I predoni del Sahara/Capitolo 15 - Un terribile momento

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Capitolo 15 - Un terribile momento

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Capitolo 15 - Un terribile momento
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15 - Un terribile momento


Liberata Esther e fattala scendere dalla rupe, il marchese ed El-Haggar si misero senza indugio in cerca di Ben e di Rocco. Erano tutti molto inquieti, temendo che si fossero rifugiati in una caverna priva di qualsiasi apertura. Le sabbie, otturando l'ingresso, forse avevano intercettato l'entrata dell'aria e quei due disgraziati potevano trovarsi alle prese coll'asfissia.

Erano sicuri che avevano trovato anche essi un rifugio; si trattava però di sapere in quale fossero entrati essendovene altri tre lungo l'enorme parete rocciosa.

“Cerchiamo innanzi tutto il mehari,” aveva detto il marchese. “Se le sabbie non lo hanno sepolto, in qualche luogo lo vedremo.”

“È precisamente l'assenza di quell'animale che m'inquieta,” aveva risposto El-Haggar, la cui fronte si era oscurata. “Se fosse ancora vivo, a quest'ora si sarebbe alzato e ci avrebbe fiutati.”

“Che si sia rifugiato anch'essa nella caverna occupata da Ben e da Rocco?” chiese Esther, la quale non era meno inquieta del moro.

“Non escludo questa probabilità,” rispose El-Haggar. “Nondimeno sarei più tranquillo se lo vedessi alzarsi fra le sabbie.”

“Dove si trova la seconda grotta?” chiese il marchese.

“A quattro o cinquecento passi da qui.”

Si misero a seguire la parete rocciosa, guardando attentamente le sabbie che il simun aveva accumulato in enorme quantità contro quel gigantesco ostacolo.

Già avevano percorso quasi tutti la distanza che li separava dal secondo rifugio, quando un grido di stupore sfuggì al moro.

“Là! Là!” esclamò, indicando una piccola duna. “Vedo il mehari! Esso è coricato fra le sabbie!”

“Che sia morto soffocato?” chiese il marchese. “Se fosse vivo si sarebbe alzato.”

Quando gli fu vicino, dovette convincersi che il povero animale era veramente morto. Esso giaceva su un fianco, colle zampe rattrappite, la bocca coperta di schiuma sanguigna ed il ventre squarciato in così orribile modo che ne uscivano gl'intestini.

“Chi può averlo ucciso?” esclamò il moro, al colmo dello stupore. “Le sabbie ed il simun non entrano per nulla nella sua morte!”

Il marchese si era chinato sul povero animale, osservandolo attentamente.

“È stato sventrato da qualche belva,” disse, rialzandosi. “Solamente un colpo d'artiglio può aver prodotto questa spaventevole ferita.”

“Che un leone affamato lo abbia assalito?” si chiese il moro, guardando con paura le dune che li circondavano e armando precipitosamente il suo lungo fucile rabescato.

“Se non è stato un leone, sarà stata qualche pantera,” aggiunse Esther. “Queste caverne devono servire di rifugio a non poche belve.”

“E Ben! E Rocco! Che siano stati divorati?” si chiese il marchese.

“Si vedrebbero altre macchie di sangue o qualche brandello delle loro vesti,” rispose El-Haggar. “No, non è possibile che siano stati assaliti durante il simun.”

“Cerchiamoli, El-Haggar,” disse Esther, che era diventata pallidissima. “Dov'è la caverna?”

“Si trova dinanzi a noi, dietro quell'ammasso di sabbie.”

Il moro aveva portato con sé due pale ed una zappa, che aveva sospeso alla sella del cavallo, immaginandosi che potessero essere utili. Mentre Esther, armata della sua carabina, si metteva in sentinella, temendo che l'animale che aveva sventrato il povero mehari si aggirasse dietro le dune, il marchese ed il moro si misero a scavare febbrilmente.

La sabbia accumulata dinanzi al rifugio era moltissima e dello spessore di parecchi metri, però avendo essi assalito la massa verso la cima, ad ogni scossa franava in quantità straordinaria.

In pochi minuti la parte superiore della volta doveva scoprirsi.

Il lavoro era tutt'altro che facile. La sabbia, continuando a scivolare lungo la china, minacciava ad ogni istante di travolgere e anche seppellire i due uomini.

Già il marchese ed il moro ne avevano fatto cadere una quantità enorme, mettendo a nudo la parete rocciosa, quando entrambi s'arrestarono, guardandosi l'un l'altro con viva ansietà.

“Hai udito?” chiese il marchese al moro.

“Sì,” rispose questi.

“Dei ruggiti, è vero?”

“E anche delle grida umane.”

“Che il leone o la pantera, dopo aver sventrato il mehari, si siano rifugiati qui dentro?”

“Tutti gli animali temono il simun e quando le sabbie si sollevano cercano un ricovero.”

“Scaviamo, El-Haggar! Sono impaziente di chiarire questo mistero.”

“Adagio, signore,” disse il moro, raccogliendo il suo fucile e mettendoselo accanto. “Il leone potrebbe slanciarsi su di noi d'improvviso, appena vede un'apertura.”

Il marchese afferrò la zappa e si rimise a scavare, mentre il moro colla pala continuava a far largo.

D'improvviso videro aprirsi dinanzi un buco e si sentirono mancare il terreno sotto i piedi. Avevano messo allo scoperto la cima dell'entrata e la sabbia era caduta entro il rifugio.

Stavano per impugnare le armi, quando vennero rovesciati indietro, travolti e precipitati fino in fondo all'ammasso sabbioso.

