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I pirati della Malesia/Capitolo XXIII - La rivincita del rajah Brooke

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Capitolo XXIII - La rivincita del rajah Brooke

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Capitolo XXIII - La rivincita del rajah Brooke
Capitolo XXII - Le due prove Capitolo XXIV - A bordo del Realista

Capitolo XXIII
La rivincita del rajah Brooke


Nell’udire quei colpi di fucile e quelle grida, la Tigre della Malesia aveva fatto un salto verso la porta della capanna, mandando un vero ruggito.

— Il nemico qui!... — esclamò coi denti stretti. — Qui, in questo momento!... James Brooke, guai a te!

Tirò la scimitarra, terribile arma nelle mani di quel formidabile uomo, e si slanciò fuori del forte, gridando:

— A me, tigrotti di Mompracem!...

Yanez, i pirati, Kammamuri e persino i due fidanzati si slanciarono dietro a lui colle armi in pugno. La Vergine della Pagoda aveva anch’ella impugnato una scimitarra, pronta a combattere a fianco dei suoi benefattori.

Aier-Duk ed i suoi otto uomini discendevano, correndo, la china che menava alla baia.

Dietro di loro, fra gli alberi della foresta, Sandokan vide una grossa squadra d’uomini armati, alcuni bianchi, altri indiani e dayachi.

— All’erta, pirati di Mompracem! il nemico! — gridò Aier-Duk precipitandosi verso la barca che era arenata sulla riva.

Sei o sette colpi di fucile rintronarono sotto la foresta, ed alcune palle caddero in acqua.

— Le truppe del rajah Brooke! — esclamò Sandokan. — E proprio in questo momento, quando io credevo che la mia missione fosse terminata! Ebbene, James Brooke, vieni pure a sfidarmi! La Tigre della Malesia non ti teme!

— Che cosa facciamo, Sandokan? — chiese Yanez.

— Combatteremo, fratello, — rispose il pirata.

— Ci bloccheranno.

— Che importa?

— Siamo sopra un’isola, fratello mio.

— Ma dentro un forte.

Aier-Duk ed i suoi uomini, attraversato rapidamente il braccio di mare, erano sbarcati sull’isola. Sandokan e Yanez si slanciarono verso il bravo Dayaco che aveva un braccio insanguinato.

— Sei stato sorpreso? — gli chiese Sandokan.

— Sì, capitano, ma riconduco tutti i miei uomini.

— Quanti sono i nemici?

— Un trecento almeno.

— Chi li comanda?

— Un bianco, capitano.

— Il rajah?

— No, non è il rajah; è un luogotenente di marina.

— Un uomo di alta statura, con due lunghi baffi rossi? — chiese Yanez.

— Sì, — rispose il dayaco. — Ed ha con sé una quarantina di marinai europei.

— E il luogotenente Churchill.

— Chi è questo Churchill? — chiese Sandokan.

— Il comandante del fortino che domina la città di Brooke.

— E non hai veduto il rajah? — domandò la Tigre ad Aier-Duk.

— No, capitano.

Sandokan digrignò i denti.

— Che hai? — chiese Yanez.

— Temo che il maledetto ci assalga dal mare, — osservò il pirata.

— Per Giove! — esclamò Yanez, aggrottando la fronte. — Saremo presi fra due fuochi!

— Ma ci batteremo, e quando non avremo più né polvere né palle, andremo innanzi colla scimitarra e col kriss.

Il nemico, che si era arrestato a seicento metri dalle rive della baia, cominciava allora ad avanzare, tenendosi nascosto dietro agli alberi ed ai fitti cespugli. La moschetteria, per un istante sospesa, ricominciò a scrosciare.

— Per Giove! — esclamò Yanez, — grandina!

— Ritiriamoci nel forte, — disse Sandokan. — È solido e resisterà alle palle di fucile.

I pirati, Tremal-Naik, Ada e Kammamuri rientrarono nel recinto, dopo però aver affondato la barca, onde non potesse giovare al nemico per passare il braccio di mare.

