I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Il ponte maledetto

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Il ponte maledetto

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Nel regno delle tenebre Una caccia sul Maronì

IL PONTE MALEDETTO


Una sera freddissima e nebbiosa del 1854, nel colmo dell'inverno, che nel Canadà è non solo lunghissimo ma anche freddissimo, un bel giovane di venticinque a ventisei anni, alto, bruno, con due occhi nerissimi, entrava in una certa fattoria situata sulle rive dell'Ottawa, che è uno dei principali fiumi di quel vasto possedimento inglese dell'America settentrionale.

Non aveva che un sacco da viaggio, un buon fucile e uno di quei lunghi coltelli, che gli americani chiamano bowie-knife, che hanno una tempra eccezionale.

Come tutte le case coloniche disseminate su quegli immensi territori, esposte sovente agli attacchi dei bellicosi uroni, che sono gl'indiani più fieri e più indomiti dell'America del Nord, aveva la sua cinta costruita con grossi rami di pino ed il suo ponte levatoio, che alla sera si rialzava per non calarlo che al mattino.

Il proprietario, un uomo alquanto attempato e robustissimo ancora, stava seduto dinanzi ad un immenso camino su cui ardeva un mezzo tronco di pino, chiacchierando con alcuni individui d'aspetto poco rassicurante, cenciosi, con i calzari sfondati e le cinture piene di pistole e di coltellacci.

Il servo della casa, un meticcio affezionatissimo al padrone, udendo il giovane chiedere ospitalità in lingua francese, non aveva avuto difficoltà ad abbassare il ponte ed introdurlo nella cinta. La notte d'altronde era così buia e così fredda, che gli sarebbe sembrata una crudeltà inaudita negare ospitalità ad un compatriota del padrone, il quale aveva sempre serbato amore profondo alla patria lontana.

Il colono, vedendolo entrare, non aveva potuto trattenere una esclamazione di sorpresa. Quegli occhi nerissimi, quei lineamenti fieri, quella tinta bruna, gli avevano subito ricordato un carissimo amico che aveva amato più che come un fratello, e che era tornato da dieci anni in Francia dopo una promessa scambiata fra loro due.

– Chi siete e che cosa desiderate? – chiese, andando incontro al giovane, il quale si era fermato, guardando con un po' d'inquietitudine quei cinque uomini armati, i cui volti contrastavano profondamente con quello aperto e leale del colono.

– Vi chiedo innanzi a tutto ospitalità – rispose il giovane. – Sono affamato e sfinito e al di fuori la nebbia è fitta e non conosco il paese. Sono dodici ore che cammino per giungere alla vostra fattoria.

– Qualcuno vi ha indirizzato qui? – chiese il colono che continuava a guardarlo attentamente.

– Voi siete Rabano Folgat, nato a Santerre ed emigrato venticinque anni or sono nel Canadà?

– Sono io.

– Vengo dalla Francia e sono sbarcato a Quebec due giorni or sono, per portarvi una lettera.

– Il vostro nome.

– Io sono il figlio di Felice Gar....

– Silenzio in nome di Dio – disse il colono, mettendogli rapidamente una mano sulla bocca.

Era diventato pallido. Prese il giovane per una mano e lo condusse presso il camino, dicendogli:

– Scaldatevi, povero giovane. Ora vi darò da mangiare e da bere e anche un buon letto più tardi.

Lo straniero quantunque fosse rimasto assai stupito da quelle parole e da quell'atto, s'era seduto subito dinanzi al fuoco, mentre i cinque pezzenti lo osservavano con sguardi sospettosi.

Avevano interrotta subito la conversazione e guardavano il colono come per chiedergli chi fosse quell'intruso che veniva a guastare la serata.

– È un povero ragazzo smarritosi fra la nebbia – aveva risposto Rabano Folgat, a mezza voce.

