I naufraghi del Poplador/15. Un grido sull'oceano

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15. Un grido sull'oceano

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15.

UN GRIDO SULL'OCEANO


Nel momento che il disgraziato genovese veniva inghiottito dall'oceano, un'onda gigantesca, una vera montagna d'acqua, si precipitava con furia irresistibile sul gran canotto, rovesciando sotto i banchi don Guzman e Josè.

Per alcuni istanti il gran canotto fu subissato d'acqua, poi, rollando furiosamente, si rialzò sulle onde, librandosi fra due abissi profondissimi che parevano pronti ad inghiottirlo e questa volta per sempre. Scese rapidamente, poi salì una nuova onda, indi ridiscese perdendo un barile d'acqua dolce e due casse di biscotti che avevano spezzate le corde.

Don Guzman e Josè, dopo aver battuto parecchie volte la testa contro i banchi, ed essere stati ruzzolati ora a babordo ed ora a tribordo, riuscirono ad alzarsi. Due grida formidabili, disperate, irruppero dai loro petti.

— Michele! Tenente!

I tremendi ruggiti del vento, i muggiti delle onde e gli scrosci delle folgori, soli risposero alle due chiamate.

— Michele! Michele! — ripetè don Pablo, fuori di sé.

Anche questa volta nessuna voce umana rispose alla sua. Cosa era avvenuto del povero tenente? Nuotava disperatamente fra le onde cercando il gran canotto, oppure era stato inghiottito.

Don Guzman, che sembrava un pazzo, si slanciò a prua, poi a poppa, indi tornò a prua senza più curarsi della Giovane Italia che minacciava di capovolgersi. Josè, che con grande pena frenava le lagrime, correva pure da prua a poppa, sporgendosi all'infuori, a rischio di venire anche lui strappato da un colpo di mare e portato in mezzo alle onde furenti.

Ma né l'uno né l'altro vedevano nulla, quantunque i lampi illuminassero l'oceano. Non c'erano che montagne d'acqua che continuavano a correre in tutte le direzioni, spinte da un vento che ad ogni istante cresceva di violenza, e che si urtavano con rabbia sempre maggiore.

— Perduto!.. Perduto!... — esclamò don Guzman, con voce rotta dai singhiozzi. — Michele!... Michele!...

— Cerchiamolo, capitano! — gridò Josè. — Abbiamo i remi; arranchiamo finché ci rimarrà un atomo di forza.

— Sì, cerchiamolo, cerchiamolo!

Legarono la barra del timone, poi presero i remi e si misero ad arrancare rabbiosamente, dirigendosi verso il luogo ove era scomparso il tenente. Le onde rendevano il cammino difficilissimo, ma quei due uomini che possedevano ancora un vigore non comune, riuscirono a spingere innanzi il gran canotto.

— Arranca, arranca, Josè! — gridava don Guzman, facendo sforzi sovrumani.

— Arranco, capitano — rispondeva il vecchio lupo di mare, che tendeva i muscoli in siffatta guisa che la pelle pareva sempre lì lì per iscoppiare.

Per cinque minuti la Giovane Italia, sempre salendo e discendendo le montagne d'acqua che si succedevano senza alcun intervallo, si avanzò verso l'ovest, ma poi, presa da una violentissima raffica, malgrado i colpi di remo dei due messicani, fu spinta verso il sud. Don Guzman mandò un vero ruggito di rabbia.

— Anche il cielo è contro di noi! — esclamò, mostrando i pugni alle tempestose nubi.

Lasciò il remo che oramai diventava inutile, si slanciò a poppa e gettò un'ultima chiamata. — Michele!... Michele!...

Un grido appena distinto fra i ruggiti del vento e gli scrosci delle folgori, si alzò fra le onde. Don Guzman afferrò strettamente il braccio di Josè.

— Hai udito? — gli chiese, con voce soffocata dall'emozione.

— Sì, capitano — rispose Josè. — È lui!

— Sì, sì, è lui!

