Gli orrori della Siberia/Capitolo XXXIX – Un colpo audace

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Capitolo XXXIX – Un colpo audace

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Capitolo XXXIX – Un colpo audace


La sera dopo, verso le dieci, Maria, Iwan, il capo e due pastori scelti fra i più coraggiosi e più destri, lasciavano silenziosamente il territorio mongolo per tentare l’audace colpo di mano sulle prigioni di Charazainsk.

Durante la giornata, venti cavalieri khalkhas avevano attraversata la frontiera a due o tre alla volta, senza aver incontrato alcun cosacco; potevano quindi sperare anche gli ultimi di giungere felicemente nei pressi della città.

Di certo, gli squadroni che li avevano assaliti di fronte alla torre cinese, si erano diretti altrove, forse a Khiachta, città di frontiera molto importante e di solito munita di numerosa guarnigione.

Il piccolo drappello attraversò felicemente la stretta e selvaggia gola, senza aver fatto alcun cattivo incontro, e scese di galoppo la china della catena di montagne, guadagnando la piccola steppa.

Il capo khalkhas, quantunque fosse certo di non trovare i cosacchi, scrutava attentamente le alte erbe e spingeva lontano gli sguardi per vedere se qualche cavaliere appariva in qualche direzione, ma nulla si vedeva spiccare sulla linea oscura dell’orizzonte.

Sovente anche si arrestava per tendere gli orecchi, però nessun rumore rompeva il silenzio che regnava sulla pianura.

Già cominciavano ad apparire, verso il nord, i più alti edifizi della cittadella, le prigioni, la chiesa col suo campanile a punta rigonfia e la torricella del mercato, quando un cavallo che stava semi-nascosto fra le alte erbe, balzò bruscamente in piedi. Un uomo erasi subito lanciato in groppa al destriero, con un’agilità meravigliosa.

– Chi vive? – chiese il khalkha, rattenendo bruscamente il proprio cavallo e armando precipitosamente il fucile.

– Sono io, capo, – rispose il cavaliere.

– Ah!... Sei uno dei nostri!... Quali nuove?

– Siamo tutti radunati attorno alla casa di Dimitri.

– È calma la città?

– Tutti dormono, capo.

– Bene!... Avanti!...

Ripartirono ventre a terra e dieci minuti dopo giungevano dinanzi alla casetta. I cavalieri khalkhas si erano accampati sul margine della macchia, però si tenevano pronti a rimettersi in sella.

Dimitri e l’jemskik corsero incontro a Maria ed a Iwan.

– Hai trovati i cappotti dei cosacchi? – chiese la giovane.

– Sì, padrona, – rispose Dimitri.

– Non hanno sospettato nulla?

– No, poiché mi sono spacciato per un rigattiere di Tomsk, in cerca di vecchi cappotti pei forzati.

– Hai veduto il maresciallo?

– Gli ho pagato da bere questa sera e l’ho condotto nell’ufficio di polizia molto malfermo in gambe. Credo che questa notte non avrà troppa voglia di fare la guardia.

– Meglio così. Non opporrà troppa resistenza.

– Signora, affrettiamoci, – disse il capo. – Mezzanotte deve già essere trascorsa.

– Entriamo, capo, – rispose Maria.

In una stanza, Dimitri aveva distesi i cappotti dei cosacchi, specie di pastrani lunghissimi, con alto colletto, di panno grosso assai e grigiastro.

Accanto vi erano i cappelli, altissimi, di pelle villosa, col cocuzzoletto sporgente.

– Uno è mio, – disse il capo.

– Un altro è mio, – disse Iwan. – L’jemskik, che è un uomo robusto come un ercole indosserà il terzo, ed uno dei vostri khalkhas il quarto.

– Scelgo quello che ci ha aspettati nella steppa. È uno dei più valorosi.

I quattro uomini in breve tempo indossarono i cappotti che li coprivano fino ai talloni, si misero in testa i berrettoni, s’armarono di fucili, e si cacciarono nelle tasche un coltello ed una rivoltella.

– Il prigioniero? – disse il capo.

– I prigionieri sono pronti, – disse Maria con un sorriso. – È vero, Dimitri?

– Come!... Anche voi!... – esclamarono Iwan ed il capo.

