I predoni del Sahara/Capitolo 34 - L'inseguimento

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Capitolo 34 - L'inseguimento

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34 - L'inseguimento


La scialuppa, spinta da quattro remi, essendosi messi ad arrancare anche Rocco ed El-Haggar, scendeva rapidamente il canale, poggiando verso l'opposta riva onde tenersi fuori di portata dai moschettoni dei nemici.

Era una solida barca, costruita con tavole grossissime, che le palle dei pessimi fucili dei rivieraschi non potevano attraversare, lunga sette metri e con la prora assai rialzata e adorna d'un enorme cranio di ippopotamo.

Il marchese aveva fatto sdraiare Esther fra i forzieri onde metterla al riparo dalle palle, poi si era collocato a prora dinanzi ad una cassa di cartucce aperta, mentre Ben si era messo a poppa. I negri non avevano ancora osato fare fuoco. Erano in due o trecento, ma pochissimi possedevano armi da fuoco e poi il canale era così largo, da dubitare assai che le loro palle potessero giungere fino alla scialuppa. Si sfogavano intanto urlando e minacciando senza però spaventare i fuggiaschi.

L'arrivo dei kissuri decise i negri a tentare qualche cosa. Gli uomini del sultano erano una ventina e tutti armati di fucili meno antiquati di quelli dei negri.

Vedendo la scialuppa passare a meno di quattrocento passi si schierarono sulla gettata e senza nemmeno fare l'intimazione della resa aprirono un violentissimo fuoco.

“Lasciate i remi e nascondetevi dietro il bordo!” gridò il marchese, udendo sibilare in aria alcuni proiettili. “La corrente ci trascinerà egualmente.”

“Se prendessimo terra sulla riva opposta?” chiese Ben.

“Non fidatevi,” disse El-Haggar. “Vi sono anche là degli abitanti e udendo questi spari non tarderebbero ad accorrere.”

“Allora proviamo a calmare quei dannati,” rispose il marchese. “Badate alle vostre teste! Grandina!”

Le palle cominciarono a fioccare, se non quelle dei negri, pessimi tiratori, almeno quelle dei kissuri.

L'acqua rimbalzava attorno alla scialuppa e si udiva anche il piombo cacciarsi, con sordo rumore, nelle grosse tavole del bordo.

Il marchese, Ben e Rocco, approfittando d'un momento di sosta, puntarono i fucili e fecero una scarica in mezzo ai kissuri, gettandone a terra due. Un altro, che si teneva ritto sulla riva, cadde nel fiume colpito da una palla mandatagli da El-Haggar.

Spaventati dalla precisione di quei tiri, i negri si affrettarono a nascondersi dietro le capanne che si prolungavano lungo la riva. I kissuri però più coraggiosi e più risoluti a prendere i fuggiaschi o almeno a metterli fuori combattimento, si sparpagliavano dietro gli alberi, continuando il fuoco.

Le loro palle non giungevano quasi più fino alla scialuppa, perché la corrente trascinava i fuggiaschi con notevole velocità.

“Fra qualche minuto potrete riprendere i remi,” disse il marchese a Rocco ed a El-Haggar.

“Non illudetevi, signore,” disse il moro. “I kissuri non ci lasceranno tranquilli e andranno ad attenderci allo sbocco del canale. I negri hanno già dato l'allarme per attirare su di noi l'attenzione di tutti i rivieraschi. Non udite i tamburi battere?”

“Li odo perfettamente.”

“Anche a Koromeh odo rullare i noggara.”

“È un grosso villaggio?”

“No, signore, ma si trova sulla riva destra, e verremo presi fra due fuochi.”

“Per centomila diavoli!” esclamò il marchese diventando assai preoccupato. “Che questi dannati negri riescano a prenderci? Cosa ci consigliano di fare i due barcaiuoli?”

“Di nasconderci fra i canneti e di aspettare la notte.”

“Prima di giungere a Koromeh?”

“Sì, marchese.”

Il fuoco dei kissuri da qualche minuto era cessato e la barca aveva raddoppiato la sua corsa sotto i colpi di remo di Rocco, del moro e dei due negri.

La città ormai era stata oltrepassata e sulla riva non si scorgeva più alcuna abitazione. Si vedevano invece alberi bellissimi, d'aspetto imponente, cedri, ebani, acagiù, platanieri, cotonieri e sicomori giganteschi.

Negri e kissuri erano scomparsi, tuttavia nessuno si sentiva rassicurato. Quei bricconi dovevano essersi cacciati nelle boscaglie per sorprendere più tardi i fuggiaschi e fucilarli in qualche punto più stretto del canale o del fiume.

La scialuppa si teneva verso la riva opposta e raddoppiava la velocità. Però il marchese, Ben ed Esther si tenevano in guardia e sorvegliavano attentamente il margine della foresta, temendo ad ogni istante una sorpresa.

