Histoire des Alpes - Storia delle Alpi - Geschichte der Alpen (1996)/04
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TEMI E PROBLEMI DI STORIOGRAFIA DELLE AREE ALPINE
Themen und Probleme der Historiographie der Alpengebiete
Di fronte ad un quadro storiografico che suscita insoddisfazione e senso di incompletezza, generalmente si evoca la scarsità di lavori generali o specifici sull'argomento.
Paradossalmente questo non sembra il caso della storia delle aree alpine italiane: non mancano buone sintesi generali e numerosissimi (e spesso incontrollabili) sono gli studi particolari, soprattutto di ambito regionale e locale, tanto che ad alcuni è sembrato che tutto sia stato già detto.
Purtuttavia l’insoddisfazione resta per vari motivi: per la metodologia seguita nell’accostamento dei problemi dello spazio alpino, per l’eccessiva frantumazione della sua vicenda storica, per i vuoti settoriali, non secondari, che ancora permangono.
Recentemente, tra nuovi studi e convegni — non ultimi quelli del Gruppo interuniversitario per la storia dell’Europa mediterranea (GISEM, Pisa) — si è ricercato un indirizzo di lavoro ed obbiettivi più adeguati a comprendere questa realtà.
Dovendo fare una sintesi breve di queste tendenze, individuerei alcuni filoni di ricerca che appaiono più frequentati dagli studiosi.
C’è, innanzi tutto, un approccio storico-antropologico e geo-antropologico che, a partire da vecchi lavori fino alle esperienze più recenti, ha privilegiato i comportamenti nel lungo periodo della gente alpina: dall’organizzazione dell’insediamento umano, al rapporto con il territorio, alle condizioni di sussistenza, alle case, alle tecniche ed all’esercizio dei mestieri, agli attrezzi, ai riti, alle relazioni familiari e di clan, alle conoscenze empiriche, ecc.
Con buoni risultati, certamente, data anche la complessità e l’articolazione delle situazioni: cito, ad esempio, tra le più recenti esperienze, i seminari di antropologia alpina che si svolgono, ormai regolarmente, presso il Museo degli Usi e Costumi di S. Michele all’Adige nel Trentino. Sta di fatto, però, che questo tipo di studi ha spesso involontariamente accreditato l’immagine di un’area alpina chiusa in se stessa, anzi composta da una molteplicità di aree chiuse, le valli, con specifiche caratterizzazioni e permeata da un diffuso e radicato conservatorismo. Il che, a parer mio, al di là di innegabili riscontri, non è un modo adeguato per comprendere la realtà alpina.
Ben più interessanti appaiono i più recenti lavori sugli aspetti politico-istituzionali delle regioni alpine, in realtà più numerosi per il periodo medioevale che per l’età moderna e contemporanea.
Diversi sono i temi affrontati. Un primo tema riguarda l’edizione (o la riedizione) e lo studio degli statuti e delle carte di regola di città, comun comunali, comunità generali, regole e comunità di valle. Alcune di queste ricerche perseguono il non nascosto obbiettivo di ritrovare e dimostrare, talvolta con discutibili selezioni e sommari raffronti, i fondamenti e le giustificazioni di una vocazione autonomistica delle region alpine. Altre, con più rigore filologico e metodologico — e cito a solo titolo di esempio i lavori coordinati da Gherardo Ortalli e Diego Quaglioni per l’area veneta e trentina — si muovono alla ricerca di quella tipologia di strumenti giuridici che in età medioevale e in quella moderna, ha permesso un più adeguato ordinamento politico-istituzionale del territorio e la gerarchizzazione delle forme di potere.