La porta d’entrata fu barricata con enormi macigni, delle numerose feritoie vennero aperte nella palizzata, che era tanto alta da sfidare una scalata, indi ogni combattente, eccettuata la Vergine della Pagoda, che venne condotta nella gran capanna, prese il posto che meglio gli conveniva.

— Fuoco, tigrotti di Mompracem! — tuonò Sandokan, che si era arrampicato con Yanez, e sette od otto dei più arditi pirati, sul tetto della gran capanna.

Al comando rispose l’urlo di guerra dei pirati, seguito da parecchi colpi di fucile.

— Viva la Tigre della Malesia! Viva Mopracem!

Il nemico, continuando a sparare, era giunto presso la spiaggia. Alcuni uomini cercavano di abbattere alberi, forse coll’intenzione di fare una zattera e approdare all’isola.

Ben presto s’accorsero però che non era cosa tanto facile avvicinarsi ad un fortino, difeso dai temibili pirati di Mompracem.

Scariche micidialissime partivano dal recinto e con una rapidità tale ed una precisione così matematica, che in pochi minuti quindici o sedici uomini giacevano a terra senza vita.

— Fuoco, tigrotti di Mompracem! — si udiva gridare, ad ogni istante, dalla Tigre della Malesia.

— Viva la Tigre!... Viva Mompracem! — rispondevano i pirati, e scaricavan le loro armi dirigendo le palle nel più fitto della massa nemica.

I soldati del rajah ben presto si videro costretti a retrocedere fino al bosco e a celarsi dietro ai tronchi degli alberi.

Quella ritirata si era appena effettuata, quando dalla sponda opposta della baia apparve, all’incerto chiarore delle stelle, un’altra grossa truppa d’uomini.

Una terribile grandinata di palle cadde quasi subito sul forte e sul tetto della gran capanna, sulla cima della quale, ritto, col fucile in mano, tenevasi Sandokan.

— Per Giove! — esclamò Yanez, che udì fischiare alcune palle ai suoi orecchi. — Altri nemici!

— E anche delle barche, — disse Sambigliong che gli era vicino.

— Dove?

— Guardate laggiù, all’estremità della baia. Sono due, quattro, sette, una vera flottiglia!...

— Mille tuoni! — esclamò il portoghese. — Ehi! fratello mio!

— Che cosa vuoi? — chiese Sandokan che stava caricando la sua carabina.

— Stiamo per venire presi.

— Non hai un fucile tu?

— Sì.

— E una scimitarra e un kriss?

— Certamente.

— Ebbene, fratello, noi ci batteremo.

Salì sulla cima del tetto, senza darsi pensiero delle palle che gli fischiavano attorno e tuonò:

— Tigrotti di Mompracem, vendetta! Lo sterminatore dei pirati si avvicina! Tutti sulle palizzate e fuoco su quei cani che ci sfidano!

I pirati abbandonarono precipitosamente le feritoie e si arrampicarono come gatti sul recinto.

Tremal-Naik, Sambigliong, Tanauduriam e Aier-Duk li dirigevano, incoraggiandoli colla voce e coll’esempio.

Ben presto la moschetteria ricominciò, ma con una furia incredibile. Sotto ogni albero della costa balenava un lampo, seguito da una detonazione. Centinaia e centinaia di palle s’incrociavano nell’aria con fischi lamentevoli.

Di quando in quando, fra quel baccano che continuava a crescere, si udivano la tuonante voce della Tigre della Malesia, le urla dei tigrotti, i comandi degli ufficiali del rajah e le urla selvagge degli indiani e dei dayachi. Talvolta però non erano urla di trionfo, né di comando, erano urla strazianti di feriti, di moribondi.

D’improvviso, verso il mare, si udì una fortissima detonazione, che coprì lo scrosciare della moschetteria. Era la possente voce del cannone.

— Ah! — esclamò Sandokan. — La flotta del rajah!

Guardò verso l’Oceano. Una grande ombra entrava nella baia, accostandosi all’isola; due fanali, verde l’uno, rosso l’altro, brillavano ai suoi fianchi.

