I predoni del Sahara/Capitolo 14 - Sepolti dalle sabbie

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Capitolo 14 - Sepolti dalle sabbie

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Capitolo 14 - Sepolti dalle sabbie
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14 - Sepolti dalle sabbie


Quando il marchese, dopo un sonno durato forse parecchie ore, riaprì gli occhi, una mezza oscurità lo avvolgeva.

Sorpreso da quel cambiamento di luce, non potendo ammettere che la notte fosse già calata, s'alzò bruscamente, girando intorno gli sguardi.

Un'angoscia inesprimibile gli strinse il cuore, nello scorgere l'apertura del rifugio completamente ostruita dalle sabbie. La luce che illuminava l'antro proveniva, da una fenditura, non più larga di mezzo piede, aperta nella volta, da un crepaccio insomma che non avrebbe potuto servire in alcun modo d'uscita ad una persona, per quanto magra fosse stata.

“Rinchiusi!” esclamò con accento di terrore.

Si alzò quanto era lungo, ascoltando attentamente i rumori che scendevano attraverso il crepaccio.

Al di fuori il simun doveva imperversare ancora, perché udiva confusamente rombi lontani e gli ululati sinistri del vento.

“La tempesta infuria ancora,” disse rabbrividendo, “e le sabbie forse continuano ad accumularsi dinanzi a questo rifugio.”

S'avvicinò ad Esther. La giovane dormiva ancora, col bellissimo capo sempre posato sul braccio destro ripiegato, le labbra schiuse ad un adorabile sorriso che metteva a nudo i suoi dentini candidissimi.

Una leggera tinta si era diffusa sul suo volto, dando alla pelle uno splendore insolito, simile a riflessi di seta rosea.

“Pare che sogni,” mormorò il marchese. “Quanto sarà terribile il risveglio!”

S'allontanò di alcuni passi, dirigendosi verso l'ammasso di sabbia, poi si arrestò guardando ancora la giovine. Gli era sembrato di udire un profondo sospiro.

“Esther!” chiamò.

La giovane aveva aperto gli occhi e stava per alzarsi. “Dove sono io?” si chiese.

“Nel rifugio.”

“E... questa oscurità? Marchese!...”

“Devo darvi una brutta notizia,” rispose il signor di Sartena. “Le sabbie ci hanno rinchiusi.”

“Gran Dio!... e mio fratello... e gli altri?...”

“Non so dove siano. Probabilmente non hanno lasciato il loro ricovero, perché il simun infuria ancora.”

“E siamo rinchiusi? Allora noi siamo perduti!”

“Non smarritevi. In qualche modo usciremo.”

“E da quale parte? Non vedo nessun'altra apertura, marchese.”

“Non lo so, la cercheremo. Forse lo strato di sabbia non è così compatto come crediamo.”

“Marchese... io ho paura.”

“E di chi, Esther? Di me, forse!”

“Ah!... No!” esclamò vivamente la giovane. “Ma se non potessimo più uscire e dovessimo morire qui, soli, perduti nell'immenso deserto?...”

“Vi sono i nostri compagni.”

“E come potranno supporre che noi ci troviamo dietro a queste sabbie?”

Il marchese impallidì e non rispose. Supponendo che Ben e Rocco ed anche i cammellieri fossero sfuggiti alla morte, come avrebbero potuto immaginarsi che Esther ed il marchese si trovavano sepolti in quel luogo, nel cuore di quella enorme massa di rocce?

Fra i due prigionieri seguì un lungo silenzio. Esther guardava il marchese con angoscia, aspettando una risposta, una parola di speranza, che il corso non riusciva a trovare.

“Siamo perduti, è vero!” disse ella finalmente. “Noi siamo condannati a morire entro il nostro rifugio.”

“No, non perdiamoci d'animo,” rispose il marchese. “Proverò a forare le sabbie col mio fucile.”

“Franerà.”

“Lo temo anch'io, pure tentiamo.”

Raccolse l'arma che aveva deposto in un angolo, la scaricò della cartuccia, poi, accostandosi all'enorme massa che ostruiva l'entrata, vi cacciò a forza la canna.

La sabbia, appena forata, cominciò a rotolare da tutte le parti, minacciando di seppellire anche il marchese.

