Guida della montagna pistoiese/Il Cimone

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Il Cimone

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Fiumalbo Pian degli Ontani
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IL CIMONE



Appennino italiano, questa catena molto lunga di montagne che si diparte dalle Alpi marittime, viene dai geografi divisa in tre sezioni principali: la settentrionale lunga 292 chilometri, la centrale con uno sviluppo di 234 e la meridionale di 838. Fermandoci alla [p. 140 modifica]

prima, diremo che comincia dal colle o passo di Cadibona, nella Liguria, presso Savona; gira in arco intorno al golfo di Genova, ripida dalla parte del mare e con dolce declivio al nord dalla parte della valle del Po. Questa sezione si estende dal suddetto passo fino al Monte Cimone, che se è vinto in altezza dal Gran Sasso d’Italia (metri 2912), dal Velino (metri 2933) negli Abruzzi, a nessun’altra vetta appennina la cede per postura e magnificenza di panorama di terra e di mare.

Il Cimone, chiamato anche anticamente l’Alpone, alto, secondo recenti misure, 2158 metri sul livello del mare, è posto nella provincia di Modena, nel Comune di Fiumalbo, il cui capoluogo vi giace alle radici da ponente a 5 chilometri; al lato opposto sta il Comune di Fanano. Quantunque di tanto si inalzi il Cimone, nondimeno a chi l’osservi dai dintorni di Firenze, viene quasi occultato dalla cresta dell’Appennino che si estende dal Corno alle scale sin’oltre al Libro aperto; dimodochè del Cimone appena se ne può scorgere la vetta da chi sappia distinguerla: ma essa si può meglio vedere dal Monte Albano, o dalle colline presso Empoli.

Visibile com’è da immense distanze il Cimone, la sua sommità fu perciò scelta qual vertice nella triangolazione di prim’ordine dai corpo di stato maggiore italiano per le operazioni geodetiche di rilievo topografico degli ex-ducati dell’Emilia e della Toscana, come già era stato base di simili operazioni dello stato maggiore austriaco e del [p. 141 modifica] celebre astronomo P. Inghirami per la sua eccellente triangolazione della Toscana. Ora si tratterebbe di ristabilire lassù, un po’ più solidamente, l’antico seguale stato più volte distrutto dalle intemperie e dall’ignoranza dei pastori, laddove la tradizione dice esistesse una torre o vedetta dominante i passi circonvicini nelle guerre dei secoli scorsi. La proposta torre, di cui è cenno sopra, servirebbe mirabilmente al doppio scopo di segnale visibilissimo e solido, soprattutto di belvedere per gli alpinisti e touristi, e di ricovero per chi di essi volesse pernottarvi o ripararsi dalle intemperie. Gli spettacoli dell’aurora, di tramonto e di temporale sono lassù di un effetto sorprendente.

Antico e frequente fu sempre l’uso di visitare questa cima: se ne ha una prova anche dalle iscrizioni scolpite sulla vetta, che è tutta un masso di macigno o pietra arenaria, a strati orizzontali, dell’età eocenica, secondo l’illustre naturalista abate Lazzaro Spallanzani ed i geologi Bianconi e Coppi, vetta che termina in una piattaforma ovale di circa 20 metri quadrati, il che toglierebbe ogni difficoltà a costruirvi sopra un edifizio, mentre ivi poco pensiero darebbero le fondamenta ed i materiali di costruzione. Si è già raccolta una somma per costruirvi un Osservatorio astronomico metereologico.

