I predoni del Sahara/Capitolo 31 - La galleria della kasbah

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Capitolo 31 - La galleria della kasbah

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Capitolo 31 - La galleria della kasbah
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31 - La galleria della kasbah


Il giardino della kasbah occupava uno dei cortili interni ed era molto meno vasto di quanto avevano supposto il marchese ed i suoi compagni.

Essendo il suolo, su cui è stata fondata Tombuctu, aridissimo e di natura sabbiosa come il vicino deserto, non si vedevano né aiuole fiorite, né cespugli. Non v'erano che gruppi di datteri e di palme dûm, disposte senza ordine e che dovevano proiettare un'ombra molto problematica, data la disposizione delle loro foglie.

I tre fuggiaschi, dopo essersi accertati che non vi erano sentinelle, si erano subito cacciati in mezzo agli alberi per consigliarsi.

Il giardino era chiuso da tre lati da fabbricati di stile moresco, con gallerie a terrazze; il quarto invece era chiuso da una muraglia alta per lo meno una diecina di metri e così liscia da sfidare qualsiasi scalata.

“Mi pare che lasciando il nostro carcere non abbiamo guadagnato, molto,” disse il marchese. “Quella muraglia metterà certamente su qualche piazza o su qualche via, ma chi sarà capace di superarla?”

“Signore,” disse Rocco. “Vedo là una galleria che è molto bassa. Dove conduca io non lo so; però mi pare che vi siano colà maggiori probabilità di trovare un'uscita anziché rimanere qui.”

Si diressero cautamente verso la costruzione più vicina, un bellissimo padiglione lungo oltre cento metri, con una galleria elegantissima che s'alzava appena nove piedi dal suolo, e si provarono a dare la scalata.

Essendovi numerose colonne, la salita non fu difficile. Raggiunta la balaustrata, con un volteggio la sorpassarono e misero i piedi sulla loggia, aprendosi il varco fra le persiane che erano state calate.

“Che buio,” esclamò Rocco. “Non vedo più nulla!”

“Meglio per noi,” disse il marchese. “Così non ci vedranno.”

“Ma non so dove andiamo.”

“Troveremo qualche porta.”

“Fermiamoci presso la balaustrata,” disse Ben.

Avevano percorso cinque o sei metri, quando Rocco, che camminava dinanzi a tutti, s'arrestò bruscamente, dicendo:

“Fermi!”

Aveva udito una porta aprirsi, poi chiudersi senza fare rumore.

I tre fuggiaschi si abbassarono presso il parapetto, impugnando le loro armi.

Qualcuno stava attraversando la galleria. Si udiva un passo leggero avvicinarsi, ma l'oscurità era così fitta che non potevano scorgere la persona che s'avanzava.

“Che sia qualche kissuro?” esclamò il marchese.

“Chiunque sia, lasciamolo andare,” mormorò Ben.

Un'ombra bianca passò a pochi passi da loro, scomparendo verso l'estremità opposta della galleria e lasciandosi dietro un'onda di profumo acutissimo.

“Deve essere una donna,” disse il marchese. “Che questa loggia metta nell'harem del sultano?”

“Ridiscendiamo nel giardino e cerchiamo qualche altra uscita,” disse Ben.

“Condivido la vostra idea,” disse il marchese, dopo un momento di riflessione. “Non desidero imbarazzarmi colle donne del sultano.” Rocco alzò una persiana per vedere se vi erano delle guardie nel giardino. Essendo la luna comparsa dietro l'opposto padiglione, uno sprazzo di luce si proiettò nella galleria e sui tre fuggiaschi.

Quasi nello stesso momento un grido di donna echeggiava nella loggia. “Aiuto!... I ladri!...”

“Morte e sangue!” gridò Rocco. “Ancora la bella del sultano!”

“Giù! saltate!” comandò il marchese.

Una porta si era aperta all'estremità della galleria e alcune ombre si erano precipitate fra le arcate, vociferando spaventosamente.

Non vi era un momento da esitare. Rocco, il marchese e l'ebreo scavalcarono il parapetto e si lasciarono cadere nel giardino, correndo verso la muraglia.

L'allarme era stato dato. Sulle terrazze, nei padiglioni, nelle logge si udivano grida d'uomini e di donne.

“Fuggono!”

“Sono nel giardino!”

“Inseguiteli!”

“Fuoco!”

Alcuni colpi di moschetto, sparati dai kissuri che vegliavano sulle terrazze, rimbombarono mettendo in subbuglio gli abitanti della kasbah e forse lo stesso sultano.

Da tutte le parti si vedevano accorrere uomini muniti di torce e armati di moschetti, di scimitarre e di lance.

Il marchese ed i suoi due compagni attraversarono di corsa il giardino e si misero a seguire l'alta muraglia colla speranza di trovare qualche porta o qualche scala che permettesse loro di varcare l'ostacolo.

“Qui!” esclamò ad un tratto Rocco, fermandosi. “Guardate, una porta!”

“Scassiniamola!” gridò il marchese.

“Presto,” disse Ben. “I kissuri vengono!”

Si vedevano torce correre attraverso gli alberi e clamori assordanti s'alzavano dovunque. Sulle terrazze rimbombavano colpi di moschetto sparati a casaccio.

La porta scoperta dal sardo era rinforzata da lastre di ferro, però il metallo s'era così arrugginito da non poter opporre una lunga resistenza.