Intanto in lontananza, ad intervalli, si udivano sempre rullare fragorosamente i noggara ed echeggiare le conche da guerra.

Dopo aver percorso circa tre miglia, la scialuppa si trovò quasi improvvisamente dinanzi ad un fiume immenso, dalle acque torbide, che correvano verso l'est.

“Il Niger?” chiese il marchese.

“Sì, signore,” rispose El-Haggar. “Il canale di Kabra è terminato.”

“Ed i kissuri?”

“Non so dove siano andati. Temevo che ci aspettassero qui.”

“Che abbiano rinunciato a inseguirci?”

“Lo vedremo più tardi, signore.”

“Tu dunque non credi?”

“Ho i miei dubbi.”

“Dove andiamo?”

“Verso la riva sinistra; sulla destra abbiamo Koromeh.”

“Non siamo ancora troppo vicini a Kabra?”

“Vi ho detto che ci nasconderemo.”

“Avanti dunque,” concluse il marchese.

Il Niger, quantunque prima a Kabra dividesse la sua corrente formando due bracci ben distinti, era ricchissimo d'acqua e la sua larghezza sorpassava, in quel luogo, i tre chilometri.

Scorreva lento come il Nilo, fra due rive assai basse e molto boscose, trascinando un gran numero d'isolette galleggianti e di tronchi enormi, i quali si urtavano rumorosamente, ora sommergendosi ed ora tornando bruscamente a galla.

Le sue acque torbidissime, forse a causa di qualche recente acquazzone, formavano qua e là dei larghi gorghi, tuttavia non pericolosi per la scialuppa.

Nessuna barca in quel momento lo attraversava e nessun villaggio si scorgeva sulle sue rive.

Abbondavano invece gli uccelli acquatici, specialmente in mezzo ai canneti che crescevano numerosissimi lungo le sponde e sugli isolotti. Si vedevano tormi immensi di pellicani, di fenicotteri, di gru, di ibis bianche e nere e di tantali, mentre sulle isole galleggianti passeggiavano gravemente degli esemplari di balaeniceps rex, stravaganti uccellacci, alti più d'un metro, rassomiglianti un po' ai marabù dell'India, con gambe lunghe e la testa grossa, fornita d'un becco mostruoso, assolutamente sproporzionato al corpo.

I due battellieri negri osservavano attentamente la riva sinistra del fiume, ascoltarono per qualche minuto, poi, non udendo più rullare i tamburi, spinsero la scialuppa da quella parte, tagliando vigorosamente la corrente.

Un quarto d'ora dopo, attraversato un banco coperto di canne, spingevano l'imbarcazione entro una piccola cala circondata da enormi alberi, i quali proiettavano un'ombra così fitta da intercettare completamente i raggi del sole.

“Dalla luce accecante siamo piombati quasi fra le tenebre,” disse Rocco, deponendo il remo e tergendosi il sudore che gl'inondava il viso. “Ci fosse almeno un po' di frescura sotto queste piante! Pare invece di essere entrati in una serra calda.”

“Udite nulla voi?” chiese il marchese.

“No,” risposero tutti.

“Tuttavia non mi fido e proporrei di fare un giro sotto le piante. Vi pare, Ben?”

“Certo, così andremo a guadagnarci la colazione, poiché le rive del Niger abbondano di selvaggina.”

“Ed io?” chiese Esther.

“Non esponetevi,” rispose il marchese. “Forse fra queste piante vi sono dei negri imboscati e le palle non sempre vanno perdute.”

“Sì, rimani, sorella,” disse Ben. “Quando ci saremo accertati che non v'è alcun pericolo, potrai sbarcare.”

Il marchese, l'ebreo ed il sardo, presi i fucili, balzarono fra le piante, facendo fuggire uno stormo di pappagalli che schiamazzava sulla cima di alcuni cespugli. La foresta cominciava lì, una vera foresta africana in tutto il suo più esuberante splendore. Tutte le ricchezze della flora tropicale pareva si fossero riunite intorno a quel piccolo seno.

Ecco i giganteschi sicomori, gli splendidi banani dalle foglie immense, gli enormi manzanillieri, i cui fiori rossi spiccano superbamente fra il verde cupo delle foglie; i palmizi nani, i datteri spinosi e le acace fistolose, cinte da convolvoli arrampicanti il cui folto fogliame s'intreccia in pergolati naturali; ecco le baunie, le palme deleb, le dûm, ed ecco gli enormi baobab, i re dei vegetali, che da soli bastano a formare una piccola foresta ed i cui tronchi sono così enormi che venti e anche trenta uomini non sarebbero sufficienti per abbracciarli.

