I briganti del Riff/8. La stretta delle lave

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8. La stretta delle lave

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8.

LA STRETTA DELLE LAVE


I due studenti, per sfuggire l'incendio che si avanzava spaventoso attraverso la caverna, minacciando di cremarli, come abbiamo scritto, avevano avuta la fortuna di scoprire due passaggi lasciati dalle lave, ed a mettere le teste, se non il resto del corpo al sicuro.

Disgraziatamente le due aperture finivano in due piccoli squarci, quasi circolari, che non permettevano l'uscita a due corpi umani, quantunque gli studenti fossero tutt'altro che grassi. Potevano almeno respirare, vedere la luna luccicante sul mare e sorvegliare la banchina, poiché si trovavano almeno a quaranta metri sopra il piano della caverna.

Avvenuta l'esplosione delle casse, che i due studenti tanto temevano, e trovandosi incolumi, poiché non avevano provato che una forte spinta dal basso in alto, il buonumore era tornato nei due arrabbiati chitarristi.

— Ora lasciamo che le alghe finiscano di consumarsi e che la caverna si raffreddi — disse Carminillo. — Poi andremo in cerca di Zamora e di Janko.

— Janko!... — rispose Pedro, il quale girava la testa in tutti i sensi colla speranza di poterla far uscire dalla stretta. — Volevo appunto chiederti un parere su quell'individuo.

— Parla, Pedro.

— Che abbia dato fuoco lui alle alghe per tentare di soffocarci o, meglio ancora, di cremarci?

— Certamente non si saranno accese da loro — rispose Carminillo. — Qualcuno ha gettato qualche zolfanello in mezzo alle alghe, a meno che non si sia spezzata la lampada. Adagio però coi sospetti. Anche Janko e Zamora possono essersi trovati in qualche grave pericolo.

— E sono ricorsi all'incendio!... Non sapevano che noi eravamo assediati dentro la caverna?

— Parla di Janko e non di Zamora. Quella fanciulla è incapace di commettere un tradimento e di volere la nostra morte. E poi a quale scopo, se il fazzoletto di seta che ci condurrà alla scoperta del totem sta nascosto sotto la mia giubba e bene assicurato?

— Che abbiano trovato anche loro dei leoni?

— Leoni no, ma forse delle pantere. Noi non abbiamo esplorata interamente la seconda caverna, quindi non sappiamo quali pericoli nascondeva. Ti pare?

Pedro rispose con uno sternuto sonoro, seguito subito da parecchi altri.

— Ti sei presa una costipazione? — chiese Carminillo, ridendo. — Le caverne veramente se erano adatte agli uomini primitivi, non lo sono più per quelli moderni. La temperatura varia sovente e l'umidità non manca.

— Sternuto perché il fumo comincia a raggiungermi, — rispose Pedro — quantunque io cerchi d'impedirgli il passaggio puntando ben bene le spalle.

— Caldo?

— Si può resistere, per ora.

— Ed io invece ho sentito mordermi una gamba — disse Carminillo.

— Che qualche sciacallo abbia avuto tanto coraggio di seguirci anche dentro a questi budelli? Carrai!... Carramba!... Rajo de sol!...

— Prendi fuoco, Pedro?

— Mi sento mordere anch'io.

— Saranno topi che fuggono davanti l'incendio e cercano anche loro di salvarsi — soggiunse Carminillo.

— Ma non sai quanto sono feroci i topi? Sono capaci di spolparti un uomo in meno di mezz'ora, se sono in gran numero.

— Lo so, Pedro, e perciò ti proporrei di ridiscendere per respingere quei pericolosi rosicchianti. Se restiamo qui ci mangeranno le gambe, ed allora la nostra impresa sarà finita.

— Ed il fumo che sale?

— Anche dal mio astuccio comincia a mostrarsi — disse Carminillo, sternutando replicatamente. — Bella situazione!... Siamo come impiccati poiché non possiamo fare uso nemmeno delle mani, come se ce le avessero legate. Mordono ancora?

Pedro non rispose. La sua testa era scomparsa, e dal buco usciva una leggera nuvola di fumo.

— Ehi, amico!... — gridò Carminillo. — Devo scendere anch'io? Assassini!... Mi mangiano le scarpe in attesa di mangiarmi i piedi.

Quantunque non potesse incontrarsi col compagno, poiché i passaggi non s'incrociavano che quindici o venti metri più sotto, risoluto a non farsi mangiare vivo, a sua volta si lasciò scivolare urlando a squarciagola: — Via di qua bricconi!...

