I briganti del Riff/3. La costa del Riff

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3. La costa del Riff

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3.

LA COSTA DEL RIFF


La dea Fortuna proteggeva la Kabilia. Qualunque altra nave che fosse stata sabordata dalla punta degli scogli, si sarebbe subito riempita d'acqua e non avrebbe tardato a colare a picco.

La Kabilia, invece, continuava la sua pazza corsa, trascinandosi dietro l'albero di trinchetto e facendo dei balzi terribili. Invece di affondare si era rialzata d'un buon metro, altezza però sempre insufficiente a proteggere la tolda dagli assalti furiosi delle onde.

Uno stuolo immenso di uccelli marini l'accompagnava, mandando alte stridula, e passando perfino sulle teste dei naufraghi.

— Basta — disse Carminillo, deponendo la chitarra. — Basta, Pedro, abbiamo suonato abbastanza a Nettuno e, come vedi, non siamo riusciti a calmarlo. Cerchiamo invece di spiegarci il rialzamento della Kabilia.

— Non è un mistero indecifrabile — rispose il secondo studente, deponendo egli pure lo strumento. — La nave è stata bucata e le casse fuggono attraverso allo squarcio.

— Ma sai che cosa succederà quando la stiva sarà vuota?

— Me lo immagino: si empirà d'acqua e la Kabilia affonderà.

— Sì, poiché sono le casse che la mantengono ancora a galla.

— Carminillo, siamo due stupidi.

— Che cosa vuoi dire? Se tu avessi pronunciata questa frase nell'Università di Salamanca, sarei stato costretto a sfidarti.

— Con un boccale di Xeres? Ormai anche noi siamo diventati mezzi conigli, ed i magnifici duelli alla navaja che un tempo sfregiavano tante facce, sono scomparsi nelle nostre scuole.

— Lascia andare, e dimmi ciò che volevi dire.

— Che invece di suonare avremmo fatto meglio a pensare al nostro salvataggio... Carrai! Siamo un po' troppo giovani per morire, e poi dovete cercare quel famoso totem del primo re zingaro, almeno così avete detto voi.

— Non vedi, Pedro, che non vi è nemmeno una scialuppa?

— Non sono cieco.

— Ed allora su che cosa vorresti imbarcare? Su delle casse? Le onde ti spazzerebbero via in un momento.

— Se costruissimo una zattera? — propose Pedro.

— Hum!... Affare troppo lungo — rispose Carminillo. — E poi come lanciarla con questo mare indemoniato? Se ci fosse ancora il capitano Lizar!...

— Oh, quello sta passando fra gli intestini di qualche grosso pescecane!

— Ed allora, come vedi, non ci rimane che di aspettare o l'affogamento od il grand'urto. La costa del Riff si direbbe che si avvicina a noi a vista d'occhio. Non so che cosa abbia questa nave. Anche senza vele corre più di una torpediniera.

— È il diavolo che la trasporta — disse Pedro.

Si era alzato, tenendosi aggrappato alla gitana ed a Carminillo, per non farsi portar via dai marosi, e si era messo a osservare la costa africana che pareva, per uno strano effetto d'ottica, si precipitasse contro la Kabilia. Le tenebre se ne andavano ed un po' di chiarore si diffondeva lentamente fra gli enormi strati di nubi che ingombravano l'orizzonte orientale.

— Guarda come il mare si frange furiosamente sulla banchina — disse Pedro, volgendosi a Carminillo. — La nostra nave, se non affonda prima di giungere laggiù, salterà ben alta, e noi verremo scaraventati chi sa dove.

— Quando vedremo l'urto imminente, ci rifugeremo nella stiva — rispose Carminillo.

— E correremo il pericolo di morire annegati di colpo.

— Chi lo sa!...

— Insomma, non vi è nulla da tentare?

— Assolutamente nulla, Pedro. Lasciamo che la nave corra verso il suo destino.

Si era seduto vicino a Zamora, che non dimostrava nessuna apprensione, e l'aveva guardata intensamente negli occhi.

— Non hai paura di morire? — le chiese.

— Insieme a te no — rispose la gitana, sottovoce.

— E Janko?

Zamora alzò le spalle e la sua bella bocca ebbe un sorriso di disprezzo.