— Ehi! Sandokan!... — gridò una voce.

— Coraggio, Yanez! — rispose Sandokan.

— Per Giove! Abbiamo una nave alle spalle.

— Se occorre l’abborderemo e...

Non finì. Una fiamma era balenata a prua della nave che entrava nella vasta baia e una palla era venuta a frammentare un pezzo di recinto.

— Il Realista! — esclamò Sandokan.

Infatti quella nave che accorreva in aiuto degli assalitori era lo schooner del rajah Brooke, lo stesso che alla foce del Sarawack aveva assalito e mandato a picco l'Helgoland.

— Maledetto, — ruggì Sandokan, mirando con due occhi che mandavano fiamme. — Ah! perché non ho un praho anch’io? Ti farei vedere come sanno battersi all’arma bianca i tigrotti di Mompracem!...

Un nuovo colpo di cannone rimbombò sul ponte del legno nemico e una nuova palla venne ad aprire un nuovo foro.

La Tigre della Malesia mandò un urlo di dolore e di rabbia.

— Tutto è finito! — esclamò.

Si precipitò giù dal tetto della capanna, seguito da tutti i suoi compagni, mentre un nembo di mitraglia spazzava la sommità del forte, e salì sulla barricata che chiudeva l’entrata del fortino, gridando:

— Fuoco, tigrotti di Mompracem, fuoco! Mostriamo al ‘‘rajah’’ come sanno battersi i pirati della Malesia!...

La battaglia prendeva allora proporzioni spaventevoli. Le truppe del rajah, che fino allora si erano tenute nascoste sotto i boschi, si erano spinte verso la spiaggia e di là facevano un fuoco infernale; la flottiglia, che fino allora si era tenuta ad una rispettabile distanza, vedendosi appoggiata dai cannoni del legno, aveva fatto una mossa innanzi, risoluta, a quanto pareva, ad approdare all’isola.

La posizione dei pirati divenne ben presto disperata. Combattendo con rabbia estrema, ora tirando sulla nave, ora tirando sulla flottiglia, ora tirando sulle truppe aggruppate sulla spiaggia della baia, entusiasmati dalla voce della Tigre della Malesia; ma erano troppo pochi per tener testa a tanti nemici!

Le palle cadevano fitte, fitte, entrando per le feritoie e fra le fessure della cinta, facendo cadere a due, a tre alla volta i pirati che sparavano dall’alto della palizzata. E spesso non erano semplici palle, ma granate, che i cannoni del Realista vomitavano e che, scoppiando con terribile violenza, aprivano brecce spaventevoli, per le quali il nemico, sbarcato che fosse, poteva penetrare nel fortino.

Alle tre del mattino un nuovo soccorso giungeva agli assalitori. Era uno svelto yacht armato di un solo, ma grosso cannone, il quale aprì subito il fuoco contro le ormai cadenti palizzate del forte.

— E finita! — disse Sandokan dall’alto della barricata, mentre colle dita arse, la faccia stravolta, tirava contro la flottiglia che continuava ad avanzare. — Fra dieci minuti bisognerà arrendersi.

Alle quattro del mattino nel fortino non rimanevano che sette persone: Sandokan, Yanez, Tremal-Naik, Ada, Sambigliong, Kammamuri e Tanauduriam. Avevano lasciato la cinta che non offriva più riparo alcuno e si erano ritirati nella gran capanna, una parte della quale era stata già distrutta dalle cannonate del Realista e dello yacht.

— Sandokan, — disse Yanez ad un certo momento, — non possiamo più resistere.

— Finché abbiamo polvere e palle non dobbiamo arrenderci, — rispose la Tigre della Malesia, guardando la flottiglia nemica, che, respinta sei volte di seguito, tornava alla carica per sbarcare i suoi uomini.

— Non siamo soli, Sandokan. Abbiamo con noi la Vergine della Pagoda.

— Possiamo ancora vincere, Yanez. Lasciamo che i nemici sbarchino e gettiamoci a corpo perduto contro di loro.

