica]l’introduzione di tanti Neri, per mezzo dell’appalto.

L’ingegno degl’Indiani d’oggidì è ben differente da quello degli antichi, i quali si applicavano, e riuscivano maravigliosamente nelle arti liberali, e meccaniche: ma presentemente sono immersi nell’ozio, nè s’esercitano, che in surberie. Coloro però, che si pongono a fare qualche mestiere, mostrano non poca abiltà: alcuni formano diverse immagini, di sole piume di diversi colori, d’un’uccellino, che gli Spagnuoli chiamano Chuppaflor; ed io ne tengo una, così lavorata: altri fanno dilicatissimi lavori di legno; ed altri giungono ad ingannare un’uccello, così sospetto, come l’anitra: cioè, dopo che l’hanno accostumato ad andar fra zucche, galleggianti nella lacuna, a tal fine ivi poste; forano le medesime zucche in modo, che postovi dentro il capo, ponno vedere; ed entrati così, col corpo tutto nell’acqua, vanno fra le anitre, e le tiran giù per gli piedi.

Naturalmente sono timidissimi gl’Indiani; però essendo spalleggiati, sono crudelissimi. I vizj, che comunemente loro attribuiscono gli Spagnuoli, sono primamente: di vivere senza onore [p. 83 modifica](poiche l’un coll’altro iscambievolmente se lo tolgono; oltre gl’incesti, che commettono colle madri, e sorelle) mangiar senza nausea, dormire sulla nuda terra, e morire senza timore. Sono grandissimi ladroni, truffatori, e buggiardi; massime i Mulati, fra cento de’ quali non si truova un’uom dabbene, e sincero. Dall’altro canto sono i poveri Indiani di assai peggior condizione, che schiavi; poiche essi soli faticano nelle miniere; e quel ch’è peggio, quanto acquistano, vien loro tolto da’ Governadori, ed altri Uficiali; malgrado le rampogne, che quelli odono tutto dì dalla Corte.