Quattro antilopi si erano scagliate attraverso a quel primo passaggio, colla velocità d'un uragano, atterrandoli con una spinta irresistibile.

Non si erano ancora alzati, che quelle agilissime bestie erano di già scomparse in mezzo alle dune, sfuggendo al colpo di carabina sparato da Esther.

“Tuoni dell'Argentaro!” esclamò il marchese, rialzandosi prontamente col fucile in pugno.

A quel grido una voce a lui ben nota, che usciva dalla caverna, aveva risposto:

“Padrone! Badate ai leoni!”

“Rocco!” gridò il marchese.

Come potevano trovarsi là dentro, ancora vivi, se in quel rifugio si trovavano dei leoni?

“È impossibile che siano là dentro!” aveva esclamato Esther.

“Ho udito la voce di Rocco,” disse il marchese.

“Ben! Ben!” gridò Esther.

Una voce che pareva uscisse da sotto terra, rispose subito “Esther!”

“Dove sei?”

“Nella caverna.”

“Solo?”

Un formidabile concerto di ruggiti spaventevoli impedì di udire la risposta.

“Indietro!” gridò il marchese. “Preparate le armi!”

Si erano precipitati giù dall'ammasso sabbioso, prendendo posizione dietro una duna la quale s'alzava di fronte alla caverna, alla distanza di quaranta o cinquanta passi.

I ruggiti continuavano sempre più cavernosi, indizio certo che quelle formidabili fiere cominciavano ad impazientirsi.

“Pare che siano in parecchi,” disse il marchese, il quale teneva il fucile puntato verso l'apertura.

“Una famiglia intera,” rispose El-Haggar, le cui membra tremavano mentre i suoi denti stridevano.

“Che si decidano a uscire?”

“Devono essere impazienti di ricuperare la libertà.”

“Attento, marchese!” gridò Esther.

Un leone aveva cacciato la testa fra lo scavo e si sforzava di allargarlo, facendo crollare le sabbie.

Il marchese, il moro e la giovane puntarono rapidamente le armi mirando quella testa minacciosa, la quale mandava ruggiti assordanti. “Aspettiamo che esca,” disse il corso. “Se lo uccidiamo sul posto, impedirà l'uscita agli altri.”

La fiera, scorgendo quelle persone armate, esitò qualche momento, poi d'un colpo, con uno slancio gigantesco, si precipitò giù dall'ammasso di sabbia.

El-Haggar ed Esther fecero fuoco simultaneamente e forse troppo precipitosamente, perché il leone non parve che fosse stato toccato dalle loro palle.

Con un secondo slancio raggiunse la cima d'una duna, dove si fermò in atto di sfida, facendo rintronare il deserto dei suoi possenti ruggiti.

Il marchese stava per prenderlo di mira, intanto che il moro e la giovane ebrea ricaricavano frettolosamente le armi, quando vide un altro animale precipitarsi fuori dalla caverna.

Era una superba leonessa, grossa quasi quanto il maschio e certamente non meno pericolosa.

Con uno slancio superò la distanza e raggiunse il compagno.

“Ritiratevi verso la caverna!” gridò il marchese al moro ed alla giovane. “Stanno per assalirci!”

I due leoni avevano abbandonato la duna e si erano messi a girare attorno al piccolo gruppo, ruggendo spaventosamente e mostrando i formidabili denti.

Il maschio soprattutto faceva paura, con quella criniera irta che lo faceva parere due volte più grosso.

“Stringetevi a me,” disse il marchese a El-Haggar e alla giovane. “Tenetevi pronti a fare una scarica. Io mi occupo del maschio; voi della femmina.”

Egli era sicuro del proprio colpo, ma dubitava molto di El-Haggar, il quale pareva che avesse perduto completamente la testa. Il povero diavolo tremava come se avesse la febbre ed il fucile ballava fra le sue mani malferme.

“Esther,” disse, “conto su di voi. Mirate con calma.”

“Lo farò, marchese,” rispose la giovane la cui voce però era malferma.

In quel momento verso la cima dell'ammasso di sabbia udirono echeggiare due urla di terrore. Rocco e Ben Nartico erano comparsi sul margine della caverna, entrambi inermi.

“Fuggite!” gridò il marchese.

I due leoni, udendo le grida dei loro prigionieri, si erano arrestati, guardandoli, come se fossero indecisi sulla scelta delle loro vittime. L'occasione era propizia per colpirli. Il marchese mirò il leone e fece fuoco.

La belva mandò un ruggito spaventevole, girò due volte su se stessa volteggiando sulle zampe deretane, cadde, poi si rialzò tentando di riprendere lo slancio, ma stramazzò giù dalla duna.

La leonessa, vedendo cadere il suo compagno, s'avventò furiosamente contro il marchese e lo atterrò di colpo, posandogli una zampa sul petto. Nel tempo stesso le palle di El-Haggar e di Esther la colpivano alla gola e alla testa.

Non ebbe nemmeno il tempo di mandare un ruggito e cadde addosso al marchese, fulminata.

Esther, pallida, coll'angoscia ed il terrore scolpiti sul viso, si era precipitata verso il signor di Sartena, credendo che fosse stato ferito. “Marchese! Marchese!” esclamò con voce rotta.

Il corso con una violenta scossa si era sbarazzato della fiera e si era alzato sorridente e tranquillo.

“Grazie, Esther,” disse con voce commossa.

“Se foste morto...”

“Vi sarebbe rincresciuto, Esther?”

“Vi avrei pianto per sempre,” mormorò la giovane abbassando gli occhi.