“È troppo asciutta per tentare qualche cosa,” mormorò il corso, facendo un gesto di scoraggiamento e ritirando la canna piena di sabbia. “Abbiamo dinanzi a noi una massa così enorme, che ci vorrebbero forse parecchie dozzine d'uomini armati di pale per sgombrare l'uscita,” disse a Esther.

“Io non voglio che voi moriate,” disse il corso con suprema energia. “Siete troppo giovane e troppo bella per finire qui la vostra vita, Esther.”

Vi erano in quelle parole una tale commozione e tanto calore, che la giovane lo guardò con stupore, arrossendo.

“Morremo assieme,” diss'ella con un filo di voce.

Il marchese non rispose. I suoi sguardi si erano ostinatamente rivolti alla fessura, dalla quale scendeva un fascio di luce rossastra.

“Là!” disse, dopo alcuni istanti. “La nostra salvezza sta lassù! La vita, la libertà, tutto!... No, Esther, voi non morrete!... Io vi salverò.” Quello squarcio si trovava in un angolo della caverna, a quindici piedi d'altezza, e se non acconsentiva il passaggio ad una persona, era però facile a raggiungersi, essendo la parete screpolata ed ineguale.

“Che cosa volete fare?” chiese Esther, vedendolo dirigersi verso l'angolo del rifugio.

“Avete delle cartucce anche voi?” chiese invece il marchese. “Sì, due dozzine almeno.”

“Ed io quasi il doppio. Vuotate le vostre e mettete da parte la polvere. Mi sarà necessaria.”

“Volete preparare qualche mina?”

“Lo avete indovinato, Esther.”

“E se non riuscirete?”

“Si compirà la volontà di Dio,” rispose il marchese.

Si aggrappò alle sporgenze della parete, puntò i piedi in una fessura e cominciò a innalzarsi coll'agilità di un gatto.

Vedendolo inerpicarsi e pensando che, se un piede gli sfuggiva. poteva fracassarsi il cranio, Esther ebbe un brivido.

“Badate, marchese,” gli disse con voce tremula, “potreste uccidervi.”

“Non cadrò,” rispose il corso.

Esther, ritta in mezzo al rifugio, seguiva ansiosamente il marchese, il quale continuava ad innalzarsi cacciando le dita nervose nelle fessure e tenendosi stretto a tutte le sporgenze che incontrava. Ogni volta che lo vedeva esitare e vacillare, ella provava un colpo al cuore e chiudeva gli occhi, credendo di vederlo già precipitare.

Fortunatamente il signor di Sartena possedeva una forza ed una elasticità incredibili, tali da sfidare il miglior gabbiere della flotta del Mediterraneo. Con un ultimo sforzo poté aggrapparsi alla fessura, librandosi per un momento nel vuoto.

“Non vi sono che dieci o dodici centimetri di roccia,” disse, dopo aver fatto scorrere una mano sui margini dello squarcio. “Ah!”

“Che cosa avete, marchese?” disse Esther.

“Vi è qui un buco che sembra fatto appositamente per ricevere una buona carica di polvere.”

Si aggrappò nuovamente alla parete e, dopo essere disceso un paio di metri, si lasciò cadere sullo strato sabbioso.

“Non perdiamo tempo,” disse, “forse i nostri compagni stanno cercandoci.”

Misero insieme le cartucce e cominciarono a svitarle, servendosi dei denti e mettendo la polvere in una borsa di pelle.

“Conserviamone una dozzina,” disse il marchese. “Non si sa mai quello che può accadere.”

Appena finito, il marchese stracciò un lembo del suo caic, lo bagnò in uno degli otri e lo cosparse di polvere onde preparare una miccia. La temperatura che regnava anche nel rifugio a causa dell'ardente vento del simun era tale, che bastarono due minuti per seccarla perfettamente.

“Ritiratevi verso l'apertura e copritevi colla sabbia, Esther,” disse il marchese. “Lo scoppio può determinare la caduta di molti massi.”

“E voi avrete il tempo di fare altrettanto?”

“La miccia brucerà per lo meno in quaranta secondi.”

Si cacciò in tasca la borsa gonfia di polvere e ricominciò l'ardua salita.

Giunto anche questa volta felicemente presso la fenditura, vuotò la borsa nella buca che aveva scoperto, vi mise la miccia, poi, strappati alcuni sassi malfermi, turò l'orifizio meglio che poté, onde l'esplosione riuscisse più formidabile.