— E se una palla cogliesse la Vergine? Guarda, Sandokan, guarda!...

Una granata lanciata dal ‘’Realista’’ era in quel momento scoppiata, sfondando un lungo tratto della parete. Alcuni frammenti di ferro entrarono nel camerone, fischiando sopra il gruppo dei pirati.

— Ammazzano la mia fidanzata!... — esclamò Tremal-Naik che erasi prontamente gettato dinanzi alla Vergine della Pagoda.

— Bisogna arrendersi o prepararsi a morire, — disse Kammamuri.

— Arrendiamoci, Sandokan, — gridò Yanez. — Si tratta di salvare la cugina della defunta Marianna Guillonk.

Sandokan non rispose. Dinanzi ad una delle finestre, col fucile fra le mani, gli occhi fiammeggianti, le labbra semiaperte, i lineamenti alterati da una rabbia violenta, guardava il nemico che si avvicinava rapidamente all’isola.

— Arrendiamoci, Sandokan, — ripetè Yanez.

La Tigre della Malesia rispose con un rauco sospiro. Una seconda granata entrò da un foro e cadde contro la parete opposta, ove scoppiò, scagliando all’intorno frammenti infuocati.

— Sandokan!... — gridò per la terza volta Yanez.

— Fratello, — mormorò la Tigre.

— Bisogna arrendersi.

— Arrendersi!... — gridò Sandokan con un accento che più nulla aveva di umano. — La Tigre della Malesia arrendersi a James Brooke!... Oh, perché non ho io un cannone da opporre a quelli del maledetto uomo? Perché non ho qui i tigrotti lasciati nella mia Mompracem?... Arrendersi la Tigre della Malesia!...

— Hai una donna da salvare, Sandokan!...

— Lo so...

— E questa donna è la cugina della defunta tua moglie.

— È vero! è vero!...

— Arrendiamoci, Sandokan.

Una terza granata scoppiò nella stanza, mentre due palle di grosso calibro, colpendo la sommità della capanna, facevano rovinare buona parte del tetto. La Tigre della Malesia si volse e guardò i suoi compagni. Avevano tutti le armi in pugno ed erano pronti a continuare la lotta; in mezzo ad essi stava la Vergine della Pagoda. Sembrava tranquilla, ma nei suoi occhi si leggeva la più viva ansietà.

— Non vi è più speranza alcuna, — mormorò con voce cupa il pirata. — Fra dieci minuti nessuno di questi prodi rimarrà in piedi. Bisogna arrendersi. Si prese il capo fra le mani, e parve volesse schiacciarsi la fronte.

— Sandokan! — disse Yanez.

Un urrà fragoroso coperse la sua voce. I soldati del rajah avevano attraversato il braccio di mare e si dirigevano verso il forte.

Sandokan si scosse. Impugnò la sua terribile scimitarra e fece atto di slanciarsi fuori della capanna per contrastare il passo ai vincitori, ma si rattenne.

— L’ultima ora è suonata per le tigri di Mompracem! — esclamò con dolore.

— Sambigliong, issa la bandiera bianca!

Tremal-Naik con un gesto arrestò il pirata che stava legando uno straccio bianco sulla canna di un fucile, e si avvicinò a Sandokan tenendo per mano la sua fidanzata.

— Signore, — gli disse, — se vi arrendete, io, Kammamuri e la mia fidanzata saremo salvi, ma voi, che siete pirati e perciò odiati a morte dal rajah, verrete senza dubbio tutti appiccati. Voi ci avete salvati: noi mettiamo nelle vostre mani le nostre mani e noi ci slanceremo contro il nemico al grido di: Viva la Tigre della Malesia! viva Mompracem!

— Grazie, miei nobili amici, — disse Sandokan con voce commossa, stringendo vigorosamente le mani della giovinetta e dell’indiano. — Ormai il nemico ha approdato e noi non siamo che sette. Arrendiamoci.

— Ma voi? — chiese Ada.

— James Brooke non mi appiccherà, signora, — rispose il pirata.

— La bandiera bianca, Sambigliong, — disse Yanez.

