I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Una bufera di polvere

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Una bufera di polvere

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Un dramma in Persia La stella degli Afridi

UNA BUFERA DI POLVERE


Il signor Morales, uno dei più ricchi allevatori di bestiame della pampa argentina, possessore di qualche diecina di migliaia di animali, fra cavalli, montoni e buoi, ci aveva invitati ad una partita di caccia ai batitu, promettendoci per di più una lauta colazione in uno dei suoi ranchos.

Per uomini che passano la loro vita sul mare, vedendo solamente cielo e acqua e acqua e cielo, e che sono costretti a mandar giù, bene o male, il solito rancio più che grossolano, un tale invito rappresentava una vera festa. E poi il signor Morales, uomo d'una gentilezza estrema, aveva tanto insistito perché noi accettassimo, che un rifiuto sarebbe stato un atto quasi offensivo.

Una mattina, dunque, lasciammo Buenos-Ayres su due berline, tirate ognuna da sei cavalli che pareva avessero il fuoco nelle vene, quantunque fossero meschini all'apparenza.

Figuratevi che erano di colore quasi giallo e che non avevano né coda, né criniera. Immaginatevi quale effetto può produrre un cavallo privo di quegli ornamenti naturali!

Partimmo allegrissimi, portando con noi i fucili da caccia, buon numero di cartucce e anche delle provviste, perché ci avevano avvertiti che dovevamo fare una corsa lunghissima prima di giungere nella pampa, fra le cui erbe si nascondono i batitu, uccelli che ci decantavano come deliziosissimi e che amavano farsi ammazzare con la più bella grazia di questo mondo.

Si correva a precipizio, fra un baccano infernale. I gauchos che montavano i cavalli, pareva avessero ricevuto l'ordine di farci viaggiare con la celerità d'una ferrovia e aizzavano gli animali con urli selvaggi e con un incessante schioccar di fruste.

Bei tipi quei gauchos, che passano pei migliori cavalieri dell'America del Sud, se non sono anche i più valenti del mondo intero.

Piccoli, piuttosto magri, tutti nervi, con la pelle bruna, gli occhi piccoli e neri nei quali brilla sempre una fiamma cupa, che vi mette indosso un certo malessere.

Vivono, si può dire, a cavallo e a terra non sanno quasi camminare. Sovente ci dormono anche, affondati nelle loro immense selle, comode poltrone e con alto schienale che impedisce una caduta.

Non si occupano che del bestiame, difendendolo contro gli assalti delle fiere e degl'indiani e hanno in odio le città. Solo nella pampa, con quell'immenso oceano di verzura, si sentono liberi e felici.

A mezzodì, assordati, con le ossa peste da quelle scosse furiose, mezzi accecati dalla polvere, giungevamo nella pampa. Erbe, poi erbe ancora, cardi, fiori, e poi nuovamente erbe: ecco la pampa.

Alberi rari: qualche ombrù immenso, che da solo forma una piccola foresta, qualche gruppetto di cespugli poco alti e nient'altro.

– Preparate i fucili – ci disse il capo dei gauchos, armando uno di quegli enormi tromboni, che i nostri nonni usavano un secolo fa e che ora si adoprano nelle nostre campagne per festeggiare qualche santo.

– Ci minaccia qualche pericolo? – gli chiedemmo. – Gl'indiani, forse?

– Niente indios – ci rispose. – Sono parecchi anni che hanno lasciato questa regione. Preparatevi, invece, a fucilare i batitu.

I batitu! Sì, ci rammentammo che eravamo invitati a una partita di caccia a quegli uccelli così pregiati dagli argentini, ma dov'erano? Durante la nostra lunga e furiosa galoppata non avevamo veduto che qualche meschino pappagallo e qualche minuscolo uccello-mosca, mentre il signor Morales ci aveva promesso una caccia straordinaria.

Interrogai il mio marinaro, quel bravo Barsal che era il fido compagno delle mie escursioni.

– Ebbene, Barsal – gli dissi. – Li vedi quei famosi uccelli?

– Io non vedo altro che erba! – mi rispose. – Che fuciliamo i cardi?... In salsa calda non sono poi così cattivi!

– Vostre signorie sono pronte? – ci chiese in quel momento il capo dei gauchos.

– Le armi sono cariche – rispondemmo.

Avevamo appena parlato quando una brusca scossa ci fece cadere uno addosso all'altro.

Le due berline avevano ripreso la loro corsa e che corsa! Andavano come un treno diretto, trabalzando per modo che noi non riuscivamo a tenerci diritti.

Il suolo della pampa è tutt'altro che eguale. Ha escavazioni profonde, solchi, canali scavati dalle acque durante le forti piogge, poi buche in gran quantità.

Le due berline, trascinate in una corsa vertiginosa, sobbalzavano orribilmente, andando a zig-zag, massacrando spietatamente immense distese di superbe verbene e di papaveri gialli e rossi.

I cavalli, aizzati da una tempesta di frustate e dagli urli rauchi dei gauchos, balzavano all'impazzata, agitando comicamente le loro code spelate.

Noi eravamo pronti a dare battaglia ai batitu, ma avevamo un bel guardare da tutte le parti senza riuscire a scorgere in aria un solo volatile.

– Attenti! – gridò ad un tratto il capo dei gauchos. – Tirate a terra.

Una nuvola di uccelli si era improvvisamente alzata fra le alte erbe, fuggendo a fior di terra con uno schiamazzo assordante.

Erano qualche migliaio di batitu, scacciati dal galoppo infernale dei dodici cavalli. Erano grossi come gallinelle e pareva che volassero con una certa fatica.

Aprimmo subito un fuoco nutrito, mentre i gauchos sparavano i loro enormi tromboni carichi di piccoli chiodi e di frammenti di vetro, facendo un baccano assordante e affumicandoci.

I volatili cadevano a centinaia, massacrati da una prodigiosa quantità di pallettoni e di chiodi. Siccome fuggivano in gruppo e non si alzavano che di pochi metri, tendendo sempre a ricacciarsi fra le erbe, era difficile sbagliarli, e poi, ad ogni istante, sotto le zampe dei cavalli se ne levavano altri, raddoppiando, triplicando il numero.

Avevano ben ragione di dire gli argentini che quei deliziosi volatili si lasciavano ammazzare con la miglior buona grazia del mondo!

La corsa continuava e le fucilate si succedevano alle fucilate con un crescendo spaventevole.

– Fuoco! – gridavano tutti.

– Tirate là in mezzo!

– Ecco un altro stormo che si alza!

Bum! Bum! Ed i poveri volatili cadevano da tutte le parti.

Quella corsa durò una mezz'ora, durante la quale non furono sparate meno di mille fucilate ed una cinquantina di trombonate; poi i cavalli, completamente sfiniti, madidi di sudore, si fermarono dinanzi ad un immenso recinto, formato di tronchi d'alberi e nel cui centro si vedeva alzarsi una casa pure di legno, col tetto di paglia.

Era il rancho del signor Morales. All'intorno, disseminati per l'immensa pianura, quasi interamente tuffati fra le erbe che in quel luogo erano altissime, si vedevano mandrie di buoi e branchi di cavalli e di montoni, guardati da gauchos a cavallo e armati di lunghi bastoni con la punta ferrata.

Amigo – