I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/La corriera della California

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La corriera della California

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Il bisonte nero Un'avventura in Siberia

LA CORRIERA DELLA CALIFORNIA


Trent'anni or sono, quando l'America settentrionale non aveva ancora costruito quella gigantesca e maravigliosa linea ferroviaria, che doveva congiungere New-York, la Regina dell'Atlantico, a San Francisco di California, la Regina dell'Oceano Pacifico, le comunicazioni erano difficilissime e anche pericolosissime.

Si usavano allora delle grandi corriere del genere di quelle usate dai nostri nonni, col ventre enorme, con un immenso cofano attaccato sul di dietro per le corrispondenze e l'imperiale in cima.

Non potevano contenere più di otto persone ed erano tirate da tre paia di cavalli che venivano cambiati ogni volta che la corriera giungeva ai forti disseminati sulle immense praterie dell'Arkansas, del territorio indiano e dell'Utah.

Erano guidate da uno o da due robusti cocchieri d'un coraggio a tutta prova, armati sempre fino ai denti e per fare quella traversata, che oggi la ferrovia del Pacifico compie in non più di otto giorni, ci volevano non meno di otto settimane e talvolta anche di più.

I disastri cui erano esposte quelle corriere erano tanti e tanti, che i viaggiatori, prima della partenza, facevano testamento, così poco sicuri erano di giungere vivi a destinazione.

Ora erano gl'indiani in quel tempo assai più numerosi d'oggidì, che erano sempre in guerra coi coloni di razza bianca e coi soldati del governo; ora, invece, i bisonti che assalivano le corriere, rovesciandole e riducendole in così pessimo stato da non poter più proseguire; ora i ferocissimi orsi grigi che si gettavano sui cavalli e che li divoravano.

I disgraziati viaggiatori, abbandonati in mezzo a quelle sterminate praterie, lontani centinaia di miglia dal posto più vicino, non di rado morivano di fame se non cadevano nelle mani delle pellirosse, ben più crudeli delle belve, e dalle quali non uscivano più vivi.

Una sera dell'ottobre del 1867, una di quelle enormi berline, la cui forma antiquata ricordava il secolo XVIII, si fermava dinanzi a Clinton, una piccola stazione perduta fra le solitudini dell'Arkansas, composta d'una ventina di capanne di legno e d'un fortino guardato da una minuscola guarnigione, posta lì a difesa di quelle quindici famiglie di coloni.

Era guidata da un uomo di forme erculee, certo Morgatt, uno dei più noti corrieri che aveva compiuto più di quindici volte il viaggio fra San Francisco di California e Chicago, combattendo contro gl'indiani e contro i briganti delle praterie, che non erano meno terribili dei primi.

Nell'interno vi erano tre soli viaggiatori: un giovane canadese, che si recava nella Regina del Pacifico a raccogliere una grossa eredità lasciatagli da un parente di sua madre, e due negozianti di pellicce.

L'erculeo Morgatt s'era appena messo a tavola dinanzi ad un superbo tacchino selvatico offertogli dal comandante del posto e che si proponeva di far scomparire tutto nel suo ampio ventre, in attesa che si cambiassero i cavalli, quando gli si presentò un uomo sui trent'anni che indossava il costume dei cacciatori di prateria, con ampi calzoni alla messicana di flanella azzurra con arabeschi dorati e con nodi infioccati.

– Quando ripartite? – gli chiese senza preamboli il cacciatore.

– Appena avranno attaccato i cavalli di ricambio – rispose il gigante senza levare gli occhi dal tacchino che era mezzo spolpato. – Sono in ritardo di ventiquattr'ore ed ho fretta di riacquistare il tempo perduto.

– Fra un'ora dunque?

– Sì, se i viaggiatori che conduco con me si saranno riposati sufficientemente.

– Avete due posti?

– Anche quattro.

– Non siamo che in due: io e mia moglie Mary.

– Va benissimo – rispose Morgatt, continuando a divorare. – Quaranta dollari ciascuno e le provvigioni a vostro carico.