Il pirata s’arrampicò sul tetto della capanna e agitò il bianco straccio. Subito s’udì uno squillo di tromba echeggiare sul ponte del Realista, seguito da strepitosi urrà.

Sandokan colla scimitarra in pugno uscì dalla capanna, attraversò il piazzale del forte, ingombro di rottami e di cadaveri, di armi e di palle di cannone, e si fermò presso alla sfondata barricata.

Duecento soldati del rajah erano sbarcati e stavano allineati sulla spiaggia colle armi in mano, pronti a slanciarsi all’assalto. Una scialuppa, montata dal rajah Brooke, da lord Guillonk e da dodici marinai, erasi staccata dal fianco del Realista, e si avvicinava rapidamente all’isola.

— Lui è mio zio, — mormorò Sandokan con voce triste.

Incrociò le braccia sul petto, dopo aver ringuainato la scimitarra, e aspettò tranquillamente i suoi due più acerrimi nemici.

L’imbarcazione, vigorosamente spinta innanzi, in pochi minuti approdò presso il fortino. James Brooke e lord Guillonk sbarcarono, e, seguiti a breve distanza da un forte drappello di soldati, s’avvicinarono a Sandokan.

— Chiedete una tregua o vi arrendete? — chiese il rajah, salutando con la sciabola.

— Mi arrendo, signore, — disse il pirata restituendo il saluto. — I vostri cannoni ed i vostri uomini hanno domato le tigri di Mompracem.

Un sorriso di trionfo apparve sulle labbra del rajah.

— Lo sapevo che avrei finito col vincere la indomabile Tigre della Malesia, — disse. — Signore, io vi arresto.

Sandokan, che fino allora non si era mosso, nell’udire quelle parole rialzò fieramente la testa, gettando sul rajah uno di quegli sguardi che fanno fremere anche i più coraggiosi uomini della terra.

Rajah Brooke, — disse con voce sibilante. — Ho dietro di me cinque tigri di Mompracem, cinque sole, ma capaci di sostenere ancora una lotta contro tutti i vostri soldati. Ho dietro di me cinque uomini capaci di scagliarsi ad un mio cenno contro di voi e di stendervi a terra senza vita. Mi arresterete quando a quegli uomini avrò dato l’ordine di deporre le armi.

— Non vi arrendete?

— Mi arrendo, ma ad un patto.

— Signore, vi faccio notare che le mie truppe son già sbarcate; vi faccio notare che voi siete sei e noi duecentocinquanta; vi faccio notare che basta un mio cenno per farvi fucilare. Mi sembra strano che la Tigre della Malesia, vinta, voglia dettare ancora delle condizioni.

— La Tigre della Malesia non è ancor vinta, rajah Brooke, — disse Sandokan con fierezza. — Ho ancora la mia scimitarra e il mio kriss.

— Devo comandare l’assalto?

— Quando vi avrò detto ciò che io chiedo.

— Parlate.

Rajah Brooke, io, il capitano Yanez de Gomera e i dayachi Tanauduriam e Sambigliong, tutti appartenenti alla banda di Mompracem, ci arrendiamo colle seguenti condizioni:

«Che ci giudichi la Corte Suprema di Calcutta, e che si accordi ampia libertà di andarsene ove meglio crederanno a Tremal-Naik, al suo servo Kammamuri e a miss Ada Corishant!...».

— Ada Corishant! Ada Corishant! — esclamò lord Guillonk, slanciandosi verso Sandokan.

— Sì, Ada Corishant, — rispose Sandokan.

— È impossibile che sia qui!

— E perché, milord?

— Perché ella fu rapita dai Thugs indiani, né più mai si udì parlarne.

— Eppure è in questo forte, milord.

— Lord James, — disse il rajah, — Avete conosciuto miss Ada Corishant?

— Sì, Altezza, — rispose» il vecchio lord. — La conobbi pochi mesi prima che fosse rapita dai settari di Kalì.

— Vedendola, la riconoscereste?