– Sì, amici miei, – rispose la valorosa ragazza. – Non voglio rimanere qui, mentre voi rischiate la vita per salvare mio fratello.

– È una pazzia, signora Maria, – disse lo studente, impallidendo. – Pensate che possiamo venire sorpresi e fucilati.

– Ebbene, morremo tutti insieme.

– Vi esporrete ad un pericolo inutile.

– Sono decisa a seguirvi, Iwan. Voglio dividere con voi i pericoli di questo colpo disperato.

– E cosa dovremo dire noi al maresciallo?

– Mi conosce, sa che Dimitri è il mio servo e non si allarmerà vedendoci insieme. Orsù partiamo.

– Siete almeno armata?

– Ho la mia rivoltella, e Dimitri sa che io non perdo i miei colpi.

– Andiamo, adunque.

– Ed i miei uomini? – chiese il capo.

– Conoscono la città? – chiese Maria.

– Siamo venuti molte volte qui, a vendere i nostri bestiami.

– Andranno ad occupare le viuzze che circondano l’ufficio di polizia. Badate che non facciano rumore.

– Saranno muti, ed i loro cavalli non scalpiteranno.

Uscì e diede gli ordini necessarii. Poco dopo rientrava, dicendo:

– Sono partiti prendendo vie diverse e li troveremo tutti a posto.

– Andiamo, – disse Maria.

Uscirono sulla via, salirono a cavallo e si diressero verso il centro della città, procurando di non far rumore. Il terreno, non essendo selciato, non dava che un suono sordo sotto i ferri degli animali.

Non si vedeva alcuna persona nelle vie della città, né alcun lume brillava nelle case. I buoni abitanti di Charazainsk dormivano saporitamente e anche il capo della polizia doveva averli imitati, contando sulla vigilanza del suo maresciallo. La piccola truppa era giunta nei pressi del mercato, quando il khalkha, che aguzzava gli occhi dappertutto, arrestò il cavallo emettendo una sorda imprecazione.

– Cos’avete? – chiese Iwan.

– I cosacchi!...

– Mille morti!...

– Non sono che due.

– Avanti; ci penso io.

La truppa riprese il cammino attraverso la piazza, ma era appena giunta sull’angolo della via opposta, che i due cosacchi veduti dal capo e che stavano di guardia dinanzi ad una casa, s’avvicinarono, dicendo:

– Ohe, camerati!... Dove andate?...

– Al posto di guardia, – rispose Iwan.

– Con prigionieri?

– Sì.

– Da dove venite?

– Da Khiachta.

– Pezzi grossi?

– Fuggiaschi delle miniere.

– Dobbiamo andare a svegliare il capo?

– È inutile; si sveglierebbe di cattivo umore.

– È vero, ma troverete il maresciallo Kraptkin.

– Lo so; buona notte.

I due cosacchi tornarono dinanzi alla casa ed i cavalieri si cacciarono in mezzo alle stradicciuole fangose che conducevano al posto di polizia.

– Ci seguono? – chiese Maria, con un leggero tremito nella voce.

– No, – rispose l’jemskik, che era l’ultimo.

– Credevo che tutto fosse perduto.

– Non avrei lasciato loro il tempo di dare l’allarme, – disse Iwan.

– E nemmeno io, – disse il capo. – Sarei piombato addosso a loro col coltello in pugno o li avrei accoppati col calcio del fucile.

In quell’istante, in fondo ad un viottolo, riparato sotto un antico arco che univa due vecchie case, si videro alcuni cavalieri che si tenevano immobili.

– I nostri uomini, – disse il capo.

S’avvicinò a quei cavalieri che tenevano tutti in mano i fucili e chiese loro:

– Avete incontrato dei cosacchi?

– No, capo, – rispose uno.

– Dove sono gli altri?

– Nascosti dietro l’angolo dell’altra via.

– Sono deserti i dintorni della polizia?

– Tutto è silenzio.

– A terra, – disse il capo.

Maria, Dimitri, Iwan e l’jemskik ed i due khalkhas scesero, affidando i loro cavalli ai pastori.

– Coraggio, – disse il capo.

– Non ci manca, – rispose lo studente. – Teniamo la mano sulle rivoltelle.

