Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte II/Capitolo VII. Alcune norme sul genere de' nomi, tratte dal loro significato.

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Parte II - Capitolo VII. Alcune norme sul genere de' nomi, tratte dal loro significato.

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Parte II - Capitolo VII. Alcune norme sul genere de' nomi, tratte dal loro significato.
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CAPITOLO VII

Alcune norme sul genere de’ nomi,
tratte dal loro significato.


§ 1. Il genere de’ nomi non si desume soltanto dalla vocale con cui terminano al singolare, ma spesso anche dal loro significato. Ecco su tal proposito alcune regole generali.

I nomi proprii di persona sono di genere maschile o femminile, secondo il diverso sesso delle persone medesime. Sono quindi maschili, benchè terminati in a od e, i nomi Elía, Isaía, Mattía, Enèa, Sòcrate, Alcibíade, Sòfocle, e simili. Sono femminili, benchè terminati in o, i nomi Sáffo, Clòto, Átropo, e simili.


§ 2. Alcuni nomi proprii sono comuni ai due sessi, ma nel femminile cangiano in a la vocale finale del maschile, P. es.:

Camíllo Camílla
Francésco Francésca
Raffaèllo Raffaèlla
Teodòro Teodòra
Cateríno Caterína
Giusèppe Giusèppa
Giovánni Giovánna
Luígi Luígia.
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§ 3. Quanto ai nomi di condizione e di professione che si attribuiscono alle persone, e talvolta anche agli animali, conviene avvertire alle norme seguenti:

I nomi della seconda declinazione, terminati in -sta o -cída, al singolare non cambiano terminazione, anche se riferiti a donna. P. es. un brávo artísta, o úna bráva artísta, l’uòmo omicída, la dònna fratricída: cambiano però nel plurale (vedi Parte II, cap. iv, § 5). Altri diversamente terminati prendono al femminile la terminazione éssa plur. e. Tali sono:

poèta poetéssa
profèta profetéssa
patriárca patriarchéssa
pápa papéssa
dúca duchéssa.


§ 4. I nomi della terza declinazione, quando sono riferiti a donna, si modificano cambiando l’o (e) finale in a. P. es.:

sèrvo sèrva
discépolo discépola
scoláro o scoláre scolára
ángiolo ángiola
fornájo fornája
lavandájo lavandája.
camerièro (ère) camerièra
prigionièro prigionièra
cantonière cantonièra
cucinière cucinièra
consiglière consigliera.

Ciò vale anche per molti nomi di parentela, di età, di relazione personale. P. es.:

figliuòlo figliuòla

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zío zía
spòso spòsa
cugíno cugína
suòcero suòcera
fanciúllo fanciúlla
ragázzo ragázza
giovinétto giovinétta
donzèllo (antiq.) donzèlla
amíco amíca.


§ 5. Si eccettuano i seguenti:

capitáno capitanéssa

per distinguersi dalla nave capitána:

mèdico medichéssa (mèdica agg. o poet.)
canònico canonichéssa
filòsofo filosoféssa
diávolo diavoléssa.


§ 6. I nomi della quarta declinazione finiti in e servono così al maschio come alla femmina senz’alcun cambiamento, quando hanno la forma partecipiale in -ánte o -ènte, come in parènte, amánte, cantánte, o quando indicano una speciale parentela come consòrte, nipóte; o nazione e patria, come Inglése, Francése, Chinése, Piemontése, ecc. benche questi sono piuttosto aggettivi che sostantivi.


§ 7. Gli altri nomi di condizione e professione regolarmente cambiano la terminazione -e del maschile in -éssa. P. es.:

abáte abbadéssa (vedi P. I, cap. iv. § 6)
cónte contéssa

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baróne baronéssa
sacerdòte sacerdotéssa
prióre prioréssa
dottóre dottoréssa.


§ 8. Si eccettuano i nomi di professione in -tóre (di rado -dóre), che al femminile cambiano questa terminazione in -tríce (di rado -dríce). P. es.:

uditóre uditríce
istitutóre istitutríce
cucitóre cucitríce
pittóre pittríce
imperatóre imperatríce.


§ 9. Anche molti nomi simili in -sóre hanno al femminile la terminazione tríce, ma con qualche altro cambiamento nel corpo della parola. Esempii:

percussóre percotitríce
uccisóre ucciditríce
difensóre difenditríce
invasóre invaditríce
possessóre posseditríce;

e ciò per ragione eufonica, non potendosi pronunciare nè invasrícepossessríce. Per altra ragione eufonica da nutrítore si fa nutríce, invece di nutritríce; e da cantóre, cantatríce, (più comune è cantánte): vedi la Parte III.