— Sì, e son certo che anch’ella mi riconoscerebbe, quantunque siano scorsi da quell’epoca funesta ben cinque anni.

— Ebbene, signori, seguitemi, — disse Sandokan.

Fece loro varcare la palizzata e li condusse nella gran capanna, in mezzo alla quale stavano, riuniti attorno alla Vergine della Pagoda, coi fucili in mano e il kriss fra le labbra, Yanez, Tremal-Naik, Kammamuri, Tanauduriam e Sambigliong.

Sandokan prese Ada per mano e, presentandola al lord, gli disse:

— La riconoscete?

Due gridi gli risposero:

— Ada!

— Lord James!

Poi il vecchio e la giovinetta si abbracciarono con effusione, baciandosi. Entrambi si erano riconosciuti.

— Signore, — disse il rajah, volgendosi verso Sandokan, — come mai miss Ada Corishant si trova nelle vostre mani?

— Ve lo dirà ella stessa, — rispose Sandokan.

— Sì, sì, voglio saperlo! — esclamò lord James che continuava ad abbracciare e baciare la giovinetta, piangendo di gioia. — Voglio saper tutto.

— Narrategli tutto, dunque, miss Ada, — disse Sandokan. La giovinetta non se lo fece ripetere e narrò brevemente al lord e al rajah la sua storia, che i lettori già conoscono.

— Lord James — diss’ella, quando ebbe finito, — la mia salvezza la devo a Tremal-Naik e a Kammamuri; la mia felicità alla Tigre della Malesia. Abbracciate questi uomini, milord.

Lord James si avvicinò a Sandokan, che, colle braccia incrociate sul petto e il volto lievemente alterato, guardava i suoi compagni.

— Sandokan, — disse il vecchio con voce commossa. — Mi avete rapito mia nipote, ma mi ritornate un’altra donna che io amo quanto l’altra. Vi perdono, abbracciatemi, nipote, abbracciatemi!...

La Tigre della Malesia si precipitò nelle braccia del vecchio, e quegli accaniti nemici, dopo tanti anni, si baciarono in viso. Quando si separarono, grosse lagrime cadevano dagli occhi del vecchio lord.

— È vero che tua moglie è morta? — chiese egli con voce rotta. A quella domanda la faccia della Tigre della Malesia si alterò spaventevolmente. Chiuse gli occhi, se li coprì colle dita raggrinzate e mandò un rauco gemito.

— Sì, è morta, — disse la Tigre con gemito straziante.

— Povera Marianna, povera nipote!

— Tacete, tacete, — mormorò Sandokan.

Un singhiozzo soffocò la sua voce. La Tigre della Malesia piangeva!

Yanez si avvicinò all’amico e mettendogli una mano sulla spalla:

— Coraggio, fratello mio, — gli disse. — Dinanzi allo sterminatore dei pirati, la Tigre della Malesia non deve mostrarsi debole.

Sandokan si terse quasi con rabbia le lagrime e rialzò il capo con fiero gesto.

Rajah Brooke, sono a vostra disposizione. Io e i miei compagni ci arrendiamo.

— Quali sono questi vostri compagni? — chiese il rajah colla fronte abbuiata.

— Yanez, Tanauduriam e Sambigliong.

— E Tremal-Naik?

— Come!... Voi osereste...

— Io non oso nulla, — disse James Brooke. — Obbedisco e niente di più.

— Che cosa volete dire?

— Che Tremal-Naik rimarrà prigioniero al pari di voi.

— Altezza!... — esclamò lord Guillonk. — Altezza!...

— Mi rincresce per voi, milord, ma non sta a me accordare la libertà a Tremal-Naik. Io l’ho avuto in consegna e devo restituirlo alle autorità inglesi, le quali non mancheranno di richiedermelo.

— Ma voi avete udito tutta la storia di questo mio nuovo nipote.

— È vero, ma io non posso trasgredire gli ordini ricevuti dalle autorità angloindiane. Fra giorni un vascello di deportati toccherà Sarawack ed io dovrò consegnarlo a quel comandante.