Anche Pedro urlava come un cane idrofobo, e la sua voce si trasmetteva distintamente attraverso quei due grossi astucci formati da lave antichissime.

— Canaglie!... — urlava. — Anche la mia chitarra!... Giù, giù, tornate nel fuoco!

Pareva che battagliasse ferocemente servendosi del calcio del fucile, a giudicarlo dai colpi rimbombanti.

Intanto Carminillo aveva raggiunto il suo mauser e la sua chitarra, che aveva lasciati pochi metri più in basso.

Quantunque del fumo salisse pel budello, scorse subito una dozzina di giganteschi topi, i quali stavano già per riprendere la marcia, non volendo ritornare nella caverna infuocata. A sua volta afferrò il fucile per la canna, e quantunque lo spazio fosse ristretto, si mise a pestare rabbiosamente i rosicchianti col calcio, urlando sempre: — Via di qua, bricconi!...

Anche Pedro non cessava di gridare, pur continuando a battagliare.

— Ah!... Tu, brutto topo grigio, volevi mangiare le corde della mia chitarra!... Crepa ingordo!... E tu che mi guardi con quegli occhi neri, vorresti che ti lasciassi il passo? Giù!... Giù, dentro la voragine di fuoco, bestie maligne!...

I due studenti, separati da pochi metri di parete assai sonora, picchiavano disperatamente coi calci dei fucili, resistendo eroicamente ai getti di fumo che diventavano, di momento in momento, più caldi e carichi di cenere, e che salivano come spinti da un forte vento.

La battaglia però fu breve, poiché i topi, invece di ridiscendere nella caverna da dove non sarebbero usciti vivi, passarono dietro il dorso degli studenti e fuggirono per due aperture, mandando degli strilli acuti.

Era tempo, poiché anche Carminillo e Pedro non potevano più resistere entro i due stretti passaggi, i quali minacciavano di diventare due forni di nuovo genere.

Risalirono perciò in fretta, portando con loro i fucili e le munizioni, che potevano passare attraverso i due buchi, mentre le chitarre, troppo grosse, con grande disperazione di Pedro, venivano abbandonate.

Topi non ve n'erano più, quindi le corde non correvano alcun pericolo. Da bravi suonatori però, i due studenti, prima di lasciare la Spagna, si erano ampiamente provvisti per non rimanere, sulle terre del Riff, coi loro strumenti muti.

Le teste di Carminillo e di Pedro comparvero quasi nel medesimo istante dietro ai fucili messi ormai al sicuro insieme alle cartuccere.

— Credevo di vedere uscire uno scheletro — disse l'ingegnere, dopo di aver respirato largamente.

Pedro proruppe in una risata.

— Credevi che i topi mi avessero spolpato? Non erano troppo cattivi, almeno quelli che mi hanno assalito, e si lasciavano accoppare quasi senza reagire.

— Respira, respira, amico!...

— Non odi che sembro un vero mantice, uno di quei mantici che usano i gitani.

— Perché, Pedro, parlare degli zingari? Sai quanto io sono inquieto per Zamora.

Carramba!... Il tuo cuore brucia per la futura regina dei nomadi, mentre io sento arrostire le mie gambe. Comincia a far caldo, e non so se le mie scarpe resisteranno.

— La bocca della caverna fuma ancora?

— Sì, continuano ad irrompere nuvoloni di fumo che la brezza notturna, fortunatamente, spinge al largo, verso il mare.

— Durerà a lungo il nostro supplizio? — chiese Carminillo. — Anch'io mi sento, non arrostire precisamente, bensì disseccare.

— Come un salsicciotto di quelli che i bravi montanari della Sierra Guadarrama preparano così bene a lento fumo — rispose Pedro. — Se noi rimarremo qui alcune ore ancora, che bel pasto pei topi, se ritornassero! Salsicciotti umani, affumicati interi!... Ci starebbero forse ad un simile pasto, anche i mori quantunque non siano mai stati cannibali.

— Vuoi spaventarmi, Pedro?

— Niente affatto, Carminillo. Gli studenti di Salamanca e di tutte le altre Università della Spagna, hanno il fegato troppo sano per preoccuparsi di simili miserie!

— Miserie le chiami!... Sto per disseccarmi lentamente.