Un secondo tema riguarda i rapporti vassallatici e feudali tra città, comunità, signorie e stati regionali. I lavori di Sergi, Comba e Bordone per il Piemonte e la Savoia, di Chittolini per il Ducato di Milano e Ticino, Stella, Bellabarba e Varanini per il Trentino, Tirolo e Veneto, hanno fatto emergere gli intrecci di una politica territoriale che si muove a ridosso delle Alpi e le inserisce in un quadro più complesso di strategie dinastiche e militari. A questo tema è pertanto intimamemte connesso quello della formazione delle aristocrazie, delle parentele aristocratiche, dell’inquadramento signorile ed il non facile rapporto tra organizzazione aristocratica e sistema cittadino. In questo quadro istituzionale va considerato il tema, forse centrale per la comprensione del sistema alpino, che riguarda la circolazione degli uomini, dei prodotti, delle conoscenze, delle culture che permette a queste regioni cerniera di essere anche un’area di civiltà. I fattori propulsivi possono essere talvolta esogeni all’area alpina, ma non va dimenticata la capacità di metabolizzazione, di adattamento, di rielaborazione di questi fattori da parte di un ambiente che appare meno chiuso di quanto non sembri nel cogliere gli stimoli utili al consolidamento di un equilibrio compatibile con i condizionamenti del territorio. Gli studi, pertanto, sembrano aver allargato la prospettiva dell’area di transito, e conseguente attenzione alla «Passpolitik», ma hanno individuato nella circolazione delle élites aristocratiche e mercantili, nei flussi di migrazione non solo nord-sud, ma trasversali all’area montana, nella produzione e nella commercializzazione non solo di transito delle merci, un punto consistente per la formazione di quella complessa e sedimentata cultura alpina, così ricca e così sfuggente.
Sul piano economico le ricerche hanno inevitabilmente privilegiato il settore dell’agricoltura, data l’innegabile ruralità dell’ambiente. Molto si è lavorato sulla distribuzione del possesso fondiario, confermando quel quadro, così monotono e ricorrente in quasi tutte le zone di montagna, del piccolo possesso individuale e del grande patrimonio collettivo. L’analisi dell’organizzazione agricola si è prevalentemente concentrata sulle aree di fondovalle, certamente più dinamiche, che consentivano la coltivazione di quei prodotti mercantili, dalla vite al gelso, così preziosi nella bilancia economica sia familiare che regionale. Meno studiato è l’ambiente di media e di alta montagna, con la sua peculiare economia. Soprattutto appare trascurato il settore silvo-pastorale. Poco sappiamo sull’allevamento del bestiame grosso e piccolo, con i suoi cicli stagionali di transumanza e di monticazione, così come è ancora da approfondire il tema dello sfruttamento del bosco e della selva - qualcosa si è sentito nell’ultima settimana Datini di Prato - del commercio e della trasformazione del legname.
Occorre, comunque, dire che il settore agricolo preso in sè e privato dei riferimenti alle molteplici forme di integrazione del reddito tipiche di un sistema di economia mista, può generare l’impressione di un quadro economico estremamente misero, basato sull’autoconsumo se non sull’autarchia. Il che spesso non è.
Infatti il settore manifatturiero, artigianale e dei servizi è un nodo importante per capire l’equilibrio economico di queste zone. E stata sufficientemente studiata l’attività mineraria - da Vergani al compianto amico Hermann Kellenbenz - ed il suo ruolo nella valorizzazione delle risorse di aree specifiche. Sono state altresì studiate le forme protoindustriali e, per periodi temporalmente più vicini, quelle più propriamente industriali che hanno caratterizzato alcune vallate: dall’attività siderurgico-metallurgica, a quella meccanica, al tessile - soprattutto quello della seta - alla trasformazione del legno. Meno ricostruito è il settore della manifattura domestica o domiciliare, dell’artigianato, soprattutto rurale; ancor meno si sa di quella molteplicità di mestieri e di servizi - carbonaie, calchere, raccolta di peci, trasporti, navigazione fluviale e lacuale, caccia, pesca, piccolo commercio - che spesso caratterizzano specifici paesi; mestieri talvolta itineranti, che comunque assicurano a queste popolazioni fonti indispensabili di entrata, il ripiano del proprio bilancio familiare, se non addirittura qualche risparmio o qualche arricchimento.