— Michele!... Michele!...

Per qualche istante non ebbe risposta, ma poi si udì, fra gli urli della tempesta, una voce vigorosa a gridare:

— Ohe!... Dove siete?...

Quella voce era vicina, vicinissima; colui che aveva gridato, e che doveva essere senza dubbio Michele, non si trovava che a una trentina di passi dalla prua del canotto.

— Siete voi, Michele? — gridò don Guzman, che pareva fosse impazzito dalla gioia.

— In persona, capitano.

— Potete tener fermo per alcuni minuti?

— Sì, se i pescicani non mi mozzano le gambe.

— Arriviamo, Michele. Ai remi, Josè.

Per la seconda volta i due messicani si precipitarono sui remi. Nel medesimo istante che li tuffavano in acqua, un lampo abbagliante ruppe la profonda tenebra che opprimeva l'oceano. Don Guzman e Josè, a quella livida luce, scorsero l'intrepido tenente a sole quaranta braccia dalla prua del canotto, aggrappato ad un pezzo d'albero.

— Accorriamo! — gridò don Pablo.

Il gran canotto, spinto dai remi e dal vento settentrionale che non cessava di soffiare, s'avvicinò al tenente che si dibatteva furiosamente in mezzo alle onde, che cercavano di strapparlo dal pezzo d'albero che lo sorreggeva.

— Attenzione, Michele! — gridò don Guzman.

— Gettatemi una corda, capitano. Corpo di una spingarda! Non ne posso proprio più.

— Coraggio, amico!

Don Guzman lasciò il remo, s'impadronì d'un'alzanella lunga più di quaranta braccia e la gettò al nuotatore, il quale, abbandonato l'albero, la prese di volo.

— Tenete fermo, Michele!

— Non l'abbandono più — rispose il tenente, che ora appariva ed ora scompariva fra le onde.

Josè ed il capitano riunirono le loro forze e si misero a ritirare l'alzanella. Ben presto Michele, che malgrado i tremendi colpi di mare conservava una calma straordinaria e il suo solito buon umore, giunse presso il gran canotto. Un'onda lo prese e lo spinse sopra la poppa; don Guzman che lo attendeva, l'afferrò per le braccia e lo trasse a bordo.

— Auff! — esclamò il genovese, scuotendo l'acqua. — Che bagno! Bisogna accendere un cero a qualche Madonna per lo scampato pericolo. Corpo di una bombarda, mi credevo spacciato!

— Avete nulla di rotto? — gli chiese don Guzman con voce commossa e stringendogli vigorosamente le mani.

— Nulla, capitano, ma sono spossato.

— Ah mio tenente, io vi ho pianto per morto — disse Josè.

— Hai avuto torto, mio buon Josè. Un genovese non si lascia inghiottire dall'oceano, sia il Pacifico o l'Antartico, l'Indiano o l'Artico o l'Atlantico. Mi vanto di avere la pelle dura! Ma mi pare che la Giovane Italia sia mutilata. È scomparsa tutta la velatura con me?

— Tutta intera, Michele — disse don Guzman.

— Povera Giovane Italia! Mi dispiace, capitano; è un brutto augurio per la mia patria. E dove andiamo ora?

— Ci lasciamo portare dal vento e dalle onde.

— Verso il sud?

— Verso il sud, Michele.

— Addio, coste messicane.

— Non possiamo tener testa alla tempesta. Siete stanco, Michele, riposatevi.

— Riposarmi?

— Io e Josè siamo più che sufficienti per dirigere il canotto.

— Non ho bisogno di riposo, capitano. Fra dieci minuti sarò fresco e svelto come prima.

— Sturiamo una bottiglia — disse Josè. — Ne abbiamo ancora tre.

Malgrado i violenti rollìi, levò dalla famosa cassa una bottiglia, le mozzò il collo e la presentò a Michele che ne bevette alcuni sorsi.

— Grazie, Josè — disse poi, restituendola al mastro che la passò a don Pablo.

