I pescatori di balene/X. La scogliera
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X.
LA SCOGLIERA
L'uragano non cessava un solo momento, anzi tendeva a diventare ancora più terribile. Un vento indiavolato, irresistibile, spazzava senza posa l'oceano ora fischiando e ora muggendo, lacerando il nebbione e sconvolgendo le acque che s'alzavano in forma di montagne, urtandosi con mille muggiti. I ghiacci, che pareva crescessero ad ogni istante di numero, orribilmente scrollati, perdevano ad ogni tratto l'equilibrio, si sprofondavano, tornavano a galla, si rovesciavano ora su un fianco e ora sull'altro e si frantumavano con scoppi paragonabili a quelli delle folgori o delle artiglierie.
In mezzo a tutti quei fragori, che diventavano ognora più intensi, di quando in quando si udiva un grido gutturale seguito da un fischio acuto, tagliente, che non era prodotto nè dal vento, nè da alcun abitante dell'oceano, ma che pure pareva uscisse dalle onde. Quel grido e quel fischio erano emessi da Koninson.
Il fiociniere, strappato dal bompresso dal colpo di mare che aveva rovesciato l'equipaggio, era stato portato subito lontano dal «Danebrog» in mezzo agli elementi scatenati, prima che avesse avuto il tempo di aggrapparsi alle corde e di chiamare aiuto.
Il povero giovanotto, quantunque abituato fino dall'infanzia ai freddi intensi delle regioni polari e quantunque fortissimo nuotatore, nel trovarsi tutto d'un colpo immerso in quelle acque ghiacciate e fra quelle onde di cui alcune superavano in altezza quindici metri, aveva perduta la testa e aveva bevuto parecchio, ma ben presto aveva riacquistato il suo sangue freddo e con un vigoroso colpo di tallone era risalito a galla girando attorno uno sguardo colla speranza di rivedere il «Danebrog». Ma ahimè! Il vascello, spinto dal vento che soffiava con crescente furia, era ormai scomparso nel fitto nebbione. Provò una stretta al cuore; si credette per sempre perduto.
Lanciò due o tre grida di aiuto, ma furono soffocate dalle urla del vento, dai muggiti delle onde e dai cozzi dei ghiacci.
— È finita — mormorò, battendo i denti per il freddo e per il terrore. — Che fare ora? Dove dirigersi?
Ad un tratto si ricordò dell'urto avvenuto e dei muggiti che avevano segnalato la vicinanza di una costa o per lo meno di una scogliera. Tese gli orecchi e alla sua destra udì ancora rompersi le onde e aguzzando gli occhi vide una lunga distesa di spuma biancastra.
— Animo, Koninson — disse. — La terra è vicina, cerchiamo di guadagnarla. Poi vedremo ciò che si potrà fare.
Ringagliardito dalla speranza, si mise a lottare contro le onde che l'assalivano da tutte le parti, ora spingendolo a destra, ora a sinistra, ora innanzi ed ora indietro, ora portandolo a grande altezza ed ora precipitandolo in profondi baratri dai quali usciva a prezzo di immani fatiche. E malgrado ciò, nella previsione che qualche suo compagno fosse stato pure strappato dalla tolda della nave, gettava di quando in quando un grido ed un fischio.
Aveva percorso circa cento metri verso sud, cioè verso il luogo ove l'oceano si rompeva con furia estrema, quando dall'alto di un'onda vide a breve distanza degli oggetti neri apparire fuori dell'acqua.
— Tò! Dei rottami! — esclamò. — Che il «Danebrog» sia andato a picco? Dio non lo voglia!
Si rimise a nuotare con disperata energia, cercando di evitare i ghiacci che potevano stritolargli la testa o sfondargli le costole e risalì un'altra onda. Anche questa volta, attraverso la nebbia, scorse degli altri oggetti neri, somiglianti a punte aguzze e contro i quali l'oceano si frangeva.