— Un traditore che il capo della tribù mi ha appiccicato ai fianchi per impedirmi di conquistare il totem.

— Si guardi: sai che sia stato ancora nel Riff?

— Lo sospetto, señor. L'anno scorso ha lasciato la Spagna, e fra i gitani si è sussurrato che era stato mandato in Africa.

— A che cosa fare?

— A cercare il totem.

— Ma egli non conosceva la località dove si trovava.

— Lo so, poiché l'ho sempre conservato gelosamente io in Spagna.

— E quel vecchio fazzoletto di seta, coperto di sgorbi che io credo di aver decifrati, si trova ora sul mio petto, Zamora.

Gli occhi della gitana ebbero un lampo di riconoscenza.

— La costa!... — urlò in quel momento Pedro. — Preparatevi al grande urto.

Tutti si erano alzati, anche Janko.

La nave contrabbandiera correva addosso alla banchina con velocità spaventevole, sempre seguita da stormi di uccellacci marini. Spiccava salti enormi e si lasciava indietro molte casse, sfuggite certamente dallo squarcio della carena.

— Che dobbiamo fare? — chiese Pedro, il quale era impallidito, e pareva che avesse perfino dimenticata la sua chitarra.

— Rifugiamoci nella stiva — rispose Carminillo, prendendo per un braccio la gitana.

Attraversarono correndo la tolda e si fermarono dinanzi al gran boccaporto spalancato. Fragori spaventevoli salivano dal fondo. Le casse si fracassavano le une contro le altre, sotto la spinta delle acque irrompenti dallo squarcio.

— Fa paura a scendere qui — disse Pedro. — Non verremo sfracellati anche noi?

— Teniamoci fermi sulla scala ed aspettiamo l'urto — rispose Carminillo.

La stiva presentava uno spettacolo orribile, tale da spaventare il più coraggioso marinaio dei due mondi.

Dal fondo saliva, di quando in quando, un'ondata muggente, la quale gettava sottosopra le casse con un frastuono assordante. I fucili se ne andavano insieme alle armi bianche ed alle munizioni, calando a fondo.

I quattro giovani, dopo una breve esitazione, si decisero. Avevano già osservato che l'onda che si introduceva attraverso alla falla non giungeva fino in cima alla scala, non vi era quindi, pel momento, pericolo alcuno di morire annegati.

Scesero cinque o sei gradini, sorreggendosi l'un l'altro, e formarono un solo gruppo per esser più pronti ad aiutarsi.

— Zamora — chiese Carminillo, con voce un po' commossa. — Non hai paura?

— Ma no, señor.

— Che sangue avete dunque voi, gitani, nelle vostre vene roventi? lo non sono mai stato un vile, eppure, in questo momento, tremo come se avessi la febbre.

Il ritorno dell'onda impedì ai quattro giovani di continuare il dialogo.

Per quattro o cinque minuti la stiva fu piena di fragori sempre più spaventosi, poi l'acqua sfuggì attraverso allo squarcio ed un po' di calma ritornò.

— Carminillo, — dichiarò Pedro, che si teneva disperatamente aggrappato ad un gradino, a fianco di Janko — È la fine questa e noi possiamo gettare le nostre chitarre!

— Mai più, camerata. Ci saranno forse più utili dei fucili se riusciremo ad approdare ed incontrare i mori.

— Siamo forse ancora lontani dalla banchina? Quando penso all'urto che succederà, mi sento gelare tutto il sangue, eppure anch'io non sono mai stato un vile.

— Io credo che siamo vicini e consiglio tutti a tenervi ben stretti alla scala per non cadere nella stiva — disse Carminillo. — Nessuno vi salverebbe.

— Lo credo anch'io, Carminillo — rispose Pedro. — E per questo preferirei quasi trovarmi sul ponte.

— Non odi come le onde spazzano la tolda? Verremmo portati via subito.

— Mi sento venir meno, pensando al grande urto. Ecco l'onda che ritorna e più irosa di prima. Speriamo che non giunga fino a noi.

La stiva tornava a diventare un pandemonio. Alcune casse toccarono i naufraghi, però la calma successe subito.

