Guida illustrata di Montepiano e sue adiacenze/Da Montepiano a S. Quirico di Vernio

Da Wikisource.
Da Montepiano a S. Quirico di Vernio

../Da Montepiano alla Badia S. Maria ../Da Montepiano a Castiglion dei Pepoli IncludiIntestazione 12 dicembre 2020 75% Da definire

Da Montepiano alla Badia S. Maria Da Montepiano a Castiglion dei Pepoli

[p. 23 modifica]

DA MONTEPIANO A S. QUIRICO DI VERNIO.




DD
alla bellissima strada provinciale, sulla quale risiede Montepiano, discendendo dalla parte di mezzogiorno, e passando per il paese di Sasseta si arriva a S. Quirico. Da Sasseta, volgendo a sinistra, vi si puó egualmente pervenire, traversando l’antico castello dei Conti di Vernio, denominato La Rocca. [p. 24 modifica]Chi volesse poi godere di deliziosi e variati panorami, e desiderasse di recarvisi a piedi o con cavalcatura, lasciando da parte molte altre vie e la stessa strada provinciale, può scegliere una delle due che quì accenniamo.

Potrebbe primieramente prendere per la via che da Montepiano passando per Risubbiani conduce al Mugello; ed in poco più di mezz’ora arriverà allo spartiacque appenninico nel luogo detto la Crocetta, d’onde godesi una bellissima veduta all’intorno. A questo punto si abbandona la via del Mugello e piegando a destra si discende lungo il Rio Meo, passando pel Piano delle Pertiche, e quindi per il Masso al Telajo. La valle tende sempre ad allargarsi allo sguardo del Viaggiatore, sicchè ad un certo punto lascia scorgere sulla [p. 25 modifica]destra a cavaliere di un poggio quasi isolato il castello dei Conti di Vernio, e di fronte in basso il paese di S. Quirico. Dalla Crocetta a S. Quirico si impiega circa un ora di cammino.

L’altra via assai più lunga della sopraccennata, ma anche più pittoresca e non meno divertente, è quella di incamminarsi per la Badia, ed oltrepassata questa località e giunti al Tabernacolo del Romito, prendere il sentiero che è sulla sinistra. Dopo avere attraversato il Setta si sale costeggiando per poco tratto di via un torrentello fino alle Capanne dell’Alpi di Cavarzano, impiegandovi in circa cinque quarti d’ora. Di qui si volge verso mezzogiorno, e si prende il sentiero a destra, che fiancheggiando il monte di Poggio Petto conduce alle Casette di Grivigliana, e [p. 26 modifica]quindi a Cavarzano o Cavarsano, come lo chiama il Repetti nel suo Dizionario geografico della Toscana. Questo antico villaggio situato in amenissima posizione, appartenne fino dal mille ai Conti Cadolingi di Fucecchio, e nel 1114 passó ai Conti Alberti. Proseguendo, si passa da Poggiole e dopo non molto tratto di via si giunge a S. Quirico, impiegandovi dalle Capanne dell’Alpi di Cavarzano circa due ore o poco più; e così in complesso circa tre ore e mezzo di cammino.

Il paesetto di S. Quirico di Vernio, è situato alle falde del Monte Mezzana, precisamente sulla confluenza del Rio Meo nel torrente Fiumenta, ed é Capoluogo del Comune omonimo, la cui superficie é Km. q. 54, e la popolazione di 4750 abitanti. È Collettoria Postale di prima classe ed ha una stazione di [p. 27 modifica]Reali Carabinieri.

Il palazzo Municipale è un antica possessione dei Feudatarii nel paese, ed ora appartiene alla Compagnia Laicale detta di S. Niccolò di Bari. Una buona strada carrozzabile (che dal ponte di S. Quirico, al ponte sul Setta, posto alla fine di Montepiano, misura 9 Km. di lunghezza.) vi passa in prossimità, ed è l’ultimo tratto stradale della provinciale Bolognese, ultimato appunto in quest’anno.