— La costa! — esclamò. — Quelli là sono scogli! Ah se potessi approdare senza sfracellarmi! Forse...
Non terminò la frase. Fra i muggiti delle onde aveva udito distintamente un fischio acuto e poi un grido umano.
— Ho un compagno vicino? — si chiese.
Con un colpo vigoroso si sollevò sull'onda e guardò attentamente innanzi a sè, ma nulla vide. Allora gettò un grido altissimo e si arrestò trattenendo il respiro e tendendo gli orecchi.
Nessuno rispose alla sua chiamata.
— Mi sono senza dubbio ingannato — mormorò. — Io solo sono stato strappato dalla tolda del «Danebrog». Animo, ragazzo, e attento agli scogli!
Quantunque il freddo a poco a poco gli irrigidisse le membra e le vesti, diventate pesantissime, lo impacciassero assai, continuò ad avanzare. Ad un tratto, in un momento in cui il vento taceva, udì il fischio di prima.
— Chi fischia? — gridò con quanta voce aveva in petto.
— Ohè! Del «Danebrog»! — gridò una voce poco lontana.
— Ma dove siete? — chiese Koninson, dibattendosi gagliardamente contro le onde che minacciavano di trascinarlo verso un masso di ghiaccio.
— Qui, che bevo allegramente! — rispose la voce di prima. — Ma chi siete voi? Un marinaio del «Danebrog» forse?
— Sono Koninson, il fiociniere del «Danebrog».
Uno scroscio di risa si udì fra i fischi del vento. Koninson sbarrò gli occhi.
— Si ride con questo freddo e questo mare indiavolato! — esclamò. — Ma chi siete voi?
— Ehi, ragazzo, poggia un pò che il tuo tenente ti aspetta, — disse la voce.
— Siete voi, signor Hostrup?
— In carne e ossa, fiociniere.
— Anche voi strappato dal «Danebrog» da quella dannata ondata?
— Sì, fiociniere. Avvicinati che ti aspetto, ma sbrigati perchè la gran tazza bolle orribilmente.
Koninson, facendo sforzi disperati, si avanzò nella direzione onde aveva udita la voce e poco dopo si trovò a pochi passi dal tenente Hostrup, il quale nuotava tranquillamente come si fosse trovato in un lago, anzichè in un mare furibondo.
— Ah! Quale consolazione provo nel vedervi, signore! — disse Koninson, avvicinandoglisi.
— Briccone! Bella consolazione trovarmi in mezzo a queste onde che mi pestano e mi gelano le carni. E del «Danebrog», cos'è successo?
— Non ne so più di voi, signor Hostrup. Dopo che fui portato via non lo vidi più.
— Che sia andato a picco? Mi ricordo di un urto violentissimo.
— Non è possibile. Il «Danebrog» ha le costole dure e poi non sarebbe scomparso tutto d'un colpo.
— Speriamo, Koninson, che si sia messo in salvo. Ma chissà mai dove lo ha portato l'uragano e se a bordo si sono accorti subito della nostra scomparsa!
— Credete che tornerà a cercarci?
— Ne sono certo, ma quando il mare e il vento si saranno calmati.
— E intanto cosa faremo noi?
— Guadagneremo la scogliera che ci è vicina.
— E là moriremo probabilmente di freddo e di fame.
— Dietro la scogliera vi sarà la costa americana, Koninson, ne sono certo. Sei stanco?
— Stanco no, ma ho le membra quasi irrigidite e le vesti così pesanti che fatico assai a mantenermi a galla. Ah, se potessi levarmele di dosso!
— Non farlo, Koninson. Come resisterai dopo a questo freddo?
— Ma se non troviamo da asciugarci…
— Bah! Sulla costa americana gli alberi non mancano.
— Ma chi li accenderà?
— Ho la mia pipa e il mio tabacco, Koninson, e tu sai che assieme a queste due cose va sempre unito l'acciarino.