I cinque pezzenti o avventurieri che fossero, si erano rimessi a fumare ed a bere, discorrendo fra di loro in una lingua che il giovane non riusciva a comprendere.

Rabano intanto, che appariva sempre vivamente commosso, aveva recato al figlio di Felice Gar... della carne fredda e una bottiglia che recava la marca di Bordeaux, un vino preziosissimo per quelle regioni, e che probabilmente il colono teneva in serbo per qualche straordinario ricevimento.

Quella bottiglia aveva eccitata l'invidia dei cinque avventurieri, che dovevano accontentarsi a trangugiare della pessima acquavite americana.

– Compare Rabano – disse uno di loro in tono confidenziale, ciò che fece corrugare la fronte del colono. – È qualche principe d'oltremare quel giovane per offrirgli del Bordeaux?

– Offro ciò che mi pare e mi piace ai miei ospiti – rispose il colono, con voce piccata.

– E noi siamo degli straccioni – disse un altro. – A noi basta l'acquavite e bisogna anche pagarla mentre...

– Tacete! – gridò Rabano.

– Alza la voce il galantuomo – disse un terzo, che era già ubriaco. – Bada che l'Orso Rosso può fartela abbassare. Il Ponte Maledetto non è lontano e lui è là che aspetta sempre. Se vuoi, faremo fare la festa al tuo principe dei pezzenti che beve Bordeaux.

Aveva appena finito che il giovane straniero s'avventava sull'insolente, applicandogli due schiaffi così poderosi da mandarlo a ruzzolare in mezzo alla stanza.

– Mascalzone! – gridò il giovane. – Ciò t'insegnerà a rispettare un francese.

I compagni del percosso, quantunque fossero non meno ubriachi, si erano alzati mettendo mano ai coltelli, ma il giovane con un salto si era impadronito della carabina e l'aveva spianata contro quei birbaccioni, gridando:

– Se fate un passo o toccate le vostre pistole, vi mitraglio!

Anche Rabano non era rimasto passivo. Aveva raccolto la scure di cui si serviva per spaccare la legna e s'era messo a fianco del giovane animoso, dicendo con voce imperiosa:

– Uscite da qui, mascalzoni! Rabano Folgat è stanco delle vostre prepotenze... Uscite o scateno i cani!...

I cinque avventurieri, impauriti dalla minaccia del giovane, di cui uno di loro aveva già provata la forza, e anche dalla scure del colono, che pareva pronta a scendere sui loro crani, lasciarono in pace le armi e si diressero verso la porta dicendo:

– Sì, andiamo; buona sera.

Il giovane li seguì fino al ponte levatoio, sempre minacciandoli col fucile; lo fece calare dal servo, poi quando vide gli ubriaconi a scomparire nella nebbia, tornò nella cucina dove Rabano lo aspettava colle braccia aperte.

– Qui, sul mio cuore! – esclamò il colono, con voce commossa. – Voi somigliate a vostro padre, Felice Garran: perfino nel coraggio. Credevo che avesse dimenticata la promessa fattami dieci anni fa, prima della partenza. Mi ricordo le sue parole: «Io ho lasciato un figlio in Francia, che ha già quindici anni e tu hai una figlia che ne ha nove. Giuriamoci di unire un giorno i nostri figli e saldare così per sempre i vincoli della nostra inalterabile amicizia». È così, Roberto Garran? Ve le ripeté quelle parole?

– Sì, signor Rabano – disse il giovane. – Me le disse prima di morire, un mese fa.

– È morto il mio amico! – esclamò il colono, con uno schianto di dolore così intenso che commosse profondamente Roberto.

– È spirato fra le mie braccia, – disse il giovane, con voce mesta – e l'ultima parola uscitagli dalle labbra è stata: «Rabano...».

Il colono si era lasciato cadere sulla sedia singhiozzando e dicendo con voce spezzata:

– Potrò io ora mantenere la promessa? Perché non siete giunto tre mesi prima? Allora l'Orso Rosso non era qui e non aveva veduto ancora mia figlia, la mia Ellen.