— Che cosa vuol dire ciò? — si chiese Carminillo.

— L'onda si è ritirata subito — rispose Pedro. — Che siamo già arenati sulla banchina?

— Senza un urto?

— Come spiegare questo mistero allora?

— Attenti!... — gridò Janko.

L'orca aveva fatto un enorme salto, come se volesse abbandonare il mare per cacciarsi nelle nubi, poi si era messa a beccheggiare terribilmente. Doveva trovarsi presso la banchina, poiché là il mare si rompeva con maggior violenza che in altri luoghi.

L'orca, stette un mezzo minuto sospesa come fra cielo ed acqua, poi rovinò.

Si udì un rombo spaventevole, assordante, ed i quattro naufraghi videro, con terrore, aprirsi i fianchi del veliero.

Quantunque l'urto fosse stato tremendo, nessuno aveva abbandonata la scala ed era caduto nella stiva, invasa ormai, da tutte le parti, dalle onde.

— Saliamo!... — gridò Carminillo.

Aiutandosi reciprocamente e badando bene dove mettevano i piedi, i quattro naufraghi saltarono in coperta.

L'orca, come già tutti prevedevano, era andata a piantarsi fra due scogli che sorgevano dinanzi alla banchina e che la tenevano ben ferma, malgrado gli attacchi impetuosi delle onde.

A duecento metri s'ergeva la costa del Riff, brulla, con grandi spaccature fatte forse dai contrabbandieri e dai mori per potersi raggiungere.

Tutta la banchina era coperta di casse, le quali continuavano ad uscire numerose dai fianchi sfondati del veliero.

— Qualche santo ci ha protetti — disse Pedro. — Io già non davo più nemmeno una peseta della mia pelle. La barca si è sfasciata, ma noi siamo ancora vivi, e quello che più importa, ancora in possesso delle nostre chitarre.

— Come vedi, señor, io avevo ragione a profetizzare che non saremmo andati a fondo — dichiarò la gitana.

— E tu ci predici che un giorno ritorneremo nella Spagna?

— Sì, señor.

— Allora tutto va bene.

Carminillo e Janko intanto cercavano il modo di scendere sulla banchina, senza venire portati via dalle onde.

— E così, Carminillo? — chiese Pedro.

— La poteva andare peggio — rispose il giovane.

— Si può dunque discendere?

— Il mare è sempre agitatissimo, e poi vedo presso la spiaggia delle brutte bestie che sembra che non aspettino che noi per cenare.

— Pescicani?

— No, pesciluna.

— Non devono essere pericolosi.

— T'inganni, amico: pensa che vi sono dei pesciluna che pesano perfino due tonnellate.

— Mentre io so, invece, — disse Zamora — che danno una carne disprezzata da tutti i pescatori delle coste.

— Vediamo un po' — soggiunse Pedro.

Aspettò che un'onda passasse attraverso la tolda sgangherata del veliero e salì rapidamente sul castello di prora, aggrappandosi fortemente alle trinche del bompresso.

Otto mostruosi pesci, assai grassi, con delle bocche che facevano paura, si aggiravano intorno al veliero.

— Che cosa vogliono, le nostre chitarre? — chiese Pedro.

— Le nostre polpe, mio caro — rispose Carminillo, il quale lo aveva raggiunto.

— Non ci penso di passare, per ora, attraverso a quegli stomachi imbottiti di grascia.

— E veramente nemmeno io.

— Corpo d'un'orca fracassata!... Non abbiamo fucili e munizioni in grande quantità? Vi sono ancora centinaia di casse nella stiva.

— Chi andrà a prenderle coll'onda che sale?

— Ed i nostri quattro fucili e le cartuccere che abbiamo lasciato nella cabina del capitano per affrontare quel bruto? — disse la gitana, la quale era pure riuscita a raggiungerli.

— Certe volte vale più una donna che tre uomini insieme — osservò Pedro.

— Scaldiamoci al fuoco dei mausers e andiamo a vedere che salti faranno quei bestioni sotto le palle di piombo.

Ridiscese dal castello di prora, attese il momento che nessuna onda correva ad abbattersi all'orca, e corse verso il quadro.