– Devo avvertirvi che, prendendo sulla vostra corriera me e mia moglie, vi esporrete al pericolo di venire assalito e di passare un brutto momento.

Morgatt alzò il capo, guardando per la prima volta il cacciatore di prateria.

Colui che gli parlava era un bell'uomo, alto e robusto, dal viso fiero, ornato da una lunga barba nera, uno di quegli uomini che non dovevano facilmente tremare dinanzi ad un pericolo.

Il corriere, soddisfatto del suo esame, puntò i gomiti sulla tavola, appoggiando il mento sulle mani e disse:

– Perché dite che, prendendo voi e vostra moglie, noi verremmo assaliti? Chi siete voi?

– Un irlandese, il cacciatore O' Brien.

Levò dalla sua tasca una bottiglia di gin, con un colpo di coltello la decapitò ed empiendo due bicchieri che si trovavano sulla tavola disse:

– Se avete la pazienza di ascoltarmi, vi dirò il perché noi correremo il pericolo di venire assaliti.

– Quando si ha una bottiglia dinanzi, si può sempre ascoltare – rispose il corriere dopo d'aver vuotato d'un colpo solo il bicchiere. – Parlate, signor O' Brien.

– Dovete sapere, – disse l'irlandese, – che quattro settimane or sono, mentre inseguivo un orso nero che avevo ferito sulle rive d'un fiumicello, facevo l'incontro d'un capo indiano che avevo trovato già altre volte sui miei passi, senza che mi avesse usato alcuno sgarbo.

– Chi era? – chiese Morgatt.

– Un comanche.

– Cattivi indiani che non risparmiano i prigionieri – disse il corriere. – Sono sfuggito parecchie volte ai loro attacchi con molta fatica. Continuate, signor O' Brien.

– Quel capo mi fece cenno di fermarmi. Gettò la sua lancia e la sua scure di guerra per farmi comprendere che aveva intenzioni pacifiche, poi avvicinatosi a me mi disse: «Tu sei il compagno della Fragola dei boschi».

– Chi è questa Fragola dei boschi? – chiese Morgatt.

– Alludeva a mia moglie – rispose l'irlandese.

– Continuate – disse il corriere. – La storia diventa interessante.

– «Io sono un gran capo» mi disse l'indiano. «Posseggo quattro tende e cinquanta cavalli e comando a trenta guerrieri che non hanno paura di nessuno. Io ho veduto un giorno la Fragola dei boschi che cacciava assieme a te e me ne sono invaghito perdutamente. Se tu me la cedi, ti darò le mie tende, i miei cavalli e anche le mie armi.» Non so bene che cosa risposi in quel momento a quel briccone insolente; credo d'averlo mandato in non so qual paese.

– Pretendeva vostra moglie quel muso rosso?

– E nel lasciarmi mi giurò che me l'avrebbe rapita anche se l'avessi nascosta nel fortino – disse l'irlandese.

– Sono gente senza scrupoli gl'indiani – disse il corriere.

– Come ben comprenderete io non ho più potuto vivere tranquillo. La minaccia dell'indiano mi risuona continuamente agli orecchi e temo che un brutto giorno quei predoni piombino davvero sul villaggio e portino via la mia Mary. Perciò ho deciso di andarmene in California, dove forse troverò anche maggior fortuna fra le foreste della Sierra Nevada.

– Avete più veduto quel capo? – chiese Morgatt, dopo qualche po' di silenzio.

– Due sere or sono tutti i cani del villaggio si misero a latrare furiosamente, spargendo l'allarme fra la piccola guarnigione del forte. Sono certo che annunziavano la vicinanza degli indiani. Siete ancora deciso a prendere sulla corriera me e mia moglie?

Morgatt vuotò un altro bicchiere, guardando distrattamente il fondo, poi disse con voce risoluta:

– Preparate il vostro bagaglio e non dimenticate di portare un buon fucile e delle munizioni. Se gl'indiani spiano il villaggio e cercheranno di assalirci, li faremo correre.

