I Marmi/Parte terza/Dichiarazione delle nuove invenzioni/Neri Paganelli, Michel Panichi e Giorgio calzolaio

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Neri Paganelli, Michel Panichi e Giorgio calzolaio

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Neri Paganelli, Michel Panichi e Giorgio calzolaio
Parte terza - Dichiarazione delle nuove invenzioni Parte terza - Academici Peregrini e Fiorentini e l'Aurora di Michel Agnolo Buonaruoti
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Neri Paganelli, Michel Panichi e Giorgio calzolaio.

Tutto quello che è scritto è scritto a nostra dottrina; e il buono intelletto dell’uomo continuamente illustra le cose scure e fa lume nelle tenebre, con la sapienza de’ santi scrittori antichi, al nostro vivere moderno
.

Giorgio. Che cosa ha detto il vostro reverendo delle nuove lettere che voi gli avete mostrato? songli elleno parute bugie, veritá o trovati che non abbino né della una cosa né dell’altra? Ma, se fia uomo d’intelletto, come voi dite, egli v’avrá trovata qualche bella sposizione, perché le tengano un certo che del buono.

Michele. Il padre non le debbe aver vedute.

Giorgio. Come no? Anzi gli son parute una bella cosa e v’ha fatto sopra una bella allegoria.

Neri. Ditecene una parte, o tutta, se la non è troppo lunga la materia.

Giorgio. Volentieri, e piaceravvi. Egli ha detto che la montagna scura, che si cava del continuo da noi, è il mondo, al centro del quale, che è il punto della morte, noi arriviamo a quella porta inaspettatamente, però che non sappiamo in questa misera vita il giorno o l’ora determinata. La porta è di pietra come rubino, che significa il sangue del Signore, che ci aperse con la sua morte il paradiso; però dice piú splendente e piú preziosa, perché la comparazione che si fa da quella celeste pietra di Cristo a questa terrena, non v’è proporzione, sí come non è termine dal finito all’infinito. Dice poi che quelle porte [p. 16 modifica] di zaffiro significano il cielo, che dalla sua pietá ci fu aperto, e quivi sono l’opere divine del padre eterno, che fu la creazione del mondo, di tutte le cose e dell’uomo.

Neri. Piacemi, tanto piú che egli s’accorda che son sei quadri, per i sei giorni distinti da Moisè. E quell’esser commesse le istorie di diamanti con il zaffiro?

Giorgio. Egli interpetra per il ciel cristallino il diamante e gli altri per il zaffiro.

Michele. Ottima sposizione. Seguitate.

Giorgio. Quando noi altri veggiamo con la contemplazione sí mirabil magistero, sí come rimiravon quei lavoranti, vogliamo tornare a dietro, come volevan far loro; id est che, non potendo noi esser capaci di tanta mirabile intrata, ché con il nostro sapere non la possiamo passare, ritorniamo a dietro per attendere alla nostra cava, ciò è miseria umana, e quello che noi abbiamo veduto per la dottrina che abbiamo imparata, vogliamo far noto al mondo, agli uomini grossi, al vulgo e far conoscere sí prezioso tesoro di Dio. Ma in quel tempo che noi pensiamo, tornando a dietro (quasi un dire agli anni della gioventú), la morte (per la curiositá) ci fa vedere apertamente che dobbiamo seguitare e apreci la porta della vita, perché in questa vita siamo nella morte, siamo nelle tenebre degli errori, caviamo dietro continuamente a questa vena dell’oro, che significa tutte le cose mondane, lascive, bestiali e pazze che non si posson possedere senza questa vena dell’oro, e però del continuo la cerchiamo e gli andiamo tanto dietro che arriviamo a questa porta sprovedutamente dell’esito di questa vita. Però dobbiamo desiderar d’esservi tosto a questa entrata, sí come diceva san Paulo: «Io desidero sciórmi di queste tenebre per esser con la luce di Cristo unito»; perché lui è la porta della salute di zaffiro, ciò è celeste, di diamante e di rubino, perché lui sparse sangue e acqua, che era Dio, per salute dell’uomo. Felice adunque chi arriva a questa intrata con la grazia sua prestamente; perciò che esce di tenebre, di fatiche e d’orrore, di sí scuro e tenebroso mondo, caverna di miserie e abisso di dolori. [p. 17 modifica]

Neri. Debbe esser un valente teologo: come è possibile che a una lettera venuta a caso egli vi faccia sí bella comentazione? Benedetto sia egli! Finite il restante, ché io non potrei udir cosa che mi dilettasse piú.

Giorgio. Il velo bianchissimo e impalpabile è la puritá della celeste patria, che noi veggiamo al punto estremo e spaventa la carne, la qual teme la sua perdita e gli duole di lasciar l’anima che vuol salire a quella chiarezza; ma l’angelo di Dio, che comanda che si lasci il morto e che si ripigli il vivo, fa far súbito la separazione alla natura e rende al cielo la sua parte e alla terra similmente la sua: in questo il corpo riman cieco della luce immortale e il sonno della morte l’assalta. Oh felici coloro che s’adormentano nel Signore!

Michele. State saldo, maestro Giorgio; non esponete piú di cotesta, se prima non leggete il restante della lettera; perché non ne fu letta piú ai Marmi, quella sera.