Le prime memorie storiche che si riscontrano intorno a Vernio risalgono al secolo X, nella quale epoca la Consorteria dei Magnati, che oltre il territorio di Vernio, comprendeva anche quelli di Castiglione dei Gatti nell’Appennino Bolognese, di Mangona, di Luciana, di Montecarelli, dello Stale ed altri, divise [p. 28 modifica]questi feudi, e suddivise la stirpe medesima in più branche e famiglie di Conti. Così Vernio fu assegnato alla Famiglia dei Conti Alberti di Prato, estinta nel secolo XVI, e dà non confondersi con quella degli Alberti di Firenze. Si trova che nel 1250 Vernio veniva lasciato per testamento da un Conte Alberto, figlio di altro Conte Alberto e della Contessa Tabernaria, a due dei suoi figli, Guglielmo ed Alessandro. Nove anni dopo cioè nel 1259, dovè Vernio subire un assedio per parte dei Fiorentini, perchè Napoleone, fratello di Alessandro e Guglielmo, escluso dal Padre dall’aver parte nella possessione di Vernio, avea tolto ai fratelli, allora in giovane età, il castello e si trovava per ciò in guerra con la Repubblica Fiorentina. Dopochè questa l’ebbe a lui ritolto lo dette ad [p. 29 modifica]Alessandro; alla cui morte successero nella Signoria i due suoi figli Nerone ed Alberto. Il primo lasciò la Contea a Donna Margherita sua figlia, non potendo succedergli il figlio Contino per essere stato dichiarato dalla Signoria di Firenze ribelle e fuoruscito. Margherita adunque ebbe il dominio di Vernio, cui portò in dote al nobile Messer Benuccio Salimbeni di Siena. In questo medesimo tempo, cioè nel 1325, Spinello bastardo e nipote di quel Conte Alberto figlio di Alessandro, e che era Signore del Castello di Mangona, uccise a tradimento lo Zio nella propria camera, e vendè detto Castello col suo distretto alla Repubblica Fiorentina. Però nel 1328 fu da questa consegnato a Benuccio Salimbeni e sua Consorte, sicchè vennero ambedue ad esser padroni non solo della [p. 30 modifica]Contea di Vernio ma eziandio di quella di Mangona. Se non che accadde che nel 1332 morì Benuccio e la vedova di lui vendè ambedue i Feudi a Messer Andrea di Gualterotto de’ Bardi di Firenze, a cui vennero consegnati tre anni dopo. Andrea de’ Bardi tenne tal signoria fino al 1340, nel qual anno essendosi ribellato ai Fiorentini, fu dal Comune assediato in Vernio, e gli furon tolte le due Contee; delle quali se volle rientrare in possesso dovè sborsare fiorini 4960 per quella di Vernio, e 7750 per quella di Mangona. Nel 1343 la Repubblica Fiorentina dette l’investitura di quelle Contee al fratello di Messer Andrea, Conte Pietro Bardi, insieme alfacoltà di potervi dimorare con la sua famiglia, a piacimento però della Repubblica medesima. [p. 31 modifica]

In seguito venuto a morte il Conte Ridolfo dei Bardi, per testamento scritto nel Febbraio del 1693, lasciò molti dei suoi beni ad una Compagnia laicale erettasi in Vernio sotto il titolo di S. Niccolò da Bari, la quale venne per tal modo a dividere il dominio con i discendenti di quel Conte. Questi però cercarono di assicurarsi l’esclusivo dominio feudale di Vernio; e collegando i diritti concessi col diploma di Federigo I al Conte Alberto, con quelli sanciti dagli Imperatori Carlo IV e Leopoldo I, (l’ultimo dei quali veniva rinnuovato ai Conti Bardi nell’anno 1697) reclamarono presso la Corte Cesarea nel 1778 i loro diritti feudali sul territorio di Vernio. Ad essi fu fatta ragione, e vi rimasero signori fino al 1797, quando soppressi dai Francesi tutti i feudi fu riunito la [p. 32 modifica]Contea alla Repubblica Cisalpina. Ritornato poi alla sua sede il Granduca Ferdinando III, con sentenza proferita da tre giudici a ciò appositamente destinati, fu conservato a favore dei Conti Bardi ogni diritto livellario, dipendente peró dal dominio diretto. Ma dopo il trattato del 1814 fu definitivamente riunita al Granducato di Toscana.