Il figlio di Felice Garran non comprendeva più nulla della disperazione del colono, dell'amico intimo di suo padre. Che cosa c'entrava l'Orso Rosso colla sua felicità?

– Leggete la lettera che mi ha dato mio padre per voi, poco prima di morire – disse finalmente Roberto.

Rabano si asciugò le lagrime, ma quando l'ebbe letta, la sua disperazione invece di scemare, era aumentata.

– E se io invece di farvi felice vi perdessi! – esclamò alzandosi e passeggiando agitatamente per la stanza.

– Perdonate, signor Rabano, – disse Roberto, – vogliate spiegarvi. Non sono già un ragazzo e poco fa vi ho dimostrato che, la Dio mercé, il coraggio non mi fa difetto.

– Uditemi – rispose il colono sedendosi presso il giovane. – Tre mesi or sono giungeva in questa regione, che, come sapete, è quasi disabitata e ben lontana da ogni centro incivilito, una banda di sei avventurieri capitanati da un uomo che si fa chiamare l'Orso Rosso in causa del colore della sua barba e per la sua forza prodigiosa.

«Quei furfanti, che devono essere avanzi di galera, non tardarono a terrorizzare la regione, taglieggiando i pochi coloni che abitano qui.

«Essi hanno preso dimora presso il Ponte Maledetto che attraversa l'Ottawa e che è il solo che esista in queste parti, ponte di cui si servono per compiere le loro vendette quando noi, poveri coloni, ci rifiutiamo di dare tutto ciò che pretendono.

«Sotto vi è un gorgo spaventevole che non rende più le vittime, che vi vengono gettate dentro o che per accidente vi cadono.

«Un giorno, mentre attraversavo quel ponte per fare degli acquisti in una fattoria d'un mio amico, fui fermato dall'Orso Rosso, che come vi dissi, non si allontana quasi mai da quella località.

«Scorgendo mia figlia, tentò di accarezzarla. Io, indignato, lo colpii sul capo col calcio del fucile e l'avrei certamente finito se non fossero accorsi in suo aiuto i briganti che lo accompagnano. Mi credevo perduto e già mi pareva di sprofondare nel vortice spaventoso con una pietra legata al collo, quando l'Orso Rosso impose ai suoi banditi di lasciarmi libero.

«"Io ti dono la vita", mi disse, "mentre avrei potuto togliertela senza difficoltà! Te l'accordo però alla condizione che fra tre mesi tua figlia diventi mia moglie."»

– Vostra figlia moglie di quel miserabile! – esclamò Roberto, indignato.

– Io, – continuò il colono, – gli feci osservare che la cosa sarebbe stata assolutamente impossibile, perché era stata già destinata fino da bambina al figlio del mio amico Felice Garran, e che il fidanzato avrebbe potuto giungere da un momento all'altro.

«"Mandalo da me", mi rispose il bandito "e gli accomoderò le cose in modo da non lasciargli tempo di protestare."

«E mi invitò ad andarmene, gridandomi dietro: "Fra tre mesi!".»

– Signor Rabano – disse Roberto, con voce grave. – Io sono qui venuto per obbedire all'ultima volontà espressa da mio padre e se voi non avrete nulla di contrario la manterrò, dovessi sfidare il furore di tutti quei ladroni.

– E se voi sposerete Ellen, che tutti affermano essere la più bella fanciulla del distretto, io sarò il più felice dei padri – rispose il colono con voce commossa.

– Quando potrò vedere vostra figlia?

– Non si trova più qui – rispose il colono. – Temendo che l'Orso Rosso venisse a rapirmela, una notte oscura e nebbiosa ho attraversato l'Ottawa in una barca, protetto da alcuni amici e l'ho condotta nella fattoria di Giorgio Stowe, che è una specie di fortezza inaccessibile a quei briganti.

– Andremo a trovarla.