Neri. Fia meglio che egli esponga prima l’altre, tanto quanto ne fu letto, e poi leggeremo tutto l’intero delle lettere ed egli dirá quel che disse sopra di quelle di mano in mano il padre.

Michele. Come vi piace, fia meglio: all’altra lettera, adunque.

Giorgio. La nave con gli uomini dentro, che vogliano andare agli antipodi, significa la nave di Pietro, ciò è la chiesa e le sante ordinazioni del sommo pontefice; onde i cristiani vi son dentro: ma, non contènti, come stolti, di questa navigazione ecclesiastica, vogliono andare a nuovi mondi, paesi e altri ordini di vivere e si mettono in viaggio e per camino ritrovano un’isola, interpetrata per la curiositá dell’opinione, e qui, lasciato in porto la nave, ciò è abandonando la chiesa, si mettano per quell’isola, onde caggiono nell’ombra dell’eresia, che gli conduce come fantasma, come ombra, come fantasia, senza veritá alcuna, in un’ampia caverna, che è la dottrina degli eretici, che tiene un grandissimo spazio. Ecco il cristiano che si trova negli errori dell’eresia ed entra nel numero de’ morti, perché lá non sono se non sepulcri, che significano che gli eretici son morti [p. 18 modifica] e sepelliti vivi; le sepolture del continuo s’aprono e si serrano, perché del continuo suscitano nuove opinioni e ritornano molti dalla cattiva opinione alla buona, in grembo alla santa madre chiesa romana.

Neri. Non voglio mai piú dire che un dotto uomo non possa esporre tutte le cose mirabilmente. Oh, questa interpetrazione mi par tanto nuova e tanto curiosa che a pena il mio intelletto ne può esser capace!

Giorgio. Una sepoltura s’apre e di quella esce il primo motto, che non vuol dir altro che l’eretico, quando è dannato al fuoco eterno ed è sepolto nell’inferno, grida e si duole d’avere impiegato la sua vita in sí cattivi studi; e gli stridi son terribili di tali, e, dalla disperazione cacciati, son come bestie divenuti, come coloro che presero il cattivo senso delle scritture e fecero quello che non si conveniva.

Michele. Tutta questa interpetrazione è la veritá chiarissima e manifesta.

Giorgio. Questo sepolcro dei dannati eretici lasciato da parte il cristiano, scorre con l’occhio a quell’altro sepolcro, ciò è nuova spezie d’eresia e di quella non cava se non nebbia, e la dottrina che vien fuori è tarda, pigra, impotente e non ci può dar altro che scuritá; cosí resta confusa; intendendo per l’eretico che tardi s’accorge del suo errore e non si emenda. Un sepolcro di marmo candido significa colui che ha tuffato il suo intelletto nell’eresie, e tosto se n’esce fuori e va dietro alla luce, che sono i buoni dottori, e tempra l’opinioni perverse con le buone e ritorna al pentimento del suo errore. Ecco l’altro sepolcro di pietra rossa tutta crepata, e di quello n’esce una nube che spruzzola acqua; significa questo il cuore dell’eretico e il pianto che egli fa, compunto del suo errore, e, dolendosi del passato viaggio diabolico, si dispone a seguire i passi della buona dottrina e il moto della sapienza perfetta. Infiniti di questi si trovano veramente che un tempo stanno sepelliti negli errori del mondo e poi si convertiscano al Signore. L’ultimo era di terra nera, che significa l’uomo che si conosce terra macchiata, pien di peccati e tutto lordo, dalla [p. 19 modifica] qual cognizione n’esce un razzo lucente, che è la cognizione di Dio e della sua misericordia; onde egli grida che non è altra felicitá che lasciare le terrene cose e cercare di trovare il porto e il molo, che altro non è che ’l Verbo incarnato Dio e uomo.

Neri. Io non voglio che passi domattina l’ora di terza che io voglio conoscer sí degno uomo.

Giorgio. Il gran monte de’ libri, nel mezzo della caverna, non vuol dir altro che tutti i libri eretici, e chi gli cerca di lèggere, poi che egli ha veduto manifestamente gli errori, o vuol imparare quella dottrina; ché la coscienza, lo spirito ultimamente gli scuote il petto, e qui da timor di dannazione, da dolore dell’offese di Dio e dal proprio ardore del conoscere il male, si spaventa; e, per la terra del veder se medesimo nella scuritá degli errori, ritorna, uscendo delle tenebre, alla nave, che è la chiesa, la quale l’aspetta nel porto della salute.

Michele. Se vi piacesse, per istasera non ne vorrei piu, se però maestro Giorgio ci promette tornar a dirci il restante.

Giorgio. A ogni vostro piacere; anzi ho caro di non dir altro per ora, perché sono stracco e volentieri m’andrei a riposare.

Neri. Sí bene, perché n’è ancóra tempo.

Giorgio. A rivederci un’altra sera, adunque: togliete le vostre lettere.

Neri. Serbatele, che fia meglio, ché nel leggerle avrete a memoria l’esposizione. Raccomandatemi al reverendo maestro insino a tanto che io lo visito.

Giorgio. Cosí farò.

Michele. A rivederci con sanitá, e a Dio tutti.