§ 10. Alcuni di tali nomi in -tóre formano anche un femminile in -tóra più usato nel parlar familiare. Esempii:

stiratóre stiratóra
rammendatóre rammendatóra [p. 102 modifica]
traditóre traditóra
smacchiatóre smacchiatóra.


§ 11. Sono pure irregolari i femminili seguenti:

fánte fantésca
signóre signóra
prióre prióra (più comune che prioréssa)
dottóre dottóra (in senso di beffa)
cavalière cavalieréssa (come sopra)
marchése marchésa (talora marchesána)
Dío déa, díva poet.
padróne padróna
regína
eròe eroína.


§ 12. Sono difettivi cioè hanno nel femminile una forma affatto diversa dal maschile, i seguenti nomi di sesso e di parentela:

máschio fémmina
uòmo dònna
pádre mádre
maríto móglie
fratèllo sorèlla
gènero nuòra.


§ 13. I nomi degli animali, per rispetto al genere, si possono dividere in tre classi:

alcuni hanno una terminazione distinta pel maschile e pel femminile; e questi seguono generalmente le regole date pei nomi di professione o condizione. Esempii:
lúpo lúpa
cavállo caválla

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colómbo colómba
gátto gátta
leóne leonéssa
pavóne pavonéssa
elefánte elefantéssa.

Vi sono per altro delle eccezioni, come:

gámbero gamberéssa
cáne cágna
gállo gallína.


§ 14. Alcuni finiti in e o in ù (Vedi Parte II, cap. v, § 9) sono di genere comune, distinguendosi solo dall’articolo e dall’aggettivo che gli accompagnano, come:

il sèrpe la sèrpe
il lèpre la lèpre
il gru la gru.


§ 15. Alcuni altri non distinguono, neppure secondo il senso, il maschio dalla femmina; per guisa che l’uno de’ due involge anche l’altro. Esempii:

Maschili: il serpènte
tórdo
coníglio
lúccio
tòpo
sórcio
lo scarafággio
il delfíno.
Femminili: la pantèra
áquila

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scímmia
baléna
róndine
vólpe
tórtora
formíca
lucèrtola
vípera
mósca.

Non si confondano questi coi difettivi, che hanno al femminile una forma affatto diversa dal maschile. P. es.:

montóne pècora
búe vácca
pòrco tròja o scròfa.


§ 16. I nomi di città e villaggi o paesi, andrebbero soggetti alle regole della terminazione, essendo di lor natura femminili quelli uscenti in a ed e, maschili quelli in i, o, u; ma l’uso moderno li suol fare tutti femminili riferendoli al nome sottinteso città. P. es. è rícca Miláno, è bèlla Firènze, sóno popolóse Nápoli, Parígi e Lóndra. Si eccettua Cáiro che è maschile.

I nomi di piccole isole sono femminili anche non finiti in a. P. es. Lèmno, Ròdi, Negropónte, Corfù. La famósa Ròdi.


§ 17. I nomi di continenti, Stati e provincie terminanti in a e in de sono femminili, come Amèrica, Austria, Itália, Còlchide, Èllade, Èlide, ecc. Si eccettua Bengála che è maschile. Quelli terminati in altre lettere, o in à, sono maschili, come il Brasíle, il Portogállo, il Giappóne, il Perù, il Chíli, il Canadà. [p. 105 modifica]


§ 18. I nomi di laghi e di monti, comunque terminati, sono per solito maschili: lo Splúga, il Giúra, l’Elicóna, il Gárda. Si eccettuano alcune catene di montagne, che sono femminili; per esempio la Sièrra Neváda, la Còsta d’Òro, le Cevènne, le Ande, le Dofríne.


§ 19. I nomi di fiumi sono femminili se terminati in a, maschili quand’escono in altre vocali o in consonante. P. es. la Sènna, la Lòira, la Guadiána; l’Arno, il Tévere, il Tánaro, il Pò, il Guadalquivír. Si eccettuano il Mèlla, l’Adda, il Vòlga, il Niagára ed altri che sono maschili, benchè finiti in a.


§ 20. I nomi di albero sono di genere maschile. P. es. il mélo, péro, aráncio, píno, nóce, castágno. Si eccettuano la quèrcia, víte, élce, pálma ed altri in a, che sono femminili.

I nomi del frutto sono femminili, e cangiano in a l’o finale del nome d’albero. P. es. la méla, la péra, l’aráncia, la pína, la castágna, ecc. Nóce quando indica il frutto diventa femminile; p. es. Il nóce pòrta le nóci.

Si eccettuano fíco, dáttero, limóne, cédro, pistácchio, ananásso che denotano tanto l’albero quanto il frutto, e conservano il medesimo genere.

Alcuni nomi di frutto sono difettivi. P. es, còccola o bácca frutto del láuro; ghiánda frutto della quèrcia; úva frutto della víte.