— Signore!... — esclamò Tremal-Naik, con voce rotta, — voi non permetterete che mi separino dalla mia Ada e che mi conducano a Norfolk.

Rajah Brooke, — disse Sandokan. — Voi commettete un’infamia.

— No, obbedisco, — rispose il rajah. — Lord Guillonk potrà recarsi a Calcutta, spiegare le arti codarde dei Thugs e fargli ottenere la grazia ed io prometto, da parte mia, di appoggiarlo.

Ada, che fino allora era rimasta muta, oppressa da una angoscia mortale, si fece innanzi:

Rajah, — diss’ella con voce commovente, — volete dunque che ritorni pazza?...

— Riavrete presto il fidanzato, miss. Le autorità anglo-indiane rivedranno il processo e non indugeranno a rimettere in libertà Tremal-Naik.

— Allora lasciate che m’imbarchi con lui.

— Voi!... Eh via!... Scherzate, miss?...

— Voglio seguirlo.

— Su di un vascello di forzati!... In una simile bolgia infernale!...

— Vi dico che voglio seguirlo, — ripetè ella con esaltazione. James Brooke la guardò con una certa sorpresa. Pareva che fosse impressionato dalla suprema energia di quella giovinetta.

— Rispondetemi, — disse Ada, vedendo che rimaneva muto.

— È impossibile, miss, — disse poi. — Il comandante della nave non vi accetterebbe. Sarà meglio per voi che seguiate vostro zio in India per ottenere la grazia del vostro fidanzato. La vostra testimonianza basterà per fargli rendere la libertà.

— È vero, Ada, — disse lord Guillonk. — Seguendo Tremal-Naik io rimarrei solo e mi mancherebbe il testimonio principale per salvare il tuo fidanzato.

— Ma volete che l’abbandoni ancora!... — esclamò ella, scoppiando in singhiozzi.

— Ada!... — disse Tremal-Naik.

— Altezza, — disse Sandokan, avanzandosi verso il rajah. — Mi accorderete cinque minuti di libertà?

— Che cosa volete fare? — chiese James Brooke.

— Voglio persuadere miss Ada a seguire lord James.

— Fate pure.

— Ma la vostra presenza non è necessaria: voglio parlare libero, senza che altri odano.

— Vi accordo ciò che chiedete.

Uscì dalla semidiroccata capanna e condusse i suoi amici nella cinta del forte.

— Ascoltatemi, amici, — diss’egli. — Io possiedo ancora tali mezzi da far impallidire il rajah se potesse conoscerli. Miss Ada, lord James...

— No, lord James, chiamatemi zio, Sandokan, — osservò l’inglese. — Siete pur mio nipote.

— È vero, zio mio, — disse la Tigre con voce commossa. — Miss Ada, non insistete oltre e rinunciate all’idea di seguire il vostro fidanzato all’isola di Norfolk. Cerchiamo invece di ottenere dal rajah che trattenga in Sarawack Tremal-Naik fino a che le autorità di Calcutta avranno riveduto il processo e deciso della sua sorte.

— Ma sarà una lunga separazione, — disse Ada.

— No, miss, sarà breve, ve lo assicuro. Cerco di ottenere ciò dal rajah per guadagnare tempo.

— Che cosa volete dire? — chiesero Tremal-Naik e lord Guillonk.

Un sorriso sfiorò le labbra di Sandokan.

— Ah! — diss’egli. — Credete che io ignori la sorte che mi attenderebbe anche a Calcutta?... Gl’inglesi mi odiano troppo ed a loro ho fatto troppo un’aspra e feroce guerra per sperare che mi lascino la vita. Voglio ancora essere libero, scorazzare ancora il mare e rivedere la mia selvaggia Mompracem.

— Ma che cosa vuoi fare? Su chi speri? — chiese lord Guillonk.

— Sul nipote di Muda-Hassin.

— Del sultano spodestato da Brooke? — chiese lord James.

— Sì, zio. Io so che sta congiurando per riacquistare il trono e che mina, lentamente, ma incessantemente, la potenza di Brooke.