— Anch'io, e non mi lagno, Carminillo. Le alghe finiranno di bruciare e allora noi ridiscenderemo nella caverna ed andremo a prendere un bel bagno. Scommetterei che i tuoi gitani, mentre noi ci affumichiamo, stanno bagnandosi in qualche ruscello. Ve n'erano molti, scorrenti fra i letti d'alghe.

— Vorresti raggiungerli?

— Se potessi, lo farei subito, Carminillo, ma non troverei aria respirabile sotto di me e perciò preferisco rimanere qui a guardare la luna che sta per tramontare, in attesa che il fuoco si sia spento. È vero che non mi trovo in una posizione troppo invidiabile. Devo sembrare un cinese condannato alla pena della cangue per aver commesso qualche grosso delitto. Ma spero di finire presto la mia pena. Non ti pare che il calore sia molto scemato?

— Sul mare si è alzato un vento molto forte ed anche abbastanza fresco, ed avrà raffreddata la caverna. L'incendio ormai deve essere terminato, poiché io non vedo uscire più fumo sotto di noi.

Infatti un vento fortissimo, che veniva dal mare, scagliava, verso la banchina, raffiche su raffiche, ululando sinistramente, ed imboccando la caverna, metteva in subbuglio le ceneri ed in gravissimo pericolo Zamora e Janko che avevano lasciato il loro umido rifugio dove avevano corso il pericolo di morire annegati invece che arrostiti.

Le onde tornavano a montare all'assalto della costa, rumoreggiando, balzando e rimbalzando, spingendosi talvolta perfino presso l'orca, sempre immobilizzata tra due scogli.

I due studenti stavano per tentare la discesa, convinti ormai che l'aria fosse abbastanza respirabile nella caverna, quando giunsero ai loro orecchi parecchie detonazioni.

— Hai udito, Carminillo? — gridò Pedro. — Si fa fuoco presso la caverna, che siano i gitani che vengono a cercarci?

— Non possono essere che loro.

— Allora scendiamo.

Pedro cercò di ritirare la testa imprigionata entro quel buco, quando un urlo terribile gli sfuggì: — Sono perduto!...

— Che cosa dici? — chiese Carminillo, spaventato.

— Le lave, forse per effetto del calore, si sono strette intorno al mio collo in modo che la mia testa non può più passare — rispose Pedro.

— Non è possibile!...

— Prova anche tu.

Il giovane ingegnere tentò a sua volta di lasciarsi scivolare entro il budello, e si trovò come impiccato. I due piccoli passaggi si erano ristretti intorno alle gole dei due disgraziati, immobilizzandoli.

— Pedro, — disse Carminillo con voce rotta — anch'io sono prigioniero.

— Eppure poco fa le nostre teste potevano passare.

— Ed ora devo darti la triste notizia che non passano più, e che se non verranno a liberarci da questa stretta, morremo di fame e di sete.

— Fortunatamente vi sono i gitani.

— Sapranno trovarci?

— Continuano a sparare.

— Mentre noi, non avendo le braccia libere, non possiamo rispondere. I nostri fucili ci sono perfettamente inutili.

— E dovremo morire lentamente strozzati? — chiese Pedro, rabbrividendo.

— Come mai queste lave si sono così strette intorno al nostro collo?

— Per effetto d'un improvviso raffreddamento, dovuto al vento — rispose Carminillo. — Non escludo però che le molecole possano riprendere il loro posto, lasciandoci in libertà.

— È il calore che le ha prima dilatate?

— Sì, Pedro.

— Ed ora il vento che soffia fresco non restringerà più di prima queste lave? Noi non potremo ritirare le nostre teste se non vengono a liberarci da questo collare.

— Ti ripeto che le lave, ritornata la temperatura normale, potranno dilatarsi ancora, tanto da permetterci la ritirata verso la caverna.

— Lo dici per non farmi morire di paura, Carminillo? Finire i miei giorni quassù, come un impiccato, ed abbandonare il mio cervello ed i miei occhi ai falchi, sono cose che fanno gelare il sangue.

— Aspettiamo, Pedro: io non dispero... Si è rinchiuso ancor più il cerchio di lava intorno al tuo collo?

— No, e posso muovere comodamente la testa senza potere però farla passare. Bisognerebbe che mi tagliassero almeno gli orecchi.

— Taci!... Guarda!...

— Dove?

— Verso l'orca — rispose Carminillo.

— Che cosa vedi?

— Avanzarsi due mahari montati da due riffani armati di fucili.

Pedro, con uno sforzo disperato, si spinse in alto e potè infatti scorgere i due corridori del deserto, avanzarsi lentamente, con un largo dondolìo, sulla banchina, come se avessero intenzione di raggiungere la caverna.