— E anche un pezzo d'esca, spero.
— Nella mia scatoletta ho anche l'esca. Ora bada a non romperti le costole contro la scogliera; siamo a meno di una gomena dai primi scogli. Avanti, fiociniere!
I due disgraziati marinai del «Danebrog», ora avvicinati in modo da urtarsi, ed ora separati violentemente, si diressero verso la scogliera che, come sì disse, era vicinissima. Ben presto entrarono in mezzo ad una candidissima spuma piena di ghiacciuoli così acuti che laceravano le membra. Qui le onde si frangevano e si rifrangevano con tale furore contro gli scogli, che i due nuotatori si trovarono grandemente imbarazzati a mantenersi a galla. C'erano dei momenti che entrambi scomparivano.
— Coraggio, fiociniere! — gridò ad un tratto il tenente che non perdeva, malgrado tutto quel diavolìo, la sua abituale flemma. — Attento alle punte!
— Ho paura! — disse Koninson battendo i denti. — Questi muggiti mi fanno perdere la testa.
— Calma e coraggio, Koninson.
— Verremo stritolati, tenente. Guardate che punte aguzze.
— Nuota contro corrente, fiociniere. L'onda ci spingerà egualmente a terra.
Erano allora a sole cinquanta braccia dalla scogliera, le cui punte nere e sottili, al solo vederle, mettevano i brividi. L'oceano, frangendosi contro, produceva un baccano orribile: erano spaventevoli muggiti, scoppi violenti che parevano colpi di cannone, scricchiolii, fischi, cozzi. Colonne d'acqua si slanciavano furiosamente in alto e ricadevano con incredibile violenza rompendo le ondate, le quali talora, chissà mai per qual causa, formavano dei vortici e gran numero di ghiacci si frantumavano scagliando ovunque i loro pezzi, di cui parecchi di non piccole dimensioni.
Un mezzo minuto più tardi i due nuotatori assordati, pesti, acciecati e mezzi soffocati, erano quasi sopra gli scogli. Un'onda li sollevò a prodigiosa altezza, e dopo averli furiosamente scossi, li trascinò sopra le punte aguzze scagliandoli impetuosamente contro una rupe che usciva parecchi metri fuori da quelle acque irritate. Si udirono, fra i muggiti dell'oceano e i cozzi dei ghiacci, due grida, poi più nulla. Erano stati sfracellati sul colpo?
Per alcuni istanti la scogliera apparve deserta, poi fra la spuma che la copriva incessantemente, apparve una forma umana: era il tenente Hostrup. S'alzò quanto era lungo aprendo ben bene le gambe per non venire portato via dal mare, si tastò lentamente le costole, poi le gambe, indi le braccia, poi starnutò sonoramente.
— Nulla di rotto! — disse, con una certa compiacenza. — Per Bacco! C'è qualcuno che mi protegge. Ma quel povero ragazzo, dov'è cacciato?
Gettò uno sguardo all'intorno ed a pochi passi vide un uomo dibattersi contro le onde.
— Ehi, Koninson, coraggio, ragazzo mio, e, se hai nulla di rotto, alzati.
— Ah, mio tenente! — esclamò il fiociniere, battendo i denti per il freddo e per l'emozione. — Che brutto approdo!
— Sei intero?
— Sì, ma tutto ammaccato.
— Poco di male, allora. Vieni, amico, cerchiamo di guadagnare un pezzo di terra meno umida e meno fredda. Brr!... Ancora dieci minuti e noi geleremo.
Koninson si strinse addosso i panni che sgocciolavano da tutte le parti e, aggrappandosi alle sporgenze delle roccie, lo raggiunse.
— Cosa facciamo? — chiese.
— Laggiù attraverso la nebbia, non ti sembra di vedere una massa, oscura alla base e biancastra alla cima?
— Sì, tenente.
— Che sarà?
— La costa americana.
— Tale è anche la mia opinione. Ragazzo mio, bisogna farsi animo e raggiungerla.
