Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro II/VII

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Libro II - Cap. VII

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CAPITOLO SETTIMO.

Della caccia della Gamita.


M
I partii da Mexico il Lunedi 26.con alcuni amici, per andarmi a trattenere alcuni giorni alla caccia de’ Cervi. Pernottai la sera in una azienda, appiè d’un monte. Giunti la mattina del Martedi 27. al luogo, che si credeva a proposito, non vi trovammo la caccia desiderata; onde ne parve bene di dover passare in un’altra montagna.

Il Mercordi 28. preso congedo dal Padrone della Massaria, dove avevamo pernottato, giugnemmo a buon’ora nel [p. 193 modifica]Casale di San Girolamo, abitato da Indiani ottomiti, co’ quali bisognò avvalerci d’interprete, perche non intendeano la favella Mexicana. Vivono questi meschini (come tutti gli altri della nuova Spagna) più tosto da Bruti, che da uomini, tra orride montagne. Alimentansi la maggior parte dell’anno d’erbe, perche non hanno Maiz: difetto, che nasce, sì dal poco terreno, che coltivano, come per essere inchinati all’ozio. Mi vennero le lagrime sugli occhi, vedendogli in tale miseria, che non aveano, come coprire le parti vergognose, cosi maschi, come femmine; ed ammaliar le barbe del nuovo grano d’India, stritolate su d’una pietra da macinar cioccolata; aggiugnendovi crusca, per fare indurire alquanto, e cuocere quella pasta verde. Vedendo io un di loro raccor le bricciole di pane, e he mi cadevano, gli ne diedi alquanto. Corrisponde il dormire al nutrimento, perche in tutto l’anno non tengono altro letto, che il suolo. E’ causa, non ha dubbio, di tante miserie la loro poltroneria, ma molto più l’ingordigia di alcuni Alcaldi, i quali tolgono loro, quanto si han procacciato in tutto l’anno; sforzandogli a prendersi bovi, mule, cavalli, e coltri [p. 194 modifica]per prezzo, tre volte maggiore del giusto; e per lo contrario togliendosi le vettovaglie al prezzo, che loro piace.

Dopo avere avuta una mala notte in una capanna, entrammo la mattina del Giovedì 29. nel monte, per cacciare colla Gamita. Gamita chiamano gli Spagnuoli un suono, simile alla voce, che fanno i piccioli cervi; per mezzo del quale vengono le amorose madri sino alla punta dello scoppietto, a farsi uccidere. Si tirarono molti colpi, in tutto il dì, ma non morì che una cerva. Il seguente Venerdi 30. benche venissero sino a 26. cervi alla Gamita, non se ne uccisero, che due: pure vedendoci con bastante cacciagione, tornammo in S. Girolamo, per disporre la partenza. Incontrammo per istrada più cervi (de’ quali io ne uccisi uno ben grande) e Guaxolotes, o Galli d’India, che andavano a truppe per lo bosco. Questi sono i migliori uccelli, che avessero trovato gli Spagnuoli in America, tal che poi ne dimesticarono, e ne portarono in Europa. Stemmo la notte in S. Girolamo, e la mattina del Sabato 31. di Agosto prendemmo la via di Mexico, portandoci quattro cervi sopra un mulo: però dee sapersi, che eglino non sono, che quanto [p. 195 modifica]un daino d’Europa. Ci sopraggiunse la notte presso un’azienda, o massaria di vacche, onde ci convenne albergar qui. Il Custode, con molta cortesia, ne diede, e cacio, e latte, senza voler prender monete. Partimmo adunque il primo di Settembre, e perche era Domenica, quando fummo in Escapusalco, udimmo Messa; e poi, due ore prima di mezzo dì, ci trovammo in Mexico.

Mentre desinavasi udì un suono di tutte le campane della Città, per giubilo dell’avviso avuto di Spagna, che era giunta la flotta a Cadiz (benche col vascello Cortabrazos meno, per essere stato preso da’ Francesi); e che per gli diritti Reali s’era transatta per quattrocento, e dodici mila pezze d’otto; onde il Lunedi 2. si cantò la Messa, e’l Te Deum in rendimento di grazie, coll’assistenza del Vicerè, non meno che dell’Arcivescovo, e Ministri.

La cosa più ricordevole, che accadesse il Martedi 3. fu una gran pioggia: Il Mercordi 4. l’esame d’uno scolare, per lo grado di Baccelliere in medicina: e’l Giovedi 5. la venuta dì cinquanta mila marchi d’argento nella Casa della moneta. Andai il Venerdì 6. a spasso in S. Agostino de [p. 196 modifica]las Cuevas; donde feci ritorno il Sabato 7. a buon’ora. La Domenica 8. si fece nei Teatro una rappresentazione della vita di S. Rosa. Si cantò un solenne Vespro il Lunedi 9. nell’Ospizio delle Filippine de’ Padri Scalzi Agostiniani, per la festa di S. Niccolò Tolentino; e la mattina del Martedi 10. vi si cantò la Messa, e vi si recitò un mezzano sermone. La mattina del Mercordi 11. andai visitando alcuni amici: e’l Giovedi 12. vidi una processione, che si suol fare anche in rendimento di grazie, colle solite maschere di giganti. Il Venerdi 13. per la morte d’un Nero di D. Alonzo Robles, che l’amava molto, stemmo quanti eravamo in casa, con grande afflizione. Essendosi stabilito il prezzo del pane, mezzo reale per ogni 14. oncie; il Sabato 14. fu punito in danajo un panettiere, che lo vendeva di sedici oncie di peso, per lo medesimo prezzo. Fatto in vero misterioso.

La Domenica 15. udii nel Teatro rappresentare una commedia, intitolata: El amor en Biscayno, y los zelos en Françes. Essendo andato in palagio il Lunedì 16. trovai nella sala quattro Cicimeccos (voce che significa, nudrito fra l’amarezze) venuti dal Parral, a dimandar limosina al Signor [p. 197 modifica]Vicerè. Andavano eglino coperti solamente nelle parti del sesso; e con tutto il resto del corpo nudo, e macchiato di varj colori. Tutto il volto aveano listato di linee nere, fatte per mezzo di sanguinose punture, coperte d’inchiostro. Alcuni coprivano il capo con un teschio di cervo, con tutte le corna, e colla pelle del collo adattata sul loro. Altri tenevano una testa di lupo con tutti i denti; altri di tigre; altri di lione, per rassembrar più terribili. Quando però stanno in campagna, recano più spavento co’ loro urli, e strida, che colla sembianza. Le mule, e i cavalli, ben da lungi sentono il fetore delle lor carni, e non vogliono passare avanti. Sopra tutto desiderano di uccidere Spagnuoli, per scorticare loro il capo, ed adattarsi quella pelle, con tutti i capegli; e portarla, come per segno di valore, sino a tanto, che putrefatta non se ne cada in pezzi.

Andai il Martedi 17. in S. Angel, a prender congedo dal Padre Fra Lorenzo, e dal Padre Rettore, perche sperava di dover partirmi in brieve. Stava il giardino nel maggior colmo delle frutta, spezialmente di pesche, pere, e mele-cotogne; sicchè se ne vendeano ogni di cento [p. 198 modifica]pezze d’otto. Il suolo n’era tutto coperto, poiche le lasciavano cader mature a terra, per raccorle. Ritornai il Mercordì 18. in casa.