— Che possano scorgerci e far scoppiare le nostre teste? — chiese lo studente.

— Siamo troppo in alto — rispose Carminillo.

— Ma il sole sta per comparire. La luna ormai è scomparsa in mare.

— Non sarà possibile che ci possano distinguere colle rocce che ci circondano, e poi tutti i marocchini sono pessimi tiratori — disse Carminillo. — Non badano che a far spreco di polvere e di cartucce senza prendere la mira. Puoi star tranquillo.

— Sono due briganti del Riff?

— Sì, Pedro. Guardali bene: a differenza degli altri mori, uno ha la pelle quasi bianca, gli occhi cilestri e la barba ed i capelli biondi.

— Che entrino nella caverna?

— Avranno osservato prima il fumo che usciva, ed ora vorranno sapere per quale motivo le alghe hanno preso fuoco. I briganti della montagna ci tengono alle grotte che servono loro di rifugio in caso di guerra contro i nostri compatrioti.

— Ed i gitani? Non verranno presi? — chiese Pedro.

Carminillo impallidì, mentre un lampo d'ira illuminò i suoi occhi, rendendoli quasi fosforescenti.

— Avere un fucile davanti e non poterlo adoperare!... — esclamò con voce rauca. — Da questo posto noi potremmo benissimo atterrare uomini e cammelli!...

— Che vadano ad ammazzare i gitani?

— Facciano pure scoppiare la testa a Janko, purché risparmino Zamora.

— Del gitano non m'importa. Ha dato troppi segni di esserci più nemico che amico. È così, Carminillo?

— Sia maledetto colui che ha dato fuoco alle alghe! — esclamò il giovane ingegnere.

— Resteremo qui inattivi?

— Puoi ritirare la tua testa e far passare il braccio per prendere il mauser che hai proprio sotto gli occhi?

— No, Carminillo.

— E nemmeno io. Siamo come presi fra le strette della garrotta.

— Potessimo almeno avere le nostre chitarre!...

— Che cosa vorresti farne?

— Una suonata: la morte mi sembrerebbe più dolce.

— Ma non siamo ancora morti, Pedro.

— Su che cosa conti?

— Io ho l'abitudine di non disperare mai. Ah!... I mahari sono scomparsi!... Devono essere entrati nella caverna.

— Tu tremi per Zamora.

— La gitana è armata d'un buon fucile e non è facile ad impressionarsi. Se sarà necessario battaglierà contro i briganti del Riff a fianco di Janko il quale, dopo tutto, si è sempre mostrato valoroso.

— Odi? Si spara nella caverna!...

— Sì, odo — rispose Carminillo, il quale faceva sforzi disperati per far passare la testa attraverso il foro, senza riuscirvi. — E noi siamo qui, impotenti, a pochi metri, vi è da salvare la figlia della più bella regina dei gitani! Se queste lave non si dilatano, dovremo morire semistrozzati, bruciati dal sole, arsi dalla sete, assaliti forse dai falchi, senza poterli respingere.

— Sei tu ora, Carminillo, che disperi? — disse Pedro.

— Forse non ancora.

— E sparano sempre nella caverna.

— Lo sento, Pedro.

Intanto il sole si alzava radioso, cospargendo tutto il mare di miriadi di pagliuzze d'oro. Col sole però si era scatenato anche un vento improvviso, che scagliava verso la banchina enormi ondate.

L'orca, che fino allora aveva resistito, se ne andava rapidamente. I cavalloni la sventravano, strappandole fasciame, corbetti e murate, e rovesciando sulla spiaggia un gran numero di casse.

La sabbia della banchina, sollevata dalle raffiche, si abbatteva in grossi nuvoloni anche sui due disgraziati studenti, rendendo il loro supplizio sempre più spaventevole.

— Ecco la morte che viene! — esclamò Pedro, scuotendo disperatamente la testa per sbarazzare gli occhi pieni di quella polvere che in certi momenti minacciava di soffocarlo. — E non poter spezzare questo maledetto anello di lava che forse non ha uno spessore che di pochi centimetri!... Se fra un'ora i gitani non accorrono in nostro aiuto, nessuno di noi sarà vivo. Mi pare di bruciare e non so quant'acqua berrei se potessi averne a mia disposizione. Che cosa ne dici, amico?

Carminillo non rispose. Allungava il collo e si sforzava di vedere ciò che succedeva sulla banchina.