Il marchese appoggiò la canna della pistola nella toppa e fece fuoco. Il chiavistello, spezzato dalla palla, cedette senza però che la porta si aprisse.

“Mille pantere!” esclamò il marchese.

“Signore,” disse Rocco. “Scassinatela finché io tengo testa ai kissuri.”

Alcune guardie erano comparse e si preparavano a dare addosso ai fuggiaschi. Il sardo, impugnata la sbarra, chiuse loro il passo, menando colpi all'impazzata e costringendoli a retrocedere.

Intanto il marchese e Ben, a colpi di spalla, sgangheravano l'ostacolo. “Rocco!” gridò il marchese. “Siamo salvi!”

Certo di essere seguito dal fedele sardo, si slanciò all'aperto trascinando Ben.

Si trovarono sulla piazza che s'apriva dietro la kasbah. Nessun uomo si vedeva sotto i palmizi, quindi la fuga non presentava, almeno pel momento, alcuna difficoltà.

“Rocco!” gridò ancora il marchese, slanciandosi a corsa sfrenata.

Gli risposero delle urla furiose, ma il sardo non comparve.

“Ben!” gridò il marchese, con angoscia. “Rocco è stato preso! Torniamo!”

“Troppo tardi! I kissuri ci danno la caccia! Sono usciti dal giardino!”

“Torniamo!”

“No, marchese!” esclamò Ben afferrandolo strettamente per un braccio. “Liberi potremo forse salvarlo; arrestati non ci aspetterebbe che la morte.”

“Ah! Disgraziato Rocco! Si è sacrificato per noi!”

“Fuggite! Vengono!”

Alcuni kissuri si erano slanciati sulla piazza. Vedendo i due prigionieri fuggire, scaricarono le pistolacce, senza alcun esito essendo quelle armi troppo vecchie e d'una portata troppo limitata.

Il marchese, ormai rassegnato, si era precipitato dietro a Ben, il quale fuggiva a rompicollo senza nemmeno volgersi indietro. Attraversata la piazza si cacciarono in mezzo alle viuzze che mettevano verso i quartieri meridionali della città.

I kissuri, temendo forse che i fuggiaschi avessero dei compagni pronti a spalleggiarli, avevano rallentato la corsa.

“Si sono fermati,” disse il marchese, dopo aver percorso tutto d'un fiato tre o quattro viuzze. “Non li odo più. Dove andiamo?”

“Alla casa di mio padre,” rispose Ben.

“Conoscete la via? Io non so più dove vada.”

“La troveremo, marchese.”

Sostarono un momento per riprendere lena, poi ricominciarono a correre gareggiando fra di loro. In lontananza, verso la piazza, si udivano ancora le urla delle guardie del sultano, ma non erano più tali da inquietare i fuggiaschi.

Pareva che i kissuri avessero smarrito le tracce o che non si fossero sentiti tanto forti da proseguire la caccia.

Dopo una mezz'ora, non udendo più nulla, il marchese e Ben, completamente esausti, tornarono a fermarsi.

“Non abbiamo più nulla da temere,” disse l'ebreo. “Ormai siamo salvi.”

“Noi sì, ma Rocco?” chiese il signor di Sartena, con dolore. “Che l'abbiano ucciso?”

“Non è uomo da lasciarsi ammazzare,” rispose Ben.

“Si vendicheranno su di lui.”

“Andiamo da mia sorella, marchese. Vedremo poi cosa potremo tentare per strapparlo ai kissuri del sultano.

“L'oro non ci manca e sono pronto a sacrificare tutta l'eredità di mio padre pur di salvarlo. Venite, marchese. Non dobbiamo essere lontani dalla nostra casa.”

“Grazie della vostra offerta, Ben, ma io dubito che il vostro oro possa servire a strappare alla morte quel coraggioso,” disse il marchese, con un sospiro. “Canaglie! Tradirci così vigliaccamente.”

“Il traditore è stato ucciso da El-Haggar.”

“Uno sì, ma l'altro è forse ancora vivo.”

“Sospettate ancora di El-Melah?”

“Sì, Ben. È stato lui a mandarci quell'arabo e deve essere stato lui ad inventare la storia del colonnello.”

“Noi però non sappiamo ancora se Flatters sia veramente schiavo del sultano o se sia stato ucciso nel deserto.”

“Ormai ho perduto ogni speranza, amico. Sono convinto che quel valoroso è stato massacrato assieme a tutti i suoi compagni, in mezzo al Sahara.”

“Fermatevi!... Ci siamo.”

“Dove?”

“Alla casa di mio padre. Eh! Guardate! Vedo della luce nel giardino!...”

“Che vostra sorella stia disseppellendo il tesoro?”

“Lo suppongo, marchese.”

“Che siano ladri? Forse El-Melah? Ah! Vivaddio! Se è lui, lo uccido come un cane.”

Impugnò l'arma e si slanciò verso il cancello del giardino.

Alcuni uomini, alla luce d'una torcia, stavano levando dal pozzo un grosso forziere.

“Vedo El-Haggar!” esclamò il marchese. “E vi è anche mia sorella!” esclamò Ben.

Con una spinta irresistibile rovesciarono il cancello e si slanciarono nel giardino, gridando:

“Esther!”

“Sorella!”

La giovane ebrea, udendo quelle grida, aveva fatto alcuni passi innanzi, vacillando. Impallidì, arrossì, poi aprì le braccia e si strinse al petto prima il fratello, poi il marchese, esclamando: “Salvi!... Salvi!... Dio possente, vi ringrazio.”