– Grazie – rispose O' Brien, andandosene frettolosamente.

Morgatt terminò la sua copiosa cena, accese la sua pipa senza che il suo viso, sempre calmo, tradisse la menoma preoccupazione, poi uscì nel cortile del fortino dove la corriera era già pronta.

Esaminò attentamente i sei cavalli di cambio, sei bellissimi animali di prateria, ancora un po' selvaggi, con le lunghe criniere ed i fianchi stretti da veri corridori, esaminò poi ad una ad una le bardature per essere certo della loro solidità, poi levò dalla cassa due enormi tromboni spagnoli che caricò attentamente con un pugno di proiettili.

– Bucherò per bene la pelle dei banditi della prateria – disse, facendo schioccare le dita. – Morgatt non ha paura di quei vermi rossi.

I tre viaggiatori che avevano terminato di cenare, erano già usciti nel cortile quando giunse O' Brien seguito dalla moglie.

La Fragola dei boschi era una bella e giovane messicana, appena ventenne, con la pelle leggermente bruna e gli occhi neri e vellutati come hanno tutte le donne di origine spagnola. Indossava il pittoresco costume delle sonoriane1 con la manta a tinte vivaci e a lunghe frange e la sottana di velluto con molti bottoni dorati. Al pari di suo marito, portava una carabina di cui sapeva servirsi con rara abilità, come d'altronde sanno adoprarla tutte le donne che vivono presso le frontiere indiane.

I tre viaggiatori, lieti di quell'aumento di forze, fecero posto alla bella messicana e la corriera partì fra un tintinnìo assordante di sonagli.

O' Brien, invece di collocarsi nell'interno della berlina, aveva preferito sedere a fianco del cocchiere, tenendo il fucile fra le gambe.

Lasciato il villaggio, la corriera si slanciò sulla sterminata prateria, seguendo due profondi solchi, i soli che indicassero la via battuta dai veicoli.

La notte era buia e soffiava un vento piuttosto freddo, eppure i cavalli sotto le sferzate incessanti del cocchiere galoppavano rapidissimi come se non sentissero nemmeno il peso della massiccia berlina.

A destra ed a sinistra le erbe crescevano altissime. Erano delle splendide graminacee che avrebbero fatto la fortuna d'un allevatore di bestiame e che allora non servivano a nessuno perché la paura di venire assaliti dagl'indiani tratteneva ancora i coloni attorno ai posti, dove almeno si sentivano un po' sicuri sotto la protezione dei fortini.

O' Brien ed il cocchiere aprivano bene gli occhi, scrutando quelle folte erbe, che i due fanali a malapena illuminavano, senza scorgere però almeno fino allora nulla di sospetto. Che fossero tuttavia tranquilli vi era da dubitare assai, anzi l'erculeo cocchiere di quando in quando s'alzava in piedi per meglio dominare la prateria.

– Hum! – brontolava. – Questa tranquillità non mi tranquillizza; che cosa ne dite voi, O' Brien?

– Vedremo – rispondeva il cacciatore.

I cavalli continuavano intanto la loro corsa indiavolata, divorando lo spazio con fantastica rapidità. Erano animali solidi, dai garretti d'acciaio, capaci di resistere dieci ore di seguito senza sostare un solo momento.

Ora che si erano scaldati non occorreva più far uso della frusta e nemmeno delle briglie. Seguivano il sentiero quasi per istinto, senza mai deviare né a destra, né a manca.

Avevano così percorso quasi quindici miglia, sempre inoltrandosi nella sterminata prateria, quando O' Brien, che tendeva gli orecchi, disse improvvisamente a Morgatt:

– Ho udito il fischietto di guerra di quelle maledette pellirosse.

– Come è possibile che l'abbiate distinto fra tutto questo fracasso? – rispose il cocchiere.

– Eppure sono certo di non essermi sbagliato – affermò il cacciatore.

– Dove ha risuonato? A destra o a sinistra?

– A destra, mi parve.

