Gli orrori della Siberia/Capitolo XXXVIII – Iwan

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Capitolo XXXVIII – Iwan

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Capitolo XXXVII – Il maresciallo della polizia Capitolo XXXIX – Un colpo audace

Capitolo XXXVIII – Iwan


Quando il bravo ed astuto polacco giunse alla casetta, cominciavano a calare le tenebre. Maria, l’jemskik ed il capo dei khalkhas erano in preda a vive inquietudini non avendolo veduto ritornare subito; avevano temuto che fosse stato arrestato di nuovo, e che fosse stato riconosciuto per un compagno del colonnello e dell’ingegnere.

Grande fu adunque la loro gioia quando lo videro entrare, e furono doppiamente contenti quando appresero tutto ciò che era riuscito a strappare al maresciallo.

Quelle informazioni erano della massima importanza, poiché rendevano quasi certo l’ardito colpo di mano sulla prigione, che Maria aveva già progettato.

– Quattro uomini sono facili a ridursi all’impotenza, – disse il khalkha.

– Specialmente quando si riesce a introdursi nel corpo di guardia senza destare sospetti, – aggiunse Maria.

– Senza sospetti?... Avete già un piano?

– Sì, capo, e pensato fino da stamane. Temevo solamente che vi fossero troppi uomini nell’ufficio.

– E come farete a sorprenderli?

– A suo tempo la saprete. Dimitri, credi tu di poter trovare quattro o cinque cappotti da cosacchi e dei berrettoni?

– Lo spero, padrona.

– Procura che per domani sera ogni cosa sia pronta. Ed ora, capo, partiamo.

– Quando ritornerete, padrona? – chiesero Dimitri e l’jemskik.

– Alla mezzanotte di domani noi saremo qui.

– Andiamo, capo.

I due cavalli erano già stati sellati e scalpitavano accanto alla porta. Maria balzò in sella coll’agilità di una provetta cavallerizza, si accertò se nelle fonde vi erano le rivoltelle, poi allentò le briglie e partì di galoppo seguita dal capo.

La notte era oscura, essendo il cielo coperto dalla nebbia; era quindi facile varcare la frontiera, senza essere scorti dai posti cosacchi scaglionati sulle vette delle montagne.

Attraversata la pineta, i due cavalli si slanciarono in mezzo ad una piccola steppa coperta di alte erbe ancora imperlate di ghiacciuoli, la quale a poco a poco s’innalzava verso le montagne che si profilavano verso il sud.

– Ci vorrà molto? – chiese Maria al capo.

– Due ore, vi ho detto, – rispose questi.

– Vi aspetterà Iwan?

– Lo credo, poiché gli avevo promesso di ritornare questa sera.

– Ed i vostri uomini?

– Attendono i miei ordini. Basteranno?

– Sono già anche troppi pel colpo di mano.

– Meglio troppi che pochi, anzi farò appello ai miei compatrioti.

– Sarebbe pericoloso, capo, introdurre tanti khalkhas in città.

– No, in città. Si nasconderanno nelle gole delle montagne per proteggere la ritirata, nel caso che i cosacchi ci inseguissero.

– I vostri uomini non desteranno dei sospetti?

– Entreranno in Charazainsk a due od a tre alla volta e con prudenza. Posdomani è giorno di mercato, ed i miei compatrioti accorrono sempre numerosi a vendere bestiame, latte e burro.

– Meglio così, capo.

Verso le undici i due cavalli, che non avevano mai rallentato il galoppo, giungevano ai primi contrafforti della catena di montagne che serve di confine fra la Transbaikalia e la Mongolia.

Il khalkha guardò attentamente verso le cime per vedere se scorgeva i fuochi di qualche accampamento di cosacchi, ma nulla vedendo, spinse il suo cavallo entro un’angusta gola che pareva tagliasse due montagne assai elevate.

– È un passo poco conosciuto, – diss’egli. – Procuriamo però di non fare troppo rumore.

Quella gola era aspra e selvaggia. S’innalzava tortuosamente, rasentando le due montagne che in quel luogo scendevano a picco, ed era ingombra di massi enormi che pareva fossero rotolati dall’alto e di tronchi di pini, forse colà trascinati dalle frane o dalle acque.

Un silenzio profondo regnava, rotto solamente dallo scalpitìo dei due cavalli, o dal lugubre urlo di qualche lupo vagante sui fianchi delle due montagne od in fondo agli abissi.

Il capo andava innanzi e guardava di frequente in alto come se temesse la improvvisa comparsa dei cosacchi o di qualche altro pericolo. Anzi aveva messo il fucile dinanzi alla sella, per essere più pronto a servirsene, in caso di bisogno.

La marcia entro quella cupa e tenebrosa gola durò mezz’ora, poi le due montagne cominciarono ad allontanarsi formando una valletta, in mezzo alla quale scorreva un torrentaccio impetuoso.

– Siamo passati, – disse ad un tratto il capo, indicando a Maria un alto tronco di pino privo di rami e su cui ondeggiava uno straccio incolore. – Ormai i cosacchi non possono più prenderci.

Aveva appena pronunciate quelle parole, quando si udì un fischio che partiva da un boschetto di pini e di larici.

– Cos’è? – chiese Maria, levando una rivoltella dalle fonde.

