I naufraghi del Poplador/24. La fuga

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24. La fuga

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23. La morte del mutoi Conclusione

24.

LA FUGA


La folla, straordinariamente accresciuta, occupava ancora la piazza descrivendo un ampio semicerchio le cui estremità si appoggiavano alla capanna del mutoi. C'erano guerrieri, vari capi riconoscibili al diadema di penne e ai numerosi tatuaggi, molti vecchi, molte donne e molti ragazzi. Conservavano il più profondo silenzio e parevano tutti molto mesti. Nel mezzo era la salma del mutoi.

In quell'istante un forte drappello di guerrieri armati, entrò nella piazza. Tutti quegli uomini erano tatuati, segno chiarissimo che erano tutti coraggiosi, e ad un lato della testa portavano i capelli intrecciati e ornati di denti di marsuino e di minute pallottole di vetro. Don Pablo, appena li ebbe scorti, li guardò con ansietà.

— Cosa avete? — chiese Michele, che se n'era accorto.

— Quegli uomini sono vendicatori — rispose il capitano.

— Come lo sapete voi?

— I capelli intrecciati e adorni di denti me lo dicono. Ogni polinesiano che ha una vendetta da compiere, porta quell'acconciatura.

— E che importa?

— Lo saprete fra poco. Ah!...

Il drappello, dopo essersi fermato un istante dinanzi al corpo del mutoi, aveva proseguito il cammino dirigendosi verso la capanna.

— Vengono forse per massacrarci? — chiese Michele.

— No, perché siamo ancora tabuati, ma si metteranno di guardia dinanzi alla porta — rispose don Pablo.

— E come faremo a fuggire?

— Non lo so, Michele.

— Se questa notte facessimo una improvvisa sortita? Voi mi avete detto che nessuno ardisce toccare una persona tabuata.

— È vero, ma i vendicatori potrebbero sfidare le ire del loro dio e ammazzarci.

— Mi viene un'idea, capitano. Avete osservato che distanza corre fra questa capanna e la foresta?

— Un trecento passi, tenente.

— Se questa notte si aprisse un bel buco nella parete?

— L'idea è buona, ma bisognerà agire con una estrema prudenza, poiché i selvaggi hanno l'udito molto sottile e la vista assai acuta.

— Ma troveremo il sentiero che conduce al gran canotto? — chiese Josè.

— Bah! Lo troveremo — disse Michele. — Sarà piuttosto il gran canotto, ancora nel piccolo seno? Se i selvaggi ce lo avessero rubato? Per Bacco! Che brutta sorpresa!

— Speriamo che ci sia ancora — disse il capitano. — Ora corichiamoci e riposiamoci un po'. Verso la mezzanotte agiremo.

Si stesero sulle stuoie e quantunque molte inquietudini li tormentassero, in breve tempo si addormentarono profondamente.

Quando don Pablo si svegliò, una fitta oscurità regnava nella capanna e un silenzio perfetto al di fuori.

Si avvicinò alla porta e alzò lentamente la stuoia. Dinanzi l'abitazione, una cinquantina di guerrieri vegliavano seduti dinanzi ad un gigantesco fuoco.

— Deve essere molto tardi — mormorò. — Possiamo agire.

Svegliò Michele e Josè che russavano beatamente l'uno accanto all'altro.

— Affrettiamoci, amici — disse. — Prima dell'alba bisogna essere molto lontani.

— Sono pronto — rispose Michele.

— Mettiti dietro la stuoia e tieni d'occhio i guerrieri — disse il capitano a Josè. — Al primo movimento sospetto vieni ad avvertirci.

— Fidatevi di me — rispose Josè, occupando il posto indicatogli.

Michele e don Pablo afferrarono i loro coltelli e si misero a scandagliare la parete opposta alla porta. Si convinsero subito che non offriva molta resistenza essendo i pali molto vecchi e imperfettamente uniti.

— Fra venti minuti saremo liberi — disse il tenente.

Si misero febbrilmente all'opera, cercando di fare meno rumore che era possibile. Avevano già tagliato un palo, quando sentirono Josè abbandonare precipitosamente il suo posto.

— Che succede? — chiese Michele con un filo di voce.

— Fermatevi, tenente. Due selvaggi si sono alzati e avvicinati alla capanna.