Morgatt si alzò e guardò attentamente fra le alte erbe. L'oscurità era sempre così profonda da non poter distinguere degli uomini che si fossero tenuti celati fra le graminacee.

– Non si vede nulla – disse, facendo un gesto di malumore.

Picchiò contro i cristalli della berlina e gridò ai viaggiatori:

– Preparate le armi.

– Vi sono gl'indiani? – chiese il giovane che si recava a San Francisco a raccogliere l'eredità, senza manifestare alcuna apprensione.

– Non ne so nulla per ora; può darsi che da un momento all'altro ci piombino addosso.

Si collocò fra le gambe uno dei due tromboni, raccolse le briglie e sferzò i sei cavalli con mano poderosa, gridando:

– Al galoppo, agnellini miei!

Aveva appena pronunziato quelle parole, quando O' Brien gli mise una mano sulla spalla, dicendo con voce un po' alterata:

– Vengono.

– Le pellirosse? – chiese Morgatt, aggrottando la fronte.

– Vedo sei o sette cavalieri galoppare dietro a noi; mi sembrano indiani.

Il cocchiere si volse e scorse, infatti, alcuni cavalieri che seguivano il sentiero, tenendosi ad una distanza di tre o quattrocento passi.

– Da dove sono sbucati costoro? – si chiese. – Che fra loro vi sia anche il capo che voleva rapirvi la moglie?

– Ne sono quasi certo – rispose O' Brien. – Qualcuno lo avrà informato della mia fuga e avrà raccolto alcuni guerrieri.

– Se sono tutti quelli che ha ai suoi ordini non c'è da inquietarsi – disse Morgatt. – Con due colpi di trombone li crivello come schiumarole. Per ora facciamoli correre.

– Quando potremo giungere al posto di cambio?

– Non prima di domani a mezzodì – rispose Morgatt. – È molto lontano, ma spero che lo raggiungeremo senza lasciare la nostra capigliatura nelle mani dei comanches.

Gl'indiani – giacché non vi era ormai più alcun dubbio che fossero altre persone – non mostravano d'aver alcuna premura di dare addosso alla corriera. Si contentavano di seguirla, mantenendo la distanza.

Solamente due si erano gettati nella prateria e, si vedevano galoppare sul fianco destro della corriera, pur tenendosi fuori di portata dai tromboni del cocchiere coi quali forse avevano fatto più d'una volta conoscenza.

Quella manovra non tranquillizzava molto Morgatt. Avrebbe desiderato un pronto attacco, piuttosto di vedersi seguìto a distanza.

Gl'indiani dovevano avere qualche motivo per agire a quel modo che contrastava con la loro abituale impetuosità.

– Che cosa ne dite voi, O' Brien? – chiese al cacciatore, che non era meno preoccupato.

– Che quegl'indiani aspettano dei compagni prima di assalirci – rispose O' Brien.

– Allora l'affare diventerebbe serio – disse il cocchiere. – Se potessimo intanto sbarazzarci di questi? La vostra carabina è di un buon calibro, è vero?

– E di buona portata anche.

– Sparate qualche colpo. Sapendoci bene armati chi sa che quei rettili non rinuncino all'inseguimento.

– Hum! Se vi è fra loro il capo che voleva rapirmi Mary, non ci lasceranno tranquilli.

Armò la carabina e mirò uno dei due indiani che galoppava nella prateria.

La detonazione non si era ancora spenta, che uno dei due cavalli, dopo aver fatto un salto gigantesco, capitombolava in mezzo alle alte erbe assieme al cavaliere.

– Bel colpo! – esclamò Morgatt. – Tirate come un cacciatore del Canadà, signor O' Brien.

In quel momento urla terribili risuonarono in mezzo alla prateria. Erano le grida dei comanches.

– Eccoli! – esclamò O' Brien, impallidendo. – Li aspettavo!

Morgatt fermò con una strappata poderosa i cavalli, gridando ai tre viaggiatori che stavano nell'interno della berlina:

– Andiamo, signori, prendete i vostri fucili e salite sull'imperiale. Lasciate la signora a riparo, dietro la cassa.