– Non fidatevi e soprattutto non abbiate fretta – disse il colono. – Sapete chi erano quei cenciosi che avete veduti qui? I banditi dell'Orso Rosso, i quali vengono quasi ogni sera a bermi dell'acquavite gratuitamente. Essi devono avere qualche sospetto su di voi, quantunque vi abbia impedito a tempo di pronunziare il nome di vostro padre.

Aveva appena terminato, quando nel cortile si udirono i cani di guardia a latrare furiosamente.

Il colono era diventato livido.

– Sono i briganti – disse. – Che vogliano rientrare?

– E noi li riceveremo come si meritano – disse il giovane. – Il figlio di Felice Garran mostrerà a quei banditi in quale conto li tiene.

Prese la carabina e uscì seguìto dal colono. Il servo era giù nel cortile, armato anche lui di fucile e con una lanterna in mano.

La notte era oscurissima e si udiva il vento a ululare attraverso gli ontani ed i pini e la nebbia era diventata più fitta che mai.

Appena la lanterna comparve sulla cima della cinta; si udì una voce levarsi fra l'oscurità:

– Rabano Folgat, mi ascolti. Sono l'Orso Rosso e la voragine del Ponte Maledetto questa sera mugge più forte del solito.

– Che cosa vuoi? – chiese il colono, tenendosi celato dietro la cinta.

– Sapere il nome dell'uomo che hai ospitato questa sera e che si è permesso di maltrattare la mia gente.

– Dorme e non so chi sia.

– Se ti è cara la vita, prima dell'alba lo manderai sul Ponte Maledetto. La sua strada è quella, ricordatelo, Rabano Folgat, e fra tre giorni mi darai in isposa la figlia. Addio.

Roberto Garran aveva alzato tre o quattro volte la carabina per far fuoco sul bandito audace che voleva contrastargli la fidanzata e non era mai riuscito a scorgerlo. Se avesse avuto qualche probabilità di colpirlo, non avrebbe esitato; sparare a casaccio sarebbe stato peggio che peggio e non voleva compromettere la vita del colono.

Quando furono certi che il brigante si fosse allontanato, rientrarono nella cucina, mentre il servo scatenava i cani, quattro grossi alani che non permettevano ad alcuno di entrare quando era notte ed il padrone dormiva.

Rabano Folgat era ancora livido e non già perché temesse per la propria vita, bensì per quella del giovane Roberto.

– Avete udito la minaccia? – chiese al figlio di Felice Garran.

– Sì – rispose questi.

– Che si deve fare?

– Sarà possibile attraversare il fiume?

– È in piena e grosse lastre di ghiaccio scendono. Una barca che volesse tentare la traversata, non andrebbe molto lontana senza venire spaccata.

– Cosicché per attraversare l'Ottawa non rimane che il Ponte Maledetto.

– Solo quello, Roberto.

– Uditemi, Rabano Folgat – disse il giovane, dopo aver pensato per qualche minuto. – Se domani voi vi troverete ancora qui, l'Orso Rosso ed i suoi banditi non mancheranno di venirvi a trovare e non so che cosa vi potrebbe costare quella visita.

– La vita – disse il colono.

– Tentiamo dunque la sorte.

– Volete dire?

– Che dobbiamo approfittare dell'oscurità della notte e della nebbia per passare il Ponte Maledetto.

– Ammiro il vostro coraggio – disse il colono. – Vostro padre vi ha trasfuso nelle vene il suo sangue valoroso.

– Acconsentite?

– Sì, perché non troverei altra soluzione e rimanendo qui perderemmo egualmente la vita, non essendo la mia fattoria così solida da resistere a lungo ad un attacco. Se riusciremo a giungere nella casa del mio amico Giorgio Stowe, non avremo più nulla da temere e troveremo colà la vostra fidanzata; così realizzeremo la vecchia promessa scambiata con vostro padre.