Mezzo minuto dopo, sfuggito miracolosamente ad un colpo di mare che si era spezzato contro l'albero maestro facendolo piegare da un lato, tornava portando le armi e le cartucce.

— Alla caccia delle belve del mare!... — gridò Pedro. — A Salamanca non tiravamo mica male, è vero, Carminillo?

— Proviamoci, poiché finché quei mostri ingombrano la banchina, noi non potremo scendere senza esporci a gravi pericoli — rispose il compagno. — Sai sparare, tu, Zamora?

— Come un provetto cacciatore — osservò la bella gitana, con un certo orgoglio. — Nessuna donna potrebbe certo rivaleggiare con me, non è vero, Janko?

— Non lo so — rispose seccamente il gitano.

Pedro dispensò le armi e le munizioni; però, passando accanto a Carminillo, gli disse: — Sorveglia attentamente quel briccone. Un colpo fa presto a sfuggire, senza sapere poi chi ringraziare.

Montarono tutti sull'estremità del castello, e giacché l'orca, stretta fra gli scogli, non subiva che delle leggere scosse, apersero un fuoco infernale contro i giganteschi mostri che non si decidevano a lasciare i fianchi del piccolo veliero, spingendosi, di quando in quando, sulla banchina.

La gitana fu la prima a sparare.

Un pesceluna, il più grosso, colpito in pieno cervello, spiccò un gran salto mandando un rauco sospiro paragonabile al tuono udito in lontananza; poi un'onda lo prese e lo scaraventò contro le scogliere, massacrandolo.

— Che tiratrice straordinaria!... — esclamò Carminillo. — Tu vali un uomo ed anche più.

— E questo è niente — disse la gitana, preparandosi a sparare nuovamente. — Io spegnevo una candela, con una palla, alla distanza di trecento e più passi. È vero, Janko?

— Sì, sei sempre stata la migliore bersagliera della tribù — rispose il giovane con tono acre.

— Allora riprendiamo la musica — disse Carminillo. — Preferirei udire le nostre chitarre, ma ci rifaremo più tardi, quando saremo a terra... Amici, battaglia!...

— E occhi bene aperti — osservò Pedro. — Tu m'intendi, Carminillo.

— Non lo perderò di vista.

Montarono sulla murata prodiera che, per un caso miracoloso, non aveva ceduto che in parte, e riapersero il fuoco.

Pedro si era collocato dietro Janko, e spiava ogni sua minima mossa. I pesciluna, crivellati dal piombo e sbattuti dalle onde, stavano per abbandonare le vicinanze della banchina, quando un grido echeggiò: — Miserabile!...

Tutti si volsero e videro Janko steso sulle tavole, con Pedro sopra, che lo minacciava col calcio del fucile.

— Miserabile!... — ripetè lo studente. — Tu tentavi di commettere un assassinio!...

— No, señor — rispose il gitano, tentando di alzarsi.

— Ti ho veduto io a mirare Carminillo invece dei pesci.

— Vi sarebbe un traditore fra di noi? — gridò Zamora, avanzandosi verso il giovane che si dibatteva disperatamente sotto la stretta dello studente. — Vuoi che ti faccia scoppiare il cranio con un colpo di fucile? Nessuno verrebbe qui a chiedere conto della tua morte.

— Gettiamolo ai pesci!... — urlò Carminillo. — La carne dei traditori sarà più succolenta per quelle bestiacce.

Pedro aveva già abbrancato il gitano e l'aveva alzato fino alla murata, quando la gitana intervenne.

— Non disfatevi di quest'uomo che più tardi, sull'altipiano del Riff, potrà renderci dei preziosi servigi, poiché Janko tira come me, e poi conosce il Riff.

— E se invece di ammazzare i mori od i leoni ammazzasse noi? — disse Pedro.

— La sua abilità sarebbe appunto pericolosa per noi.

— Caballeros — dichiarò il gitano, il quale si era liberato dalla stretta dei due studenti. — Vi assicuro, vi siete ingannati. Io stavo mirando un pesce, quando voi, señor Carminillo, mi siete passato dinanzi, mentre stavo per far fuoco. Se avessi voluto uccidervi tutti e due, con quest'arma che non ha bisogno di essere continuamente caricata, sarebbe stata un'impresa ben facile per un tiratore della mia forza.