Il giovane canadese pel primo, poi gli altri due balzarono lestamente fuori, portando le loro carabine e le loro pistole e s'inerpicarono rapidamente sull'imperiale, dove già si trovava O' Brien.

– Incaricatevi del fuoco voi – disse Morgatt. – Io mi occupo dei cavalli.

La corriera aveva ripreso la corsa, slanciandosi verso le alte erbe della prateria. Andava all'impazzata, trabalzando e scricchiolando, trascinata in una corsa vertiginosa.

I sei cavalli, spaventati dalle grida degl'indiani ed eccitati dalle poderose ed incessanti sferzate di Morgatt, balzavano come cervi, con le lunghe criniere al vento, mandando nitriti di dolore ad ogni colpo di frusta.

Gl'indiani, che possedevano pure buoni cavalli, in brevi istanti furono a tiro di freccia e cominciarono a lanciare dardi sull'imperiale, ma ben pochi giungevano a destinazione in causa delle scosse disordinate che gli animali imprimevano ai viaggiatori.

O' Brien ed i suoi compagni avevano aperto un fuoco vivissimo contro gli assalitori, tuttavia anche i loro colpi non producevano troppi danni non potendo mirare con qualche speranza di colpire il bersaglio.

I soprassalti della corriera ad ogni momento li facevano cadere uno addosso all'altro e molti colpi di fucile andavano perduti.

Qualche cavallo e qualche indiano erano però caduti morti o feriti, senza che per questo gli altri si spaventassero. Anzi ogni volta che qualche guerriero balzava di sella, raddoppiavano le urla e si facevano più sotto alla corriera, saettando i difensori, e gridando a squarciagola:

– Arrendetevi o vi strapperemo le capigliature!

Alla cui minaccia Morgatt rispondeva con voce tuonante:

– Fuoco, signori! Fucilate per bene quei cani!

La corriera continuava la sua fuga, mentre il cacciatore ed i tre viaggiatori mantenevano un fuoco vivissimo. Si distingueva specialmente il giovane che andava a raccogliere l'eredità; si esponeva intrepidamente alle frecce dei nemici e di rado sbagliava il colpo.

Neppure la messicana non rimaneva inoperosa. Di quando in quando sporgeva la sua carabina dallo sportello e faceva qualche bel colpo, abbattendo ora un cavallo ed ora un indiano.

Quella corsa non doveva durare molto. Gl'indiani comanches sono i più valorosi guerrieri delle tribù indiane e non indietreggiano facilmente neppur quando devono misurarsi, a numero pari, con gli uomini di razza bianca.

Vedendo che la resistenza diventava ostinata, si erano divisi in due drappelli per assalire i cavalli della corriera. Morti gli animali erano certi di aver presto ragione di quel minuscolo gruppo di visi-pallidi.

O' Brien, accortosi delle loro intenzioni, gridò:

– Attento, Morgatt! Badate ai cavalli!

Qualche dardo aveva già colpito i due animali di testa, facendoli impennare.

Il cocchiere lasciò per un momento le briglie, prese un trombone e lo scaricò in mezzo ai cavalieri.

Due animali e tre indiani, feriti dai pallottoloni, caddero fra le urla di furore dei loro compagni.

In quel momento si udì O' Brien a gridare:

– Il capo!

Un indiano di alta statura, che portava sul capo un diadema d'oro adorno di penne di tacchino selvatico e che montava un bellissimo mustano, bianco come la neve, si era avvicinato a portata di voce, gridando all'irlandese:

– Cedimi la Fragola dei boschi o ti farò bruciare vivo al palo della tortura!

O' Brien rispose con un colpo di carabina; la palla, in causa d'un brusco soprassalto della corriera, si perdette altrove.

– Lasciate fare a me – disse il giovane canadese.

Aveva appena allora caricato il fucile. Mirò attentamente, poi sparò.