— Che abbiano udito qualche rumore? Maledetti antropofaghi!

— Zitto — disse don Pablo. — Rioccupa il tuo posto, Josè.

Il mastro si affrettò a ubbidire. Dopo un minuto, che parve lungo quanto un secolo, avvertì i compagni che potevano rimettersi al lavoro. Ben presto un altro palo fu strappato con infinite precauzioni, poi un altro ancora.

Non occorreva di più; l'apertura era sufficiente per lasciar passare un uomo.

Michele sporse la testa e guardò attentamente dinanzi, a destra e a sinistra. A due metri di distanza c'era la palizzata che poteva essere superata con facilità essendo alta poco più di un metro, e al di là si vedeva una oscurità perfetta, segno evidente che non vegliavano dei guerrieri. Tese gli orecchi ma non udì che il lieve stormire delle foglie dei banani, agitate dal venticello notturno.

— Possiamo uscire — disse a don Pablo.

Chiamarono Josè, si posero il coltello fra i denti e i fucili sotto il braccio e dopo aver ascoltato un'ultima volta, uscirono. Michele si arrampicò silenziosamente sulla palizzata e guardò. Non c'era nessuno.

— Avanti — mormorò.

La palizzata fu superata e si trovarono tutti e tre dall'altra parte. Si gettarono subito a terra e si misero a strisciare verso il bosco che appariva confusamente a soli trecento passi di distanza. Pochi minuti dopo si cacciavano sotto la fitta ombra degli alberi.

— Addio antropofaghi — disse Michele, volgendosi verso i selvaggi che vegliavano accanto al fuoco. — Ora vi sfido a prendermi.

— Orizzontiamoci — disse don Pablo. — Poi via di galoppo.

Guardò attentamente le stelle e specialmente la Croce del Sud che scintillava superbamente sul fondo oscuro del cielo, poi si mise rapidamente in cammino seguendo una specie di sentieruzzo.

L'oscurità era così fitta, sotto quegli alberi dal denso fogliame, che riusciva quasi impossibile marciare diritto; per di più il sentieruzzo era così ingombro di sterpi e di tronchi e rami, da rendere la marcia assai faticosa e molto lenta.

Nondimeno i tre naufraghi camminavano senza fermarsi e senza esitare, spronati dalla paura di venire da un istante all'altro inseguiti. Il capitano camminava alla testa, gettando, quando vedeva nel fogliame un po' di spazio libero, uno sguardo sulle stelle onde guidarsi; Michele e Josè gli venivano dietro coi fucili in mano, gli occhi ben aperti e gli orecchi tesi.

Venti volte essi si arrestarono credendo di vedere sotto i fitti alberi dei vaghi bagliori. Avevano già percorso un bel tratto di via, quando Michele si abbassò bruscamente mormorando:

— Fermi!

— Cosa c'è? — chiese don Pablo, avvicinandoglisi.

— Ho udito un fruscio sulla vostra destra.

— Soffia un po' di vento, tenente — disse Josè — Forse l'avete scambiato collo stormire delle foglie.

— No, non mi sono ingannato, Josè.

Rimasero alcuni istanti immobili, curvi verso terra, rattenendo il respiro, poi, non udendo nulla, si alzarono.

— Eppure, — mormorò Michele, — non era lo stormire delle foglie.

Si rimisero in marcia, ma fatti pochi passi tornarono a fermarsi. Questa volta tutti e tre avevano udito distintamente un ramo spezzarsi a breve distanza.

— Siamo spiati — disse don Pablo.

— Non c'è più alcun dubbio — rispose Michele.

— Aspettatemi qui.

Don Pablo abbandonò il sentiero ed entrò nel bosco, avanzandosi a carponi fra i fitti cespugli e girando attentamente attorno a sé gli sguardi, ma nulla vide né alcun rumore gli giunse agli orecchi all'infuori del sussurrìo delle frondi.

Stette alcuni minuti celato sotto un macchione, sempre ascoltando, poi raggiunse i compagni che l'attendevano in preda alla più viva inquietudine.

— Nulla? — chiese Michele.

— Nulla — rispose egli. — Ma stiamo in guardia, compagni, e affrettiamo il passo. Sento che un pericolo ci minaccia.