Quantunque avesse gli occhi arrossati e gonfi, ci vedeva ancora abbastanza e non gli sfuggì un mahari che pareva fosse uscito dalla caverna, e che dopo aver percorsi cento o centocinquanta metri, si era bruscamente arrestato. Lo montava un riffano, che teneva il fucile appoggiato alla spalla, come se si preparasse a far fuoco. Essendosi in quel momento diradate le nuvole di sabbia, uomo ed animale erano perfettamente visibili.

— Guarda, Pedro — disse Carminillo.

— Sono mezzo cieco, tuttavia scorgo laggiù un cammello.

— Prima erano ben due?

— Sì, Carminillo.

— Che i gitani abbiano dato una prima lezione a questi briganti?

In quel momento rintronò un colpo di fucile che pareva tirato presso l'uscita della caverna, poi i due studenti videro il riffano spiccare un gran salto, mentre invece il mahari piombava pesantemente a terra, agitando disperatamente le lunghe zampe e mandando delle urla che parevano uscissero dalla gola d'una belva feroce.

Il suo padrone, che era saltato a terra, si fermò un momento a guardare il povero animale che faceva degli sforzi disperati per rialzarsi senza però riuscirvi, fece un gesto di minaccia e fuggì colla velocità di una gazzella, scomparendo ben presto fra le dune sabbiose.

— Pedro!... Pedro!.. — gridò Carminillo. — Ricomincio a sperare!... Solamente i gitani possano aver fatto fuoco sapendo la pessima fama che godono i briganti del Riff.

— Che sia stato Janko o Zamora?

— O l'uno o l'altra è la stessa cosa, Pedro; a me basta che i gitani abbiano finalmente dato segno di essere vivi.

— Lo avevano dato già prima sparando dentro la caverna tutte quelle fucilate.

— Ma non sapevamo se erano loro — disse Carminillo. — Quegli spari potevano provenire dallo scoppio di cartucce che l'esplosione aveva risparmiate. Ora mi sento più tranquillo.

— Non vedo però comparire ancora né Janko, né la gitana — osservò Pedro.

— Temeranno qualche agguato o, meglio ancora, staranno cercandoci.

— Si allarga il tuo cerchio di lava? — domandò Pedro.

— Non ancora — rispose Carminillo. — Forse ci vorrà un po' di tempo prima che le molecole riprendano lo stato primiero.

— Ed allora sarà troppo tardi per salvarci. Muoio di sete, ed il sole mi cuoce vivo. Ah, i miserabili!... Me li aspettavo!...

Pedro aveva alzata la testa e guardava in alto, mentre colle mani, imprigionato sotto la strettoia terribile, faceva sforzi disperati per aggrapparsi e tenere il corpo un po' sollevato.

— Con chi te la prendi, amico? — chiese Carminillo, vedendo il suo giovane compagno stralunare gli occhi ed impallidire.

— I falchi, piombano su di noi — rispose Pedro. — Essi vorranno prima i nostri occhi poi i nostri cervelli, e noi non potremo far nulla per difenderci.

L'allievo ingegnere di Salamanca, guardò egli pure in alto e vide roteare, a cinquanta o sessanta metri d'altezza, sette od otto grossi falchi reali, dalle penne tutte nere ed i rostri gialli. Un grido di terrore gli sfuggì dalle labbra.

— Mio povero Pedro, — disse con voce alterata — il nostro supplizio durerà poco.

— E ci lasceremo vuotare i crani da quei luridi volatili?

— Non possiamo fare nulla.

— Ed abbiamo i fucili a due palmi dai nostri occhi!... E quei dannati gitani sono dunque fuggiti?

— Non lo crederò mai. Zamora non ci abbandonerà.

— Venga allora prima che la mia testa serva di pasto a quei volatili.

— Aspettiamo.

— Sì, la morte — affermò Pedro.

Il vento essendosi calmato non sollevava più le sabbie sulla banchina né in alto, e i due disgraziati potevano seguire i voli fulminei di quegli inaspettati nemici, grossi come piccole aquile.

Dotati d'una vista acutissima, i falchi avevano scorte quelle due teste umane che si agitavano disperatamente, ed accorrevano a guadagnarsi una facile colazione.

S'innalzavano gridando, poi si raggruppavano, quindi prendevano il volo verso la banchina.

— Vengono — disse Pedro, con voce rauca. — Ah, i miei poveri occhi che non potrò riparare!...