— Che tu abbia veduto male, Pedro? — disse Carminillo. — Gli spruzzi delle onde non permettevano di osservare troppo bene.

— Può darsi, quantunque mi rimanga un brutto dubbio.

— Ed allora non parliamo più di questa cosa, — disse la gitana — e pensiamo invece ad abbandonare l'orca prima che i cavalloni la sfascino completamente.

Il piccolo veliero, incastrato fra i due scogli, aveva sussulti spaventosi, e le sue cestole cedevano rapidamente sotto la forza irresistibile delle acque non ancora placate. Se i naufraghi rimanevano sul rottame, correvano il pericolo di venire portati via da un momento all'altro. Lo sbarco sulla banchina s'imponeva.

— Orsù, — disse Carminillo, prendendo innanzi tutto la chitarra — cerchiamo di andarcene. Ne ho abbastanza dei marosi, e non sospiro che il momento di fare delle suonate a terra, al sicuro dagli attacchi del Mediterraneo. Vedo un gran numero di caverne marine che traforano l'alta costa. Andiamo a prendere possesso d'una di quelle, pel momento, poi si vedrà.

— Ed allora sarà meglio portare via un fanale — disse Pedro.

— Non hai che da staccarlo.

— E i viveri?

— Ne troveremo sulla banchina. Non vedi quante casse e botti corrono all'impazzata, lasciando sfuggire non solamente dei fucili e delle munizioni?

— Andiamo, Carminillo. Questa carcassa non può resistere più a lungo.

— Gli scogli ci permettono di scendere?

— Sì, se aspettiamo che l'onda sia passata.

Pedro andò a staccare un fanale che era quasi pieno d'olio, si gettò a bandoliera la chitarra ed il mauser, e si precipitò verso la prora, spiccando dei gran salti, poiché la tolda dell'orca cominciava ad aprirsi con dei crepitìi impressionanti.

I quattro naufraghi si radunarono sul castelletto ed osservarono prima attentamente gli scogli e la gigantesca banchina che le onde spazzavano senza interruzione.

— Non sarà un'impresa facile lasciare questa carcassa — disse Pedro. — Come scendere?

— Non pensiamo agli scogli che sono troppo battuti dai cavalloni — rispose Carminillo. — Aggrappiamoci alle trinche del bompresso. Sarai capace di seguirci, Zamora?

— Non pensare a me, señor: valgo quanto un uomo.

— A me l'onore di scendere pel primo — disse Pedro.

Assicurò bene la lanterna, la chitarra ed il fucile, e raggiunse una trinca che i cavalloni avevano staccata dal posto fisso.

— Vi attendo a cena in qualcuna di quelle caverne — soggiunse l'allegro giovanotto.

Aspettò che l'onda fosse passata, poi si calò rapidamente, ed appena giù, si mise a correre verso la costa. Sembrava uno scoiattolo inseguito da una torma di cani o di cacciatori.

In due minuti, prima del ritorno dei tremendi cavalloni, attraversò la banchina e si fermò dinanzi ad una caverna marina che pareva dovesse essere molto vasta.

— A te, Zamora — disse Carminillo.

La gitana non si fece ripetere due volte l'ordine. Dotata di muscoli solidissimi, potè compiere felicemente la sua discesa e raggiungere Pedro. Per miracolo era sfuggita ad un enorme cavallone alto più di sette metri, e che era andato a sciogliersi quasi dinanzi la caverna marina occupata dallo studente.

— È salva!... — esclamò Carminillo, il cui cuore aveva battuto fortemente. — A te, Janko.

— Scendete voi prima, señor — rispose il gitano. — Io ho da fare qualche cosa ancora a bordo di questo rottame.

— Che cosa vuoi dire? — chiese lo studente guardandolo di traverso.

— Vorrei far saltare il carico della Kabilia.

— Anch'io lo vorrei, per privare i mori di tante armi e di tante munizioni che poi serviranno contro i miei compatrioti. Vi è però un pericolo.

— Di saltare anche noi? Prepareremo una miccia assai lunga.

— No. I riffani dell'altipiano, allarmati dal rombo prodotto dall'esplosione di tante munizioni, potrebbero scendere troppo presto e prenderci.