Qualche accenno va fatto, per ultimo, al problema della ricostruzione dello stato e del movimento della popolazione. Studi demografici sulle aree alpine sono stati finora molto scarsi. L’utilizzo, in questi ultimi tempi, dei registri parrocchiali e degli status ammarimi, comincia a dare per talune regioni qualche risultato; ma siamo solo agli inizi. C’è poi il fenomeno dell’emigrazione che è stato studiato soprattutto, per l’otto ed il novecento, sotto il profilo sociale e riguarda essenzialmente l’emigrazione cosiddetta definitiva. Manca, allo stato attuale, la ricostruzione delle migrazioni temporanee o stagionali - quelle che per altri ambienti ha studiato Laurence Fontaine - per capirne la consistenza, le direttrici, gli esiti e i risultati anche economici.
A conclusione di questa panoramica di problemi su cui si è lavorato o si sta lavorando - a livello di singoli studiosi o di gruppi tematici come il GISEM vorrei ricordare qui alcuni quesiti che si è posto recentemente uno studioso di regioni alpine, Guglielmo Scaramellini. E cioè: «a) esiste, ed in che cosa eventualmente consiste, la peculiarità delle Alpi nei confronti di altri sistemi
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Non è difficile scorgere in queste domande anche delle preoccupazioni attuali che forse l’avanzamento degli studi potranno superare. Ma certamente sono dei problemi che lo studioso di storia delle aree alpine è chiamato ad affrontare. Sulla base di quanto emerge dal lavoro finora svolto, mi sentirei di suggerire una certa prudenza nella valutazione della peculiarità e originalità dell’ambiente montano-alpino: una «civiltà alpina», a parer mio, è comprensibile solo se si allarga la visuale ai contesti con i quali essa è immediatamente collegata, ai rapporti tra montagna e pianura, città e valli, organizzazione dello stato e sistemi di autonomie locali, circolazione di uomini e modelli e consapevolezza della delicatezza dell’equilibrio su cui questa civiltà è fondata.
Una visione grandangolare, quindi, che privilegi il sistema dei rapporti e delle intercomunicazioni, senza dimenticare il valore delle esperienze e delle convinzioni consolidate, in funzione della tenuta del quadro nel suo complesso. Penso che in tale maniera si possa evitare il pericolo di ridurre la storia delle Alpi ad uno studio di regioni tutto sommato marginali.
Note
Sui risultati degli incontri dei seminari di etnografia alpina di S. Michele all’Adige, v. Giovanni Kezich, Pier Paolo Viazzo (a cura di), «<La frontiera nascosta> rivisitata. Ecologia, economia, etnicità nell’arco alpino», in Annali di San Michele, 6 (1993).
Per quanto concerne l’attività del Gruppo interuniversitario per la storia dell’Europa mediterranea (GISEM) nel campo della storiografia alpina v. i riferimenti in: GISEM 1984-1989. Bollettino, 1 (1989), pp. 93-99, e GISEM 1990-1991. Bollettino, 2 (1991), pp. 85-86. Cfr. inoltre il saggio, con ampia bibliografia, di Giuseppe Sergi, «Appunti sulla storia dell’arco alpino fra medioevo e antico regime», in: GISEM 1992-1994. Bollettino, 3 (1994), pp. 34-49.
Una bibliografia ragionata sui diversi aspetti della problematica in tema di storiografia alpina può ricercarsi in Gauro Coppola, Pierangelo Schiera (a cura di), Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, Napoli 1991, pp. 281-294. Nello stesso volume cfr. il saggio di Guglielmo Scaramellini, «Fra unità e varietà, continuità e fratture: percorsi di riflessione e ambiti di ricerca nello studio del popolamento alpino», pp. 49-94.
COPPOLA: TEMI E PROBLEMI DI STORIOGRAFIA DELLE AREE ALPINE | 39 |
- Testi in cui è citato Gauro Coppola
- Testi in cui è citato Gherardo Ortalli
- Testi in cui è citato Diego Quaglioni
- Testi in cui è citato Giuseppe Sergi (storico)
- Testi in cui è citato Rinaldo Comba
- Testi in cui è citato Renato Bordone
- Testi in cui è citato Giorgio Chittolini
- Testi in cui è citato Aldo Stella
- Testi in cui è citato Marco Bellabarba
- Testi in cui è citato Gian Maria Varanini
- Testi SAL 25%
- Testi di Gauro Coppola