“Siete nascosta, Esther?” chiese. “Sì, marchese.”

Accese la miccia servendosi d'uno zolfanello, poi si lasciò scivolare lungo la parete, correndo là dove la giovane si era quasi interamente sepolta fra le sabbie.

Si preparò rapidamente una buca e vi si cacciò dentro.

La miccia bruciava lentamente, con un leggero crepitio, mandando in aria qualche scintilla. Il marchese le guardava consumarsi con un'ansietà facile a comprendersi. Sarebbe bastata quella polvere a disgregare le rocce, aprendo un varco sufficiente per lasciar passare un corpo umano? O anche spezzandosi la roccia, l'esplosione non avrebbe determinato il franamento della volta intera, seppellendo i disgraziati sotto le macerie?

D'improvviso un lampo accecante illuminò il rifugio, seguito da un rimbombo assordante e da un rovinare di macigni.

Esther, credendo che tutto crollasse, aveva mandato un grido di terrore; il marchese invece, a rischio di farsi fracassare da qualche masso, si era slanciato in mezzo al fumo che aveva bruscamente invaso la caverna.

La mina aveva squarciato l'angolo della volta, precisamente sopra la parete che il marchese aveva ripetutamente scalato, formando un'apertura irregolare e così ampia da lasciar passare comodamente un uomo molto grosso. Parecchi massi erano stati lanciati dalla violenza dell'esplosione contro le pareti, ma nessuno aveva raggiunto l'ammasso di sabbia che otturava l'uscita.

“Siamo salvi!” aveva gridato il marchese.

Sbarazzò Esther dalla sabbia che la copriva e l'aiutò ad alzarsi.

“Vedete?” disse. “Usciremo e ritroveremo i nostri compagni e vostro fratello.”

“Sì, marchese; ma se la scalata è possibile a voi, forte e agile, non lo sarà per me,” osservò Esther.

“Che cosa fare?” si chiese il marchese. “Dovrò lasciarvi qui, sola? No, non lo farò mai!”

“Rimarrò qui finché avrete trovato mio fratello e Rocco. Col loro aiuto e colle corde dei cammelli potrò uscire.”

“E se durante la mia assenza qualche pericolo vi minacciasse, Esther?”

“Quale? Non vi è nessuno in questa caverna e poi non ho la mia carabina americana?” disse la giovane. “Partite, marchese, cercate i nostri compagni, poi tornate qui.”

“Esther...”

“Marchese!”

“Non avrete paura?”

“Nessuna; vi attenderò tranquillamente.”

Il marchese afferrò vivamente la mano che la giovane ebrea gli porgeva sorridendogli, prese il fucile e si slanciò verso le pareti, raggiungendo facilmente lo squarcio.

Allora issandosi a forza di braccia si trasse fuori, mettendo i piedi su una specie di piattaforma addossata ad una rupe gigantesca.

Il deserto si estendeva dinanzi a lui a perdita d'occhio, completamente trasformato dal simun. Le lunghe file di dune erano scomparse ed avevano cambiato forme e dimensioni.

Là dove prima vi erano dei rigonfiamenti, si vedevano invece profonde escavazioni; là dove si estendeva una pianura si scorgevano invece montagne di sabbia, capricciosamente avvallate, oppure emergevano, pari ad isolotti perduti su un oceano sconfinato, rocce che prima il marchese non aveva mai veduto. Era un vero caos.

“Il deserto ha cambiato faccia,” mormorò.

Guardò in tutte le direzioni, sperando di scoprire Ben e Rocco o la carovana; invece non vide nulla.

“Che siano stati tutti sepolti?” si chiese con angoscia. “O che si siano riparati dietro a quelle montagne di sabbia che il simun ha formato?”

Si curvò sull'orlo della piattaforma e guardò giù. La parete rocciosa scendeva dolcemente per una diecina di metri, rendendo facile la scalata.

Il marchese stava osservandola, quando la sua attenzione fu attirata da una forma biancastra che si agitava presso la sabbia accumulata dinanzi al rifugio.

“Il nostro mehari!” esclamò con voce giuliva. “L'intelligente animale ci ha fiutato e si è accostato alla caverna.”