Erano già suonate le undici e l'ora sembrava ad entrambi propizia per tentare, con qualche probabilità di riuscita, l'arduo passaggio del Ponte Maledetto.

Rabano fece portare due pellicce per ripararsi dal freddo che doveva essere pungente, presero le loro carabine, i coltelli, due scuri e uscirono dopo d'aver raccomandato al servo di rinchiudere i cani per paura che qualcuno li seguisse e che coi suoi latrati mettesse in allarme i banditi.

Attraversato il fosso di cinta sul ponte levatoio, si trovarono avvolti fra la nebbia, la quale scendeva a ondate, spinta da un vento freddissimo. Qualche fiocco di neve cominciava a cadere.

Rabano, che abitava quella fattoria da oltre vent'anni, conosceva il terreno passo per passo, e non vi era pericolo che si smarrisse. Sarebbe stato capace di giungere sulle rive dell'Ottawa anche con gli occhi bendati.

Girò intorno alla casa finché scoprì un sentieruzzo incassato fra due siepi altissime e si mise a seguirlo tenendo per mano Roberto, il quale si trovava, da solo, nell'impossibilità di fare dieci passi senza deviare a destra od a sinistra.

Il colono, che sospettava qualche sorveglianza da parte dei banditi, di quando in quando si fermava per ascoltare credendo di udire fra gli ululati del vento, delle voci umane.

Camminarono così per venti minuti, finché udirono un lontano fragore, misto a dei cozzi sordi.

– È il fiume – disse Rabano.

– È lontano il ponte? – chiese Roberto.

– Appena cinquecento passi.

Scavalcò la siepe e lasciò il sentiero che fino allora aveva seguito, inoltrandosi attraverso dei burroncelli coperti di cespugli.

Camminava con passo sicuro, senza mai esitare, come se avesse gli occhi d un gatto.

Ad un tratto s'arrestò. Dinanzi a loro si udivano dei muggiti formidabili che ora diminuivano e che ora acquistavano una intensità paurosa.

– È il vortice – disse Rabano.

Roberto provò un brivido. Si ricordava in quel momento le sinistre parole dell'Orso Rosso:

– La voragine del Ponte Maledetto questa sera mugge più forte del solito.

– Andiamo? – chiese Rabano.

– Sì – rispose Roberto. – Questo non è il momento di indietreggiare.

Armarono le carabine e si misero nuovamente in marcia, camminando sulla punta dei piedi per non attirare l'attenzione dei banditi che forse vegliavano all'estremità del ponte.

Il fracasso che produceva il vortice era tale da mettere i brividi addosso. Ruggiva, muggiva, fischiava e crepitava, travolgendo i ghiacci della corrente che poi sminuzzava.

Il ponte stava dinanzi a Rabano ed a Roberto. Era una semplice pedana, formata da due lunghissimi tronchi di abete appoggiati alle due rive e difesa dalle parti da una balaustrata di rami rozzamente incrociati.

I due uomini vi si avventarono col cuore trepidante, tenendo le carabine puntate, per essere più pronti.

I due tronchi di pino scricchiolavano sotto i loro piedi ma i muggiti assordanti del gorgo impedivano che fossero uditi dalla parte opposta.

Nessuno pareva che vegliasse sul ponte. I banditi, tenendosi certi che Rabano non avesse osato disobbedire ai loro ordini, dovevano essersi rifugiati nella loro capanna per prendere un po' di riposo e per mettersi al riparo del nebbione.

C'erano parecchie ore prima del sorgere dell'alba, quindi era inutile mettersi a guardia sul ponte.

– Non vedo nessuno – disse Rabano che era già quasi giunto dall'altra parte.

Superò l'ultimo tratto e balzò sulla riva. Roberto stava per seguirlo, quando due forme nere gli piombarono improvvisamente addosso, lo alzarono e lo sporsero fuori del parapetto.

Si udì un urlo, poi un tonfo che fu subito coperto dai muggiti del vortice.