– Un segnale d’allarme dei miei uomini, – rispose il khalkha. Poi alzando la voce gridò:

– Sono il capo!

Alcune ombre umane apparvero sull’orlo della macchia, poi un uomo si slanciò di corsa verso i due cavalli e s’arrestò dinanzi a Maria, esclamando:

– Voi, signorina Maria!... Ah! Grazie a Dio!... Siete libera!...

– Voi, Iwan!... – esclamò la giovane con gioia, porgendo la mano al bravo studente.

– Ed il colonnello?... Prigioniero?...

– Sì, Iwan.

– Gran Dio!... E l’ingegnere?

– Anche lui, ma li salveremo, ve lo prometto.

– Sono pronto a dare la mia vita per salvarli, signora Maria. Dite, comandate: la morte non mi fa paura.

– Vi esporrò il mio progetto, ma ditemi come siete riuscito a sfuggire ai cosacchi?

– In un modo facilissimo, signora Maria, – disse lo studente, ridendo. – Nel momento in cui i cosacchi facevano diroccare la torre, ho sentito il suolo mancarmi sotto i piedi e sprofondare. Nel luogo ove mi trovavo, vi stava sotto una vôlta. Spezzatosi l’arco, piombai in una specie di cantina, forse la polveriera della torre, e la caduta fu così brusca che rimasi come tramortito. Quando tornai in me, i cosacchi erano già partiti assieme a voi. Come vedete la mia libertà la devo ad una fortunata combinazione.

– La metteremo a profitto la vostra libertà, Iwan, – disse Maria.

– Sono tutto vostro.

– Venite: vi informerò del mio progetto.

Aiutata dallo studente scese da cavallo e si diressero tutti e tre verso la macchia, sul cui margine si trovava una tenda di feltro. Otto khalkhas, armati di fucile, vegliavano all’intorno.

Quei bravi ed ospitali pastori fecero una festosa accoglienza a Maria. La fecero entrare nella tenda e s’affrettarono ad offrirle del the bollente e del latte, mentre il capo vuotava una coppa di koumis.

– Vi ascolto, signora Maria, – disse Iwan, che era impaziente di saper tutto.

La giovane in poche parole raccontò tutto ciò che era avvenuto, non dimenticando le preziose informazioni avute da Dimitri sul numero degli uomini che vegliavano sui prigionieri.

– Dunque voi credete che si possano salvare! – chiese Iwan, quando ebbe tutto udito.

– Sì, – rispose Maria. – Sorprenderemo il maresciallo ed i suoi cosacchi.

– Ma in quale modo! Spiegatevi, vi prego.

– Sì, in quale modo? – chiese il capo dei khalkha.

– Con uno stratagemma che non credo pericoloso. Ho fatto cercare da Dimitri quattro cappotti da cosacco e relativi berrettoni che faremo indossare a voi Iwan, a voi, capo, ed a due altri vostri compagni scelti fra i più robusti ed i più audaci.

– Grazie di aver pensato a me, signora Maria, – disse Iwan.

– Verso le una o le due del mattino, voi quattro vi presenterete al corpo di guardia, spingendo innanzi a voi Dimitri.

– Dimitri!... – esclamarono Iwan ed il capo, con sorpresa.

– Sì, – riprese Maria. – Dimitri è conosciuto dal maresciallo e appena lo vedrà si metterà a protestare contro il suo arresto, e voi approfitterete della sorpresa del capo-posto per entrare. Vedendovi vestiti da cosacchi, non avrà difficoltà a lasciarvi inoltrare, ma appena dinanzi a lui metterete mano alle rivoltelle, intimando a lui ed ai suoi uomini la resa.

– È un piano prodigioso! – esclamò Iwan. – Io mi stupisco come voi abbiate potuto idearlo.

– Vi pare attuabile?

– Sì, – rispose Iwan.

– E poi? – chiese il capo.

– Legherete gli uomini, libererete i prigionieri e fuggiremo di galoppo verso la frontiera.

– Spalleggiati dai miei cavalieri?

– Sì, capo.

– Una domanda, signora Maria, – disse Iwan. – È isolata la prigione?

– No, ma si trova fra un labirinto di stradicciuole semi-deserte.

– Non ci verranno a disturbare durante il colpo di mano?

– Ci saranno i miei uomini a vegliare, – disse il capo. – Charazainsk ha pochi cosacchi, essendo gli altri scaglionati lungo la frontiera.

– È vero, – disse Iwan. – Quando partiremo?

– Lasceremo questo campo alle dieci di sera e all’una saremo a Charazainsk.

– Hanno dei cavalli i vostri compagni?

– No, non vi avevo pensato.

– Ne abbiamo a esuberanza qui, – disse il capo. – Penseranno i miei uomini a condurne sei dei migliori.

– Vi avverto che i vostri uomini non devono giungere a Charazainsk tutti in gruppo.

– Domani partiranno a due o tre alla volta e ad ore diverse, e ci aspetteranno presso la città. Vi lasciamo per riposarvi con vostro comodo, signora.

– Grazie, capo.

– Noi veglieremo attorno a voi, – disse Iwan. – Per noi basta un mantello di lana di pecora.

– A domani, amici, – disse Maria, stringendo le loro mani. – Speriamo, all’alba di posdomani, di ritrovarci tutti uniti e liberi sul territorio cinese.