Tornò rapidamente verso la spaccatura che metteva nel rifugio e chiamò Esther.

“Avete visto nessuno, marchese?” chiese l'ebrea, appena lo scorse. “Suppongo che i nostri compagni si trovino dietro le dune,” rispose il signor di Sartena, il quale non voleva spaventarla. “Monterò il mehari e andrò a cercarli, giacché quel bravo animale non ci ha abbandonati. Mi aspetterete senza timore?”

“Andate, marchese; ma non dimenticate che io vi attendo fra mille angosce.”

Il marchese le fece un gesto d'addio accompagnato da un sorriso, poi si lasciò scivolare lungo la parete rocciosa, raggiungendo il mehari. Vedendolo, l'intelligente animale s'inginocchiò per invitarlo a salire in sella.

“Avanti, mio bravo,” disse. “Bisogna cercare gli altri.”

Il mehari s'alzò, fiutò per alcuni istanti l'aria infuocata del deserto, poi si slanciò a corsa rapidissima attraverso le dune e le bassure con quell'andatura bizzarra, che fa sembrare quegli animali zoppicanti.

Dove si dirigeva? Il marchese lo ignorava, ma aveva completa fiducia in quell'animale dotato d'un istinto meraviglioso e d'un odorato finissimo che gli permettono di fiutare una sorgente e gli uomini a distanze incredibili.

La corsa si accelerava sempre più, diventando così vertiginosa che il marchese penava a respirare.

Salì un cumulo enorme di sabbia, si cacciò fra le dune, discese alcune bassure, poi tornò a rimontare altri cumuli, tenendo il collo teso e respirando fragorosamente.

Correva da una buona mezz'ora, sempre più allontanandosi dall'enorme ammasso di rupi giganteggianti verso il sud, quando s'arrestò quasi di colpo dinanzi ad una duna, mandando un grido acuto.

Quasi subito altre grida consimili risposero ed il marchese, con suo stupore, vide sorgere improvvisamente fra le sabbie parecchie teste di cammelli.

“La carovana!” esclamò.

“E Ben?... E Rocco?” si chiese poi impallidendo.

Le sabbie si agitavano in tutti i sensi e i cammelli ed i cavalli s'alzavano gridando e nitrendo sonoramente, poi anche una tenda, che pareva fosse stata abbattuta, si sollevò ed il moro ed i due beduini comparvero, scuotendosi di dosso la polvere.

“Voi, signore!” esclamò El-Haggar, scorgendo il marchese. “Solo!... E gli altri?...”

“Non sono tornati qui Ben e Rocco?” chiese il signor di Sartena, tornando ad impallidire.

“Non li abbiamo veduti, signore.”

“Che siano stati sepolti dalle sabbie?”

“Non erano con voi?”

“Sì, ma poi non li ho più riveduti. Le trombe di sabbia ci avevano divisi.”

“E la signorina Esther? Perduta anch'essa?”

“È al sicuro.”

“Avete raggiunto le caverne della roccia?”

“Sì, El-Haggar; io ed Esther siamo stati anche rinchiusi dalle sabbie.”

“Forse ugual sorte è toccata anche a Ben Nartico ed al vostro servo,” disse il moro, dopo un momento di riflessione.

“Conoscete quelle caverne?”

“Mi ci sono rifugiato parecchie volte, signore.”

“Quante sono?”

“Quattro.”

“Vicine l'una all'altra?”

“No, signore.”

“Lasciamo che i beduini s'incarichino della carovana. Prendete delle corde, montate un cavallo e seguitemi senza indugio.”

Un momento dopo, l'uno sul mehari e l'altro sul miglior cavallo, lasciavano la carovana, dirigendosi verso l'enorme ammasso di rocce. Quando scalarono la piattaforma e si curvarono sullo squarcio, trovarono la coraggiosa fanciulla seduta in mezzo alla caverna, col fucile sulle ginocchia.

Due solide funi unite alle due estremità da una traversa di legno furono calate, e l'ebrea fu felicemente innalzata fino sulla rupe, assieme ai due otri, troppo preziosi per lasciarli nella caverna.

“Marchese,” diss'ella, quando rivide la luce, “a voi devo la vita.” Il signor di Sartena non rispose, ma le sorrise guardandola a lungo negli occhi.