* * *


Quando il sole cominciava a diradare le tenebre e anche le nebbie, Rabano fu trovato nei pressi della fattoria di Giorgio Stowe, che girava come un pazzo in mezzo ai campi coltivati.

Come si trovava colà? Lo stesso Rabano, il cui cervello pareva che avesse subìta una scossa potente, non sarebbe stato capace di dirlo.

Aveva gli occhi smarriti e gesticolava come un delirante, pronunciava parole mezze tronche.

– Il francese... il Ponte Maledetto... i banditi... l'hanno annegato...

Giorgio Stowe, un ricco colono che possedeva una vastissima fattoria, popolata da oltre quaranta persone tra cacciatori e contadini, appena avvertito della presenza del suo amico, lo aveva fatto trasportare in una stanza, guardandosi dall'avvisare la figlia del disgraziato, onde non spaventarla.

Rabano delirava, parlando sempre e sempre ripetendo le medesime parole:

– Ponte Maledetto... banditi... francese... annegato... vortice...

Non ci volle molto a Giorgio Stowe a comprendere che qualche nuovo delitto era stato commesso sul Ponte Maledetto. Non riusciva però a sapere chi fosse la nuova vittima.

Fu solamente dopo il mezzodì, in un momento di lucidità, che Rabano pronunciò il nome di Roberto Garran.

Fu per il ricco colono una rivelazione.

Sapeva della promessa scambiata, dieci anni prima, fra Rabano e Felice Garran e indovinò presto ciò che doveva essere successo. L'Orso Rosso, che aspirava alla mano della bella e bionda Ellen, doveva aver soppresso il suo rivale precipitandolo nel vortice del Ponte Maledetto.

Era troppo! Bisognava finirla con quella piccola banda di bricconi che da tre mesi terrorizzava tutti i coloni dei dintorni e che aveva avuto persino l'audacia di mostrarsi in vista della fattoria.

Giorgio, che era un valoroso, chiamò tutti i cacciatori e tutti i contadini che aveva alle sue dipendenze, fece distribuire dei buoni fucili e abbondanti munizioni e disse con voce decisa:

– Andiamo a distruggere quei banditi. La loro ultima ora è arrivata!...

Raccomandò l'amico Rabano alle cure di alcuni vecchi, che non potevano prendere parte alla pericolosa spedizione e la truppa partì, risoluta a finirla una buona volta coll'Orso Rosso ed i suoi accoliti.

Il Ponte Maledetto non si trovava che a una mezza dozzina di miglia dalla fattoria. Per impedire che i banditi potessero salvarsi sulla riva opposta, Giorgio Stowe divise la sua truppa in due gruppi, i quali dovevano avvicinarsi di soppiatto e prendere i nemici fra due fuochi.

Si gettarono in mezzo ai boschi di pini per non farsi scorgere e giunsero quasi contemporaneamente sulle rive dell'Ottawa.

I banditi si trovavano nella loro capanna, una casuccia costruita presso il ponte, con tronchi d'alberi e pelli. Il fumo che si alzava da un vecchio tubo di ferro, li aveva traditi.

I due gruppi, giunti a cinquecento passi spararono alcuni colpi di fucile, gridando:

– Arrendetevi o siete morti!...

I banditi, udendo i primi spari, erano balzati fuori colle armi in pugno. Fra loro vi era l'Orso Rosso, un omaccio alto due metri, grosso come un rinoceronte, con una lunga barba rossa e ispida.

Vedendosi presi fra due fuochi, scaricarono le loro carabine, poi si slanciarono sul ponte per salvarsi sulla riva opposta.

Erano già giunti nel mezzo, quando all'altra estremità si vide comparire una forma umana che indossava una pelliccia tutta incrostata di ghiaccio e che teneva in mano una scure.

– Cani! – gridò quell'uomo in francese. – Ora cadrete voi nel vortice! Roberto Garran è uscito vivo ma voi no!