Dell’antico castello non restano ora che piccolissimi avanzi. Esso era situato sopra di un erto poggio, a cavaliere del Rio Meo, e di una diramazione di questo nel Fosso di Casigno, e del Rio di Sasseta. Sembra che restasse abbattuto al principio del nostro secolo, a tempo dell’invasione Napoleonica, nella quale epoca fu pure spezzata una campana grossissima che era in cima alla torre, che, a quanto si dice, nei giorni [p. 33 modifica]in cui soffiava la tramontana, si faceva udire fino da Prato.

Da questo luogo l’occhio può liberamente spaziare su di un’estensione vastissima. Infatti sul lato destro abbiamo il Monte di Torre Luciana, su cui alcuni avanzi di grosse muraglie indicano il luogo dove esisteva una fortezza, che nel 1341 apparteneva ai Conti Bardi in comune con i Conti di Montecarelli, signori del poggio di Montagnana in quel di Cavarzano. Si scorge quindi il Poggio del Baco, e Bucciano, fra cui fanno bella mostra di sè alcuni casolari.

Di fronte si vedono i Monti di Castiglioni sopra a Usella in Val di Bisenzio, Foraceca, ed il Monte delle Coste sopra a Prato, il qual monte ben si distingue dagli altri per la sua forma [p. 34 modifica]piramidale; e quindi nel basso i paesi di S. Quirico e di Mercatale.

Alla sinistra poi abbiamo il Monte Torricella, e tanti altri che lungo sarebbe il nominare.

Quantunque dalle ingiurie del tempo e degli uomini il Castello di Vernio sia rimasto assai danneggiato, pure dalle vestigia che ne restano si può arguire dell’antica forma. Esso era recinto di grossissime mura, ed aveva due porte di pietra scarpellata, che anche oggi si vedono. Dall’ingresso dalla parte di levante, che è quello che guarda la montagna, vi è una depressione nel terreno, e sembra dovesse esservi il ponte levatoio. Nell’interno vi si ammira tuttora il palazzo feudale, con cinque finestre antiche, ed altre quattro rimodernate; al primo piano del quale [p. 35 modifica]vi è un salone vastissimo, con quattro finestre, di cui due sono state richiuse. In questa sala vi si vede un camminetto colossale in pietra. Da un lato un fabbricato serviva da fattoria, ed un altro era destinato pel Tribunale; e nell’alta rocca vi erano le segrete, delle quali presentemente rimangono alcuni avanzi di una soltanto.

Nel rio di Casigno, nel rio Baco, e nel rio Meo si ritrovano varie sorgenti di acque sulfuree; anzi in quest’ultimo rio un Signore del paese formò col cemento una specie di piccolo pozzetto, per poter attingere quell’acqua con un bicchiere; ma essendo la sorgente in mezzo al torrente, si confonde facilmente con le acque di esso, e così viene a perdere molto delle sue proprietà. Altre sorgenti sulfuree si [p. 36 modifica]trovano in questo medesimo punto, ed appaiono dalle spaccature dello scoglio che qui forma il letto del torrente, ed è probabile che tutte derivino dalla medesima polla. Che se tutte queste acque fossero raccolte, io ritengo se ne potrebbe trovare utile non dubbio, tenuto conto se non altro dell’abbondante quantità loro.

Nell’antica chiesa parrocchiale nulla vi è di pregevole, ma nel vestibolo della cappella dell’Opera Pia di S. Niccolò di Bari, vi si ammirano due pilette in bronzo per l’acqua santa del Giambologna, e sopra a queste due medaglioni pure in bronzo, in uno dei quali sta scritto dispersit, dedit pauperibus; e nell’altro vi è l’effigie del Conte Ridolfo dei Bardi.