Da tutte le parti fuggono nubi di volatili dalle penne variopinte, pappagalli verdi, gialli e rossi; sciami di tordi dalle penne azzurre, di sberegrig (merops) colle piume d'un verde azzurro sotto il ventre, più fosche sopra e più chiare presso la coda, di leggiadre ortygometre, di anastoni e di pivieri bellissimi.

Sulle cime dei più alti alberi invece, numerose scimmie si divertono a fare una ginnastica indiavolata, balzando come palle di gomma e urlando a piena gola. Sono dei cercopitechi verdi, non più alti di mezzo metro, col pelame verdognolo ed i musi adorni di barbe bianche che danno a quei quadrumani un aspetto comicissimo.

“Non sarà difficile procurarci una deliziosa colazione,” disse Rocco, il quale aveva adocchiato una splendida ottarda che passeggiava gravemente in mezzo alle enormi radici dei vegetali.

“Ma non ora,” rispose il marchese. “Voglio prima assicurarmi se questa boscaglia è deserta. I negri non sono sciocchi e avranno notato la nostra direzione.”

“Eppure non odo più i tamburi rullare per le campagne.”

“È appunto questo silenzio che non mi rassicura, mio caro Rocco.”

“Che i kissuri abbiano seguita la riva del fiume?”

“Avevano dei buoni cavalli e non ci avranno perduti di vista.”

“Che ostinati!”

“Le nostre teste saranno state messe a buon prezzo,” disse Ben.

“E noi ci prenderemo quelle dei kissuri e le manderemo al sultano,” rispose Rocco.

“In pacco raccomandato?” chiese il marchese, ridendo.

“Già, mi dimenticavo che i negri non conoscono il servizio postale. Che barbari!” disse il sardo, con disprezzo.

Pur chiacchierando, s'inoltravano cautamente sotto quegli alberi i quali diventavano sempre più folti, rendendo la marcia molto difficile. Migliaia di piante parassite avvolgevano i tronchi, salivano fino ai più alti rami, poi ricadevano in festoni incrociandosi in mille guise, mentre le radici, non trovando terreno sufficiente, sorgevano dovunque, serpeggiando pel suolo come mostruosi rettili.

Già si erano allontanati due o trecento metri, quando improvvisamente udirono alcune scariche, che provenivano dalla parte del bacino, seguite da urla terribili.

Il marchese si era fatto pallidissimo: “Chi fa fuoco?”

“Alla scialuppa!” gridò Rocco, slanciandosi innanzi. “Odo la voce di El-Haggar!”

Infatti si udiva il moro urlare:

“Aiuto! Rapiscono la signora Esther!”

Il marchese ed i suoi compagni si erano lanciati fra le piante, correndo disperatamente.

I colpi di fucile erano cessati; ma si udiva in lontananza il moro gridare sempre:

“Aiuto! La portano via!”

In dieci secondi il marchese giunse presso la scialuppa. Non vi erano che i due battellieri rannicchiati sotto i banchi e tremanti ancora di spavento.

Un grido di disperazione proruppe dalle labbra del signor di Sartena:

“Esther! Esther! l'hanno rapita! El-Haggar!” La voce del moro rispose subito:

“Qui, signore! Fuggono!”

Poi seguì un colpo di fucile sparato probabilmente da lui.

I tre amici, guidati da quel lampo, si erano ricacciati nella foresta, gridando:

“Veniamo, El-Haggar! Tieni fermo!”

Trovarono il moro a trecento passi dalla riva, presso il tronco d'un baobab, in preda a una forte disperazione.

“I miserabili! L'hanno portata via e sono scomparsi! Ah! Povera signorina Esther!”

Il marchese, che era fuori di sé, lo afferrò per un braccio scuotendolo ruvidamente.

“Dimmi... parla... chi sono stati a portarla via?”

“Dei negri, signore,” singhiozzò il moro.

“Molti?”

“Erano in venti per lo meno.”

“Sei certo che non erano kissuri?” chiese Ben, che piangeva come un fanciullo.

“No, signore, erano negri, ci sono piombati addosso improvvisamente, hanno preso la signorina Esther, che era scesa a terra per venirvi incontro, e l'hanno portata via.”

“Inseguiamoli,” disse Rocco. “Non devono essere lontani.”

“Sì, diamo addosso a quei bricconi prima che escano dalla boscaglia,” gridò Ben.

“Un momento,” disse il marchese, che aveva riacquistato il suo sangue freddo. “Che El-Haggar torni alla scialuppa e che vegli sui due battellieri. Vi è il vostro tesoro, Ben e non dovete lasciarlo nelle mani di quei due negri.”

“Torno all'istante.” rispose il moro.

“E noi,” disse il marchese, “in marcia! E guai ai rapitori!”