Poi con quattro o cinque colpi di scure, vibrati con forza irresistibile, spezzò due tronchi di pino.

Il ponte si era inchinato sopra il vortice, le cui onde tumultuose si slanciarono in alto, muggendo e spruzzando spuma tutto all'intorno.

Si udirono delle urla e delle imprecazioni spaventevoli, poi seguì uno schianto.

Il ponte era caduto ed i banditi erano precipitati nel vortice che s'era subito chiuso su di loro.

Giorgio Stowe ed i suoi uomini avevano assistito a quell'orribile scena senza nulla tentare per portare soccorso ai banditi che avevano giudicati meritevoli di morte.

Tutti si chiedevano invece chi era quell'uomo che somigliava ad uno spettro uscito da un blocco di ghiaccio e che era giunto in così buon punto per impedire la ritirata all'Orso Rosso ed ai suoi banditi.

Lo sconosciuto, dopo aver guardato a lungo il vortice, come per assicurarsi che nessuno di quei miserabili fosse riuscito a salvarsi, si volse verso Giorgio Stowe, chiedendo:

– Dov'è Rabano Folgat?

– In salvo nella mia fattoria – rispose il colono. – E voi, chi siete?

– Roberto Garran.

– Quello che avevano gettato nel vortice? – chiese il colono, stupito. – Siete vivo o siete l'ombra di quel disgraziato?

– Sono vivo, ma mi sento morire di freddo.

– Un ponte! Improvvisiamo un ponte! – gridò Giorgio Stowe. – Bisogna salvarlo!

Venti uomini si diressero verso la foresta dove s'alzavano dei pini immensi. In pochi minuti ne abbatterono due, sufficientemente lunghi per gettarli fra le due rive, e li spinsero sopra il fiume, gettando contemporaneamente delle corde a Roberto onde li aiutasse.


* * *


Mezz'ora dopo il creduto morto si trovava nelle braccia del bravo colono.

Fu acceso un gran fuoco, fu spogliato delle sue vesti che erano incrostate di ghiacciuoli, e avvolto in coperte di lana ben riscaldate; una sorsata di forte whisky gli fece tornare il calore e arrestare l'assideramento.

Quando Giorgio lo vide in stato di poter essere trasportato alla sua fattoria, fece costruire una barella e tutti si misero in cammino.

Roberto era sfuggito alla morte per un caso veramente miracoloso. Come abbiamo detto, quella notte l'Ottawa trascinava nella sua corsa disordinata un gran numero di blocchi di ghiaccio staccatisi dai laghi che l'alimentavano.

Per un caso inaudito, nel momento in cui il povero giovane stava per venire subissato, aveva urtato contro un lastrone di ghiaccio e vi si era aggrappato coll'energia della disperazione.

Si era sentito sommergere, poi spingere a galla, poi rotolare e rigirare, finché la corrente lo aveva spinto fuori dal vortice, scagliandolo contro la riva.

Buon nuotatore, robusto e soprattutto energico, Roberto non aveva smarriti ancora i sensi. Si era subito arrampicato su per la riva, nascondendosi fra alcune rocce.

Quantunque si sentisse gelare, non aveva osato lasciare il suo nascondiglio, per paura di venire scorto dai banditi che si trovavano così poco lontani.

Stava per cadere in un profondo torpore, precursore della morte, quando aveva udito gli spari. Alla cintura aveva ancora la scure. Comprendendo che si stava per assalire i banditi, era balzato verso il ponte e l'aveva tagliato, facendo cadere quei furfanti nell'abisso.

Una settimana dopo, Roberto, completamente ristabilito, impalmava la figlia di Rabano, una bellissima creatura coi capelli biondi e gli occhi neri, che lo avevano subito colpito al cuore.

Rabano è ora il più felice colono dell'alto Canadà e Roberto ed Ellen non lo sono meno di lui e formano la coppia più ammirabile di tutto il dipartimento.