In quell'istante Carminillo mandò un urlo acutissimo, e si mise ad agitarsi disperatamente, come se cercasse di ritirare la testa.

— Sei impazzito, amico? — gli chiese Pedro, mentre i falchi, schierati su una sola fila, si avanzavano velocissimi, battendo furiosamente le larghe ali.

— Passo... passo... — rispose Carminillo. — Le molecole delle lave sono tornate a posto!...

Con uno sforzo supremo, strappandosi quasi gli orecchi, l'allievo ingegnere era riuscito a ritirare la testa, proprio nel momento in cui i falchi caricavano in piena volata.

Si lasciò scivolare, mise fuori un braccio, prese il mauser che gli stava dinanzi ed aprì, contro i volatili rapaci, un magnifico fuoco di fila.

Anche Pedro non aveva avuta meno fortuna. Dopo di essersi agitato in tutti i sensi, producendosi non poche contusioni al collo, era pure riuscito a mettersi in salvo.

— Ah, canaglie!... — urlò, afferrando a sua volta il fucile. — Che io possa almeno vendicarmi!...

Gli spari si succedevano agli spari. I due studenti, che erano ben forniti di cartucce, fucilavano i volatili con rara abilità, facendoli capitombolare sulla banchina colle ali spezzate o addirittura decapitati. Non ne rimanevano che tre, eppure quegli uccellacci affamati e coraggiosi non meno delle aquile, tentarono un'ultima volata, ma prima di raggiungere il margine della parete caddero, l'uno dopo l'altro, colpiti da fucilate che venivano sparate dinanzi l'entrata della caverna.

— I gitani!... — gridarono ad una voce, Carminillo e Pedro.

Gli studenti ritirarono i fucili e le cartuccere, si lasciarono scivolare dentro i due budelli raccogliendo le chitarre, che a nessun costo avrebbero abbandonate, e continuarono la discesa, gridando di quando in quando: — Zamora!... Janko!...

Una voce finalmente rispose, dopo un colpo di fucile: — Carminillo!... Pedro!

— Sì, siamo noi — risposero i due studenti. — Cessate il fuoco!

Calarono sulla roccia, ancora tiepida, poi in pochi salti furono presso l'entrata della caverna illuminata dal sole.

Il vento era cessato, e le nuvole di cenere non si alzavano quasi più.

Zamora stava seduta sul mahari che Janko teneva per la corda. Vedendo comparire i due studenti balzò a terra, corse loro incontro e li abbracciò. La brava giovane aveva gli occhi pieni di lagrime.

Il gitano invece aveva gli occhi pieni di fuoco. Non era contento lui di rivedere i due giovani. Aveva sperato di averli soffocati dentro la caverna, ed ora gli comparivano ancora dinanzi ed armati. Masticò una bestemmia, fece coricare il mahari presso l'uscita della caverna ed uscì per sorvegliare il cammelliere rimasto senza cavalcatura, ma ancora in grado di tentare qualche brutta sorpresa.

I due giovani si erano intanto precipitati su due otri che Zamora loro porgeva, avendoli uditi gridare: — Acqua!... Acqua!

Quando si furono dissetati si guardarono l'un l'altro con stupore.

— È proprio vero che siamo ancora vivi, Pedro? — chiese Carminillo. — Non riesco a convincermene.

— La morte ci ha sfiorati, e ben da vicino, amico; — rispose il giovane — ma per questa volta non ci ha voluti. Ripasserà più tardi a portarci via, molto tardi speriamo.

Poi volgendosi verso Zamora che visitava i sacchetti delle provviste appesi ai fianchi del mahari, disse: — Bella fanciulla, ora che abbiamo bagnato la gola, non si potrebbe stritolare qualche cosa? E dal naufragio dell'orca che non mangiamo.

— Siete fortunati: ecco delle gallette di miglio, dei fichi secchi e dei datteri — rispose la gitana.

— Una colazione da sultano marocchino!... — esclamò Carminillo, un po' ironicamente.

— Attacca, amico — disse Pedro. — Io non so più dove siano andate a finire le mie budella.

Dopo essersi accertati che Janko, sdraiato sulla sabbia, a pochi passi dall'uscita, faceva buona guardia col fucile appoggiato ad una piccola roccia che spuntava dal suolo, si sedettero presso il mahari, il quale si mostrava d'una docilità estrema, e diedero l'attacco ai viveri del riffano caduto sotto il colpo dei valienti e che giaceva ancora, mezzo sepolto fra le ceneri, entro la grande caverna.