— Che cosa possiamo fare? — chiese Ada. — A voi devo la mia salvezza e dovrò la libertà di Tremal-Naik.

— Andate a trovare quell’uomo, e dite a lui che le tigri di Mompracem sono pronte ad aiutarlo. I miei pirati sbarcheranno qui, si porranno alla testa degli insorti e verranno ad assalire prima di tutto la nostra prigione.

— Ma io sono inglese, nipote, — disse il lord.

— E nulla esigo da voi, zio mio. Voi non potete cospirare contro un compatriota.

— Ma chi agirà?

— Miss Ada e Kammamuri.

— Oh, sì, signore, — disse la giovinetta. — Parlate, che cosa devo fare? Sandokan si slacciò la casacca e trasse dalla fascia, che teneva sopra la camicia di seta, una borsa rigonfia.

— Vi recherete dal nipote di Muda-Hassin e gli direte che Sandokan, la Tigre della Malesia, gli regala questi diamanti, che valgono due milioni, per affrettare la rivolta.

— Ed io che cosa devo fare? — chiese Kammamuri.

Sandokan si levò un anello, d’una forma speciale, adorno d’un grosso smeraldo e glielo porse, dicendogli:

— Tu andrai a Mompracem e farai vedere ai miei pirati questo anello, dirai loro che io sono prigioniero e che si imbarchino per aiutare l’insurrezione del nipote di Muda-Hassin. Ritorniamo: il rajah è sospettoso.

Rientrarono nella diroccata capanna dove Brooke li aspettava, circondato dai suoi ufficiali che erano già sbarcati.

— Ebbene? — chiese brevemente.

— Ada rinuncia all’idea di seguire il fidanzato, a condizione che voi, Altezza, tratteniate prigioniero in Sarawack Tremal-Naik, fino a che la Corte di Calcutta avrà riveduto il processo, — disse il lord.

— Sia, — disse Brooke, dopo alcuni istanti di riflessione.

Allora Sandokan si avanzò e gettando a terra la scimitarra ed il kriss, disse:

— Sono vostro prigioniero.

Yanez, Tanauduriam e Sambigliong gettarono pure le loro armi.

Lord James, cogli occhi umidi, si gettò fra il rajah e Sandokan.

— Altezza, — disse, — che cosa farete di mio nipote?

— Gli accordo ciò che mi ha chiesto.

— Cioè?

— Lo manderò in India. La Corte Suprema di Calcutta s’incaricherà di giudicarlo.

— E quando partirà?

— Fra quaranta giorni, col postale proveniente da Labuan.

— Altezza... è mio nipote, ed io ho cooperato alla sua cattura.

— Lo so, milord.

— Ha salvato Ada Corishant, Altezza.

— Lo so, ma nulla può fare colui che si chiama lo sterminatore dei pirati.

— E se mio nipote vi promettesse di lasciare per sempre questi mari?... E se mio nipote vi giurasse di non rivedere più Mompracem?

— Fermatevi, zio, — disse Sandokan. — Né io, né i miei compagni abbiamo paura della giustizia umana. Quando l’ultima ora sarà suonata, le tigli di Mompracem sapranno morire da forti.

S’avvicinò al vecchio lord che piangeva in silenzio e lo abbracciò, mentre Tremal-Naik abbracciava Ada.

— Addio, signora, — disse poi, stringendo la mano alla giovinetta che singhiozzava. — Sperate!...

Si volse verso il rajah che lo attendeva presso la porta e, alzando fieramente il capo, gli disse:

— Sono ai vostri ordini, Altezza.

I quattro pirati e Tremal-Naik uscirono dal fortino e presero posto nelle imbarcazioni. Quando queste presero il largo dirigendosi verso il Realista, volsero gli sguardi verso l’isolotto.

Sulla porta del recinto stava il lord, con Ada a destra e Kammamuri a sinistra. Tutti e tre piangevano.

— Povero zio, povera miss, — esclamò Sandokan, sospirando. — Ma la separazione sarà breve, e tu, James Brooke, perderai il trono!...