Ripresero le mosse camminando con celerità, girando ad ogni istante la testa verso i due margini del bosco. Ad oriente cominciava ad albeggiare, quando Josè mandò una esclamazione.

— Che hai? — chiese don Pablo.

— Guardate laggiù, capitano, cosa pende da quel ramo.

— Il nostro porco!

— Allora siamo vicini all'oceano e sulla buona strada — disse Michele. — Fra dieci minuti giungeremo al gran canotto e...

Non terminò. Urla feroci erano improvvisamente scoppiate in mezzo alla foresta.

— I selvaggi! — esclamò Josè.

Don Pablo si volse rapidamente indietro e vide alcuni uomini seminudi, armati di lance e di mazze, correre sotto i grandi alberi.

— Fuggiamo! Fuggiamo! — gridò.

I tre naufraghi partirono di corsa saltando tronchi d'albero, cespugli, fossati, mentre i selvaggi si slanciavano sul sentiero agitando le armi e urlando su tutti i toni.

— Coraggio! — gridava don Pablo. — Coraggio, Michele, animo, Josè! Ancora uno sforzo e vedremo l'oceano.

Ma i selvaggi erano più svelti e più leggeri, e in brevi istanti due di loro furono a pochi passi dietro Josè che non ne poteva più. Michele, che pur fuggendo si voltava di frequente, vedendo il povero uomo in pericolo si arrestò un istante, mirò e fece fuoco.

Un selvaggio cadde fulminato. Il compagno e tutti gli altri, spaventati, si fermarono. In quell'istesso momento si udì il capitano gridare: — L'oceano!... L'oceano!...

Pochi minuti dopo i tre naufraghi giungevano sulle sponde dell'oceano e precisamente in quell'istesso seno ove erano sbarcati. Ma là li aspettava una brutta sorpresa: il gran canotto era scomparso!

— Maledizione! — esclamò Michele.

— Siamo perduti! — mormorò Josè.

— No, no, — gridò don Pablo, — siamo salvi! Una nave, una nave!... Dio sia ringraziato!

Infatti un bel brigantino navigava a meno di un chilometro dalla costa, dirigendosi verso il nord.

— Dei segnali! Dei segnali! — gridò Michele.

Josè scaricò il suo fucile, poi si levò la giacca e la fece vivamente ondeggiare. Subito si videro degli uomini correre sulla tolda del brigantino e al largo echeggiò un colpo di fucile. I tre naufraghi non poterono vedere altro, poiché furono costretti a volgersi verso il bosco. I selvaggi, che poco prima si erano arrestati, ritornavano alla carica. Senza dubbio si erano accorti che stavano per perdere la loro preda.

— Coraggio! — gridò il capitano ai suoi compagni che caricavano in fretta i loro fucili.

Un capo, riconoscibile pei suoi numerosi tatuaggi e pel diadema di penne, si slanciò verso i naufraghi agitando una mazza. Don Pablo puntò il fucile e fece fuoco. Il selvaggio, colpito in pieno petto, girò due volte su se stesso, battè l'aria colle mani, poi cadde contorcendosi disperatamente.

Gli antropofaghi che lo seguivano rientrarono precipitosamente nella foresta, ma poco dopo tornavano a uscire. Josè e Michele spararono nel più fitto del gruppo.

Per la seconda volta gli assalitori si ripararono nel bosco.

Ad un tratto un nuovo drappello di selvaggi sbucò sulla spiaggia, minacciando di cogliere di fianco i naufraghi.

Don Guzman, che aveva ricaricato il fucile, fece fuoco sui nuovi arrivati, ma questi, punto spaventati, si precipitarono innanzi incoraggiandosi con spaventevoli urla.

Già non erano più che a venti passi, quando otto o dieci detonazioni scoppiarono a breve distanza dalla costa.

Il drappello si arrestò, esitò, poi fuggì lasciando dei morti e dei feriti. Don Guzman, Michele e Josè si volsero. Una gran scialuppa montata da dodici marinai si avanzava rapidamente verso il piccolo seno.

— Urrah! Urrah!... — gridò Michele.

— Urrah! — risposero i marinai della scialuppa.

Poco dopo i tre naufraghi, miracolosamente scampati allo spiedo, navigavano verso il brigantino che si era messo in panna a tre sole gomene dalla costa.