Il capo, colpito in mezzo al petto, si portò le mani sul cuore, lasciando cadere la lunga lancia che impugnava e stramazzò al suolo fulminato, mentre il suo mustano fuggiva attraverso la prateria, scomparendo fra le alte erbe.

Un urlìo terribile si era alzato fra gl'indiani. Resi furiosi per la morte del loro condottiero, si gettarono contro i cavalli della corriera, crivellandoli a colpi di lancia.

I poveri animali, quantunque gravemente feriti, continuarono la corsa per alcuni minuti, poi caddero uno sull'altro.

L'enorme carrozzone, arrestato di colpo, si rovesciò violentemente, sbalzando in mezzo alle erbe il cocchiere e gli uomini che si trovavano sull'imperiale.

Gl'indiani erano scesi rapidamente da cavallo. Mentre alcuni strappavano dall'interno della corriera la messicana, gli altri si erano slanciati fra le erbe per piombare addosso agli uomini bianchi, che erano rimasti così storditi da quell'improvviso capitombolo da non aver più la forza di opporre resistenza alcuna.

Non tutti però erano rimasti malconci. Uno, approfittando della confusione, era lestamente sgattaiolato fra le erbe, che erano altissime in quel luogo, ed era scomparso in mezzo ad un folto macchione di jucche, senza che nessuno se ne fosse accorto.

Quell'uomo era Morgatt.

Il colosso avrebbe potuto opporre una lunga resistenza, anche perché nella caduta non aveva abbandonato il suo trombone. Aveva invece preferito allontanarsi silenziosamente, pensando che sarebbe stato più utile ai suoi compagni di sventura libero anziché prigioniero.

Gl'indiani, che in causa dell'oscurità non avevano potuto accertarsi del numero delle persone che si trovavano nella corriera, e che d'altronde non avevano mai veduto il colosso che era sempre rimasto nascosto ai loro occhi dietro l'imperiale, non si erano nemmeno accorti della sua scomparsa.

Lieti del successo, avevano legato solidamente i prigionieri, compresa la messicana, avevano saccheggiato la corriera, poi erano saliti sui loro cavalli per far ritorno al loro accampamento.

Morgatt li lasciò andare senza importunarli e quando li vide fra le tenebre, uscì dal cespuglio.

– Andate pure, – disse, – ma avrete presto mie nuove. Non siete troppo furbi, miei cari, ed io lo sono tre volte più di voi.

S'avvicinò alla corriera e guardò i cavalli. Quattro erano già spirati e gli altri due rantolavano.

– Non c'è da sperare nulla in questi – mormorò. – Ed il posto è ancora così lontano! Potrò arrivare in tempo? Le gambe sono solide e cinque leghe non mi spaventano. I prigionieri non verranno subito attaccati al palo della tortura e forse giungerò in buon punto per strapparli a quei maledetti barbari.

Stava per mettersi risolutamente in marcia, quando scorse una grande ombra bianca avanzarsi fra le erbe.

– Dev'essere il cavallo del capo indiano che torna presso il suo padrone – disse. – Ecco una bella occasione per impadronirmene.

Come tutti gli americani dell'ovest, portava attorno ai fianchi, come cintura, il lazo, una correggia lunga una mezza dozzina di metri, terminante in un anello, e che viene adoprata per accalappiare i cavalli selvaggi delle praterie e quelli liberi dei grandi allevatori.

Morgatt, che sapeva servirsene a maraviglia nella sua qualità di cocchiere, si levò la correggia, allargò il laccio e s'accostò cautamente al mustano, che si era arrestato presso il suo padrone, come per invitarlo a risalire in sella.

Fece girare il lazo due o tre volte in aria, poi lo lanciò con mano sicura. La corda cadde attorno al collo del cavallo, imprigionandoglielo strettamente. Con una strappata irresistibile Morgatt lo fece cadere sulle ginocchia, poi gli balzò lestamente in groppa, allargando rapidamente la correggia.

Il mustano, sorpreso e anche arrabbiato di sentirsi sul dorso un altro uomo, tentò dapprima di ribellarsi, impennandosi e sparando calci in tutte le direzioni, ma quattro pugni poderosi lo ridussero ben presto a dovere.