— Ma questa scogliera mi pare isolata.
— Torneremo a saltare in acqua.
— Con questo freddo?
— Ci scalderemo prima.
— A qual fuoco?
— Non parlare di fuoco ora. Bisognerà accontentarsi di un esercizio violento. Imitami, Koninson.
Così dicendo il tenente si era messo a saltare come una capra agitando pazzamente le braccia Koninson comprese che solamente quella bizzarra ginnastica poteva arrestare il gelo che a poco a poco gli irrigidiva le membra.
— Ora che le braccia e le gambe funzionano discretamente bene, andiamocene! — disse il tenente dopo un quarto d'ora. — Spicciamoci, Koninson, e bada di tenerti vicino a me.
— Non ci fracasseremo le costole questa volta?
— Speriamo che la costa abbia un pendio più dolce e sia priva di scogli.
Attraversarono la scogliera che misurava dieci o dodici metri di larghezza su venticinque o trenta di lunghezza e scesero dall'altra parte. Ivi il mare era più tranquillo, ma un gran numero di ghiacci lo ingombravano e tutti coperti da un alto strato di neve.
Koninson si arrestò indeciso.
— Farà un freddo terribile lì dentro!— disse.
— La traversata durerà poco, fiociniere — rispose il tenente. — Non abbiamo che sei o settecento metri da percorrere.
— E se quei ghiacci ci pigliano in mezzo e ci schiacciano la testa?
— Cercheremo di evitarli. Orsù, non tardare un secondo di più, Koninson, se ti preme la pelle. Guarda, la scogliera sta per essere spazzata da quell'onda mostruosa. Coraggio, fiociniere, che Dio non ricuserà di aiutarci.
Il tenente saltò in acqua per il primo; Koninson, dopo un pò di esitazione, lo seguì. Credettero tutti e due di morire gelati tanto quell'acqua era fredda, ma si fecero animo e ricominciarono a nuotare affrettando i movimenti.
— Tene...nte — balbettò Koninson. — Mi... pare che... mi si schiacci... il petto...
— Nuota… forte, fiociniere... La costa non è lontana.
— Auff... ne ho... per una settimana e...
— Sta zitto... conserva le... tue forze...
Ansando, rantolando, l'uno vicino all'altro, i due disgraziati avanzavano verso i ghiacci che pareva volessero ostruire il passo. Ben presto si trovarono fra due «palks» di non piccole dimensioni i quali dondolavano perpendicolarmente scricchiolando ad ogni colpo. Il tenente si cacciò arditamente nel canale da essi formato, spintovi anche dalle onde che, superata la scogliera, correvano ad infrangersi verso la costa, la quale era difesa da un grande banco tagliato in forma di sperone. Koninson lo seguì.
Passato il canale, si cacciarono entro un altro formato da due piccoli «icebergs», dalle cui cime cadevano ad ogni istante pezzi di ghiaccio così sottili e acuti che parevano lame di coltelli. Più di uno cadde addosso ai nuotatori, lacerando le loro casacche.
Dopo dieci buoni minuti giunsero finalmente ad una sola gomena dal banco di ghiaccio. Dietro a questo appariva confusamente, fra il nebbione, la costa che era senza dubbio quella americana. Era alta, dirupata, coperta da uno strato di neve e, a quanto pareva, deserta. Però sulla cima di quelle rupi, il tenente credette di vedere delle piante.
— Co...rag...gio, Koni...nson! — balbettò.
— A...van...ti — rispose il fiociniere, che non ne poteva proprio più e che aveva le braccia paralizzate.
Fecero un ultimo e disperato sforzo e si avvicinarono ancor più.
Finalmente un'onda li prese e li portò abbastanza tranquillamente sul banco di ghiaccio ove rotolarono senza forze e irrigiditi, in mezzo alle nevi ed ai ghiacciuoli.
Erano allora le 6 del mattino.