Maria e Dimitri si posero in mezzo ai quattro falsi cosacchi e si diressero verso il cupo edificio della polizia, che era tutto oscuro e chiuso.

– Che dormano tutti? – chiese il capo, arrestandosi dinanzi alla porta.

– No, – disse Iwan. – Vedo un filo di luce attraverso una fessura.

– E odo delle persone chiacchierare, – disse Dimitri.

– Siete pronti? – chiese il capo.

– Risoluti, – rispose Maria per tutti, con voce ferma.

Il capo batté la porta col calcio del fucile. Nell’interno si udirono due scranne a muoversi, poi un passo che si avvicinava alla porta, quindi una voce, quella del maresciallo, che chiedeva:

– Chi bussa?

– Cosacchi, – rispose Iwan.

– Una ronda?

– No, cosacchi con prigionieri.

– Dei vagabondi?...

– No, signor maresciallo, sono io assieme alla mia padrona, – disse Dimitri. – Ci hanno arrestati or ora nella nostra casa.

La porta si aprì di colpo, ed il maresciallo comparve sulla soglia, dicendo con voce furiosa:

– Chi è che ha osato d’arrestarvi?... Con quale ordine?...

– Vi spiegheremo la cosa, – rispose Iwan, spingendo innanzi Dimitri e la giovane.

Il maresciallo fu costretto a indietreggiare, ed i quattro finti cosacchi approfittarono tosto per entrare nella stanza, chiudendo sollecitamente la porta.

In quella stanza vi erano tre guardie: due che russavano sonoramente sopra un pagliericcio e un’altra che stava seduta su di uno sgabello, tenendo ancora in mano un vecchio mazzo di carte.

– Chi vi ha dato l’ordine di arrestare questa signora?... – chiese il maresciallo con aria minacciosa, saettando con due occhi torvi i quattro cosacchi.

– L’ho avuto dal mio capo, – rispose Iwan. – Ecco l’ordine d’arresto.

Così dicendo, colla sinistra gli porgeva una carta piegata in quattro, mentre lasciava andare il fucile.

Il maresciallo si curvò per osservarla, ma quasi nell’istesso momento lo studente, rapido come il lampo, gli puntava sul cuore una rivoltella che impugnava colla destra, dicendogli con un tono di voce da non mettersi in dubbio:

– Se mandi un grido sei morto!...

Nel medesimo momento il capo, che si era lentamente accostato alla guardia, faceva altrettanto, ripetendogli la medesima frase e Dimitri, l’jemskik e il pastore si gettavano sui due addormentati imbavagliandoli strettamente e legandoli.

– Signora... cosa vuol dire ciò?... – balbettò il maresciallo, pallido come un cencio lavato, rivolgendosi a Maria che lo guardava sorridendo.

– Vuol dire, mio caro, che se non vi arrendete senza opporre resistenza, i miei amici vi pianteranno un pugnale nel cuore, – rispose la giovane con voce tranquilla.

– Ma volete rovinarmi?... Voi, la contessa...

– Lasciate là la contessa per ora, maresciallo. Orsù, lasciatevi legare e imbavagliare, e non si farà alcun male né a voi, né ai vostri compagni.

– Io non posso arrendermi, se non conosco prima le vostre intenzioni.

– Basta, – disse il capo dei khalkhas. – Hai chiacchierato abbastanza, cosacco, e se non vi fosse questa signora, ti avrei già mandato nel tuo inferno. A me, amici!...

Dimitri, l’jemskik ed il pastore si gettarono addosso al maresciallo e lo atterrarono senza che il disgraziato osasse fare resistenza. La rivoltella d’Iwan non aveva abbandonato un solo istante il suo petto.

– Le chiavi della prigione ora, – disse il capo.

– Non le ho, – rispose il maresciallo.

– Dimitri, frugagli le tasche, – disse Maria.

Il polacco non si fece ripetere l’ordine, e in una tasca trovò una grossa chiave che subito riconobbe.

– Gliel’ho veduta in mano quando ci ha aperta la prigione, padrona, – disse.

– Voi rimanete a guardia di questi uomini, – disse il capo dei khalkhas, dopo d’aver imbavagliato il maresciallo.