— Come volete — disse Janko, con voce un po' stizzita. — Io avevo pensato appunto ai vostri compatrioti.

— Non occupartene: sapranno difendersi e non avranno la peggio, io spero, nella guerra che sta per scoppiare nuovamente... Su, scendi.

— Passate prima voi, señor.

— Per ricevere, a tradimento, una palla di fucile attraverso il corpo? Non mi fido più di te, amico.

— E se volessi rimanere qui? Come vedete, ormai la Kabilia non corre nessun pericolo, mentre a terra ne incontreremo ad ogni passo.

— Ti costringerei appuntandoti il fucile al petto.

Janko diventò spaventosamente pallido, e per un istante parve che volesse ribellarsi a quell'ordine; poi salì sulla murata, prese la trinca, ed a sua volta discese sulla banchina, correndo subito verso la caverna.

— Non c'è più da fidarsi di questo furfante — mormorò Carminillo. — Temo che ci darà dei grossi fastidi. Non vuole che troviamo il totem del re degli zingari. Noi non sappiamo precisamente ancora dove si trova, ma un giorno lo scoveremo. Credo di aver ormai spiegato i segni misteriosi e le linee colorate che coprono il fazzoletto... Orsù, sgombriamo anche noi.

La Kabilia, quantunque sventrata, resisteva ancora fra la stretta dei due scogli, ma non poteva durare a lungo. Le onde che la investivano da poppa con estrema violenza, rimbalzando sul cassero, ormai anche quello sconquassato, la facevano cozzare contro la banchina, con soprassalti spaventosi.

Non era quindi prudente fermarsi più a lungo sulla tolda della piccola nave contrabbandiera.

Carminillo attese che Janko avesse raggiunti Pedro e la gitana, poi si lasciò andare lungo la fune, spiando attentamente i cavalloni. Sceso anche lui felicemente, si slanciò verso i compagni, inseguito da presso da un grosso cavallone che s'avanzava muggendo sinistramente.

I naufraghi si erano radunati dinanzi ad una spaccatura della roccia che faceva sospettare la presenza d'una caverna.

— Pedro, — disse Carminillo — si potrebbe ben fare una suonata per celebrare il nostro sbarco sulla costa africana.

— Credo che questo non sia il momento — rispose lo studente.

— Ci cacceremo dentro la caverna, poiché dietro questa spaccatura deve trovarsi un rifugio inaccessibile alle onde.

— Una spelonca piena di vecchie alghe e che puzza come un serraglio di belve — disse Pedro.

— Che ci siano delle bestie lì dentro?

— Non ne ho vedute, ma non sarebbe cosa da sorprendere. Non siamo più in Spagna.

— Abbiamo dei buoni fucili e dei buoni tiratori. Andiamo a prendere possesso del nostro palazzo africano.

— Bel palazzo!... Vedrai, Carminillo!...

Lo squarcio era lungo tre metri ed alto solamente due, e ne uscivano dei fragori fortissimi, come se delle colonne d'acqua cadessero dall'alto infrangendosi sulle rocce.

— Sarà abitabile? — chiese Carminillo, il quale aveva accesa la grossa lanterna della Kabilia.

— Vi devono essere dei fiumi sotterranei — rispose Pedro. — Io sono già entrato ed ho trovato la caverna asciutta.

— Non sicura però!

— Quest'odore, infatti, non mi persuade.

Carminillo alzò la lanterna ed i naufraghi presero possesso del loro palazzo africano.

Si trattava d'una caverna assai vasta, col suolo tutto coperto da un denso strato di alghe secche, e che pareva avesse, alla sua estremità, qualche altra apertura.

— C'è infatti, qui, odor di serraglio — disse Carminillo, mentre i suoi compagni, temendo qualche brutta sorpresa, tenevano le armi puntate. — Credo però che noi non ci troveremo troppo male qui dentro. Prima di lasciare la banchina, e giacché le onde sembrano calmarsi, dovremmo ritirare delle casse, e soprattutto quelle contenenti viveri. Daremo la preferenza alle botti che, di solito, sono piene di frutta secca e di biscotti... Amici, non perdiamo tempo!...