— Ora mi sento ancora capace di sfidare l'ira di questo furfante d'oceano niente pacifico. C'è nulla da spiegare?

— Non abbiamo nemmeno un pezzetto di tela — disse Josè. — E poi, dove trovare un altro albero?

— Un remo può servire.

— Abbiamo poche corde, tenente.

— Non si potrà far proprio nulla, adunque?

— Nulla — disse don Guzman.

— Ebbene, lasciamoci trasportare dalla tempesta. Quale direzione teniamo?

— Sud-sud-ovest.

— Diavolo! Ci allontaniamo sempre più dalle coste americane. Non vorrei naufragare su qualche isola di antropofaghi.

— Ci terremo lontani dalle isole, Michele — disse don Guzman. — Vuotiamo l'acqua, amici, che ne abbiamo parecchi barili nel canotto.

I tre intrepidi marinai, aiutandosi con un mastello e con due cappelli di tela cerata, gettarono fuori il liquido che minacciava di rovinare i viveri, ma fu fatica vana, poiché le onde continuavano a lanciare sopra i bordi spruzzi d'acqua. Verso le tre del mattino il vento cominciò a scemare di violenza, ma l'oceano non per questo si calmò. Le onde si succedevano alle onde e continuavano ad urtarsi con rabbia estrema, percuotendo il canotto a babordo, a tribordo ed a poppa.

Alle quattro, la massa dei vapori si squarciò verso l'est e un raggio di sole indorò quelle montagne d'acqua, ma subito scomparve e l'oscurità divenne tosto più profonda.

Un'ora più tardi un altro fascio di luce, facendosi strada fra le nere nubi che continuavano a correre disordinatamente pel cielo, illuminò il tempestoso oceano. Quasi subito il vento, che quantunque non soffiasse più come prima, era tuttavia ancora forte, scemò considerevolmente, diventando una fresca brezza.

— Buono — disse Michele, che non era capace di star zitto. — L'uragano se ne va.

— Ma avremo mare forte tutto il giorno — disse don Guzman.

— Non soffriamo il mal di mare, capitano.

Alle otto, malgrado il violento beccheggio, Josè. preparò una modesta colazione. Nell'aprire però una cassa di biscotti, con suo grande dolore vide che l'acqua era entrata rovinando più che mezzi pani. Visitò le altre due e le trovò in peggior stato.

— Ecco una disgrazia veramente grave — disse don Guzman. — Non ci rimangono viveri che per quindici giorni.

— In quindici giorni troveremo qualche nave, capitano — disse Michele.

— Ma sapete voi dove ci troviamo?

— No di certo.

— Forse siamo a qualche centinaio di leghe dalla via battuta dai vascelli.

— Quando avremo divorato l'ultimo biscotto, ci metteremo a pescare, don Guzman. L'Oceano Pacifico è ricco di pesci.

— Vedremo se si lasceranno prendere, però.

Durante l'intera giornata, quantunque il vento fosse ancora scemato, l'oceano si mantenne agitatissimo, facendo orribilmente traballare il gran canotto. Michele tentò di issare un remo adattandovi una coperta, sperando di ritornare verso l'est e di diminuire i violentissimi rollìi, ma non essendovi a bordo corde sufficienti, albero e vela caddero alla prima raffica. Verso il tramonto, essendosi le onde nuovamente abbassate e cessato del tutto il vento, don Guzman e Michele si stesero sulle loro coperte per gustare un po' di sonno.

Josè vegliò fino alla mezzanotte senza che accadesse alcunché di straordinario. Poi lo surrogò il capitano e alle quattro del mattino, quest'ultimo fu surrogato dal tenente.

Il genovese erasi assiso a poppa, colle mani sulla barra del timone da una sola mezz'ora, quando un urlo rauco, foltissimo, spaventevole, s'elevò improvvisamente ad un cinque o seicento metri dal canotto, mescendosi cogli ultimi muggiti dell'oceano.