Accese una lampada che stava su di una tavola e preceduto da Dimitri, e seguito da Iwan e da Maria infilò un corridoio. In fondo vi era una porta laminata di ferro e di spessore notevole.

Dimitri introdusse la grossa chiave ed aprì senza difficoltà.

In fondo a quel tetro ed infetto stanzone, coricate su di un mucchio di paglia e coperte da un vecchio drappo di lana, si vedevano due forme umane.

Maria si precipitò innanzi, gridando con voce soffocata:

– Sergio!... Signor Storn!... In piedi!...

Udendo quella voce, i due prigionieri fecero volare in aria la coperta e s’alzarono di scatto. Due grida uscirono dalle loro labbra:

– Tu, sorella!...

– La signorina Maria!...

– E ci sono anch’io, – disse Iwan, avanzandosi.

– Voi!... Vivo ancora!... – esclamò il colonnello.

– Ed anche il capo!... – esclamò l’ingegnere.

Il colonnello si precipitò fra le braccia di Maria, poi in quelle di Iwan e di Dimitri. Quel valoroso aveva le lagrime agli occhi.

– Fuggiamo, fratello, – disse Maria.

– Fuggire!... Ma siamo adunque liberi!...

– Sì, fratello, ma possono sorprenderci.

– Partiamo, – disse il capo dei khalkhas. – Non è prudente fermarsi qui.

Senza chiedere altre spiegazioni, il colonnello e l’ingegnere seguirono i loro salvatori.

– In ritirata, – disse il capo all’jemskik ed al pastore. – Lasciate legati ed imbavagliati questi poltroni, e chiudiamo l’ufficio a chiave.

Uscirono tutti precipitosamente, chiusero la porta e si slanciarono nella viuzza vicina. I venti khalkhas si erano già tutti radunati colà e sorvegliavano gli sbocchi delle strade, coi fucili in pugno.

– Nessuno? – chiese il capo.

– Nessuno, – risposero i suoi uomini.

– Presto, ai cavalli.

I destrieri furono subito condotti e tutti balzarono in sella.

– Grazie, capo – disse il colonnello, stringendo la mano al bravo khalkha.

– Mi ringrazierete poi, – rispose il nomade. – Al galoppo!...

I ventotto cavalli partirono ventre a terra, passando come un uragano attraverso le stradicciuole.

Sulla piazza del mercato s’incontrarono coi cosacchi che avevano veduti poco prima. I due soldati, vedendo quella turba di cavalieri e sospettando forse qualche cosa, si slanciarono innanzi gridando:

– Ferma!... ferma!...

– Sì, aspettaci, – rispose il capo sogghignando. – Addosso a costoro!...

I ventotto cavalli passarono come una tromba sui due poveri soldati, lasciandoli sul terreno mezzo accoppati.

– Sprona!... Sprona!... – urlò il capo. – Ormai non ci tengono più!...

Già ormai si credevano salvi avendo abbandonate le ultime case di Charazainsk, quando il capo khalkha trattenne violentemente il proprio cavallo, gridando:

– Alt!...

– Cosa succede? – chiese Sergio, che gli cavalcava a fianco.

Una linea oscura e grossissima tagliava la via che conduceva nella steppa. Quantunque l’oscurità fosse profonda, al colonnello parve di distinguere una truppa d’uomini a cavallo.

– Uno squadrone di cosacchi? – chiese volgendosi verso il capo dei nomadi.

– Saranno parecchi squadroni, – disse questi, sorridendo. – Credevo che non giungessero in tempo.

– E chi sono costoro?

– Chi?... I miei compagni del deserto.

– E cosa vengono a fare qui?

– A vendicare la sconfitta che mi hanno fatto subire i cosacchi, – rispose il nomade, con fierezza. – Le tribù dei khalkhas sono ospitali, ma guai a chi reca loro un’offesa.

– E cosa vuoi fare? – chiese Sergio.

– Riavere il mio bestiame. Non servirà di certo a ingrassare i lupi del gran padre bianco. Io avevo mandato dei messaggeri alle tribù del deserto e credevo che non potessero giungere in tempo, ma giacché sono qui, i cosacchi avranno il loro conto.

Poi rizzandosi sulle corte staffe tuonò:

– A me i nomadi del deserto!... Vendicate l’oltraggio arrecato ai vostri compatrioti!...