– Al galoppo! – gridò Morgatt, allentando le briglie. – Non sono un cavaliere che si lascia facilmente smontare.

Il mustano, che era veramente uno splendido corridore, partì come un fulmine, galoppando verso l'ovest. Cominciava a spuntare l'alba, quando Morgatt, che da quattr'ore aveva spinto il cavallo a carriera sfrenata, distinse sull'orizzonte una colonna di fumo.

– Il posto! – esclamò con voce giuliva. – O questo cavallo è il più rapido corridore della prateria, o noi ci trovavamo più vicini di quanto credevamo.

Mezz'ora dopo entrava come una folgore al posto. Era anche quella piccola stazione formata da una cinquantina di case di legno e guardata da un fortino costruito con tronchi d'albero.

Morgatt era conosciuto nella borgatella ed anche amico del comandante del fortino.

Lo fece subito avvertire del suo arrivo e appena se lo vide dinanzi, gli chiese senza preamboli:

– Avete forze disponibili e della gente di fegato? Una piccola tribù di comanches mi ha assalito a cinque leghe da qui ed ho dovuto lasciare i viaggiatori nelle mani di quei bricconi.

– Tanta audacia hanno avuto! – esclamò il comandante che era un vecchio uomo di guerra che aveva battagliato lunghi anni contro gl'indiani. – Amico mio, voi siete giunto in un buon momento, e ai comanches le daremo ben dure. Stamane è giunta una colonna di cinquanta cavalieri della guardia delle frontiere che deve recarsi a dare il cambio alla guarnigione di Buffalo.

– Domandate al suo capo se verrà con noi.

– Non se lo farà dire due volte. Fra cinque minuti saremo in sella e correremo sulle tracce delle pellirosse.

Il tempo fissato non era ancora trascorso che Morgatt, a cavallo d'un nuovo mustano, galoppava nella prateria, seguìto dal comandante del fortino e dai cinquanta cavalieri della guardia delle frontiere, tutti solidi giovanotti, splendidamente equipaggiati e che altro non chiedevano che di menar le mani sul dorso degl'indiani.

Le cinque leghe furono divorate in meno di tre ore. Quando la truppa giunse là dove era stata assalita la corriera, Morgatt rilevò le piste degli indiani, che si vedevano nettamente impresse sul suolo umido della prateria, poi gridò:

– Avanti! Le seguiremo, se occorre, fino al Missouri!

La truppa ripartì di carriera, preparando le armi. L'accampamento dei comanches non doveva essere molto lontano, secondo le previsioni di Morgatt.

Era appena mezzodì quando i cavalieri scorsero, sul margine d'una foresta di pini, alcuni gruppi di tende.

– Ecco il campo! – gridò il comandante. – Le sciabole in mano e carichiamo a fondo.

Gl'indiani, che dovevano aver disposto delle sentinelle, si erano già accorti dell'arrivo delle guardie della frontiera.

Montarono precipitosamente sui loro cavalli, mentre le donne ed i fanciulli correvano a nascondersi nella foresta.

Il combattimento fu breve e accanito. Gl'indiani, oppressi dal numero, decimati dalle sciabole e dalle pistole, abbandonarono ben presto il campo di battaglia, salvandosi nella foresta.

Mentre si combatteva, Morgatt ed il comandante si erano precipitati fra le tende, visitandole minutamente.

I prigionieri erano ancora là, nella dimora del capo, in attesa del supplizio.

Gl'indiani, nella loro precipitosa ritirata, non avevano avuto il tempo di trucidarli.

I soldati diedero fuoco al campo, poi trionfanti tornarono al posto, conducendo anche la corriera. Due settimane dopo O' Brien e la sua giovane moglie giungevano felicemente a San Francisco di California ed il governo americano assegnava al valoroso cocchiere un premio di mille dollari, meritato compenso a tanto ardire.


Note

  1. Donne del Messico.