Ricordando soltanto il 1874, non poche e belle sono le relazioni a stampa di illustri visitatori italiani e stranieri: ci basti accennare a quella del chiarissimo dottor Francesco Cristofori, che occupò [p. 142 modifica] tre appendici della Gazzetta dell’Emilia, nell’autunno del 1874; quelle di un viaggiatore straniero che si lessero in francese nel Touriste di Firenze, nei mesi di ottobre e di nov. del d.° anno, nelle quali si parla di questo monte, come della mèta più interessante di una escursione appenninica, e dove si decantano luoghi e cose che si toccano nell’eseguirla. Per chi vi salga di Toscana, sono il ricco e grosso paese di San Marcello pistoiese, le ridenti vicinanze dei Bagni di Lucca, il vago paesello di Cutigliano, le magnifiche boscaglie dell’Abetone, i bei ponti del Sestaione, della Lima, di Popiglio, l’incantevole giacitura del monte Prato fiorito, la singolarità dell’altro detto il Libro aperto, che ad ogni tratto fanno fermare il viaggiatore meravigliato, vinto nella sua aspettazione e contento di essersi deciso a questa escursione. Se poi sia venuto di Lombardia o Romagna, troverà corrispondenti impressioni lungo la poetica Via Giardinia, e toccando le amene località di Maranello, Serra de’ Mazzoni, Pavullo, Barigazzo, Pievepelago, Fiumalbo, Fanano e Sestola.

Ma per ciò che si prova e si vede sul Cimone lasciamo parlare un imparziale, il reverendo Somerset Burtchaell, che ne scrisse così al Touriste nell’ottobre suddetto: «Chi è forte e di genio avventuriero può arrampicarsi sulla cima del Libro aperto, 6275 piedi, in due ore circa, e più oltre recarsi fin sopra al Cimone, che è il punto più elevato degli Appennini nordici (7012 piedi). Di qui si può, da chi vi sia giunto in un momento [p. 143 modifica] propizio, godere la vista di due mari, il Tirreno e l’Adriatico, e delle nevose Alpi al di là di Verona distanti 80 o 90 miglia. Parecchie signore hanno fatto quest’ascensione cavalcando asini o muli; v’hanno però tratti nei quali si debbono servire delle sole loro gambe, mentre su certi luoghi assai dirupati non sarebbe possibile l’affidare sè stessi sulla schiena di questi animali; però, convien dirlo, essi sono l’unico mezzo di trasporto adatto alla scabrosità dei sentieri, e alla fin dei conti riesce anche aggradevole. Da solo e senza guida feci la gita al Cimone pigliando la via seguita dalla sommità del Libro aperto, e discendendo pel fianco del monte verso Fiumalbo, e in 11 ore la compii facendo due soste di un’ora e mezzo per ciascuna. Sebbene fossero le 2 pom., ora poco acconcia a godere panorami, allorchè giunsi sulla cima potei vedere distintamente Modena e Reggio, il mare di Livorno e le colline che contornano Firenze. Al dì là di Modena vidi una nebbia rossiccia che cuopriva la pianura lombarda, e al di sopra della nebbia torreggiavano le Alpi coi loro contorni frastagliati e coperti di neve.

A chi voglia salire sul Cimone si offrono tre itinerarii tutti facili, non costosi e piacevoli.

Il primo da Bologna a Modena per ferrovia, indi in vettura per la Giardinia toccando Formiggine, la Serra, Pavullo, Lama, Pievepelago, Fiumalbo: circa 90 chilometri da Modena.

Poco dopo Pavullo si può prendere la strada, pure rotabile, di Val di Sasso e Sestola, indi per [p. 144 modifica] circa 15 chilometri di via mulattiera arrivare alla sommità: questa strada è più breve della prima di circa 20 chilometri.

Il secondo itinerario segna i seguenti punti principali: Bologna, Porretta, per via ferrata; Lizzano, Viticiatico, Fanano modenese e Sestola; è il più breve, ma il più alpestre per la percorrenza di forse 30 chilometri di vie non rotabili: ovvero da Porretta per Panicale, Rocca Corneta, Frignano, Serrazzone, e Fanano in ore 9.

Da Fanano al Cimone per Canevari e Pian Cavallaro, ore 7; e dal Cimone per Monte Vallone, Serra della Ciocca e Libro aperto, a Boscolungo, in ore 4 ½.

Per detti luoghi una buona guida si trova a Fanano in Casimiro Bondioli.

Il terzo e più comodo guida da Bologna o da Firenze fino alla stazione di Pracchia, indi per facili ed amene strade a San Marcello, Boscolungo e Fiumalbo. Da Pracchia a quest’ultima tappa sono forse 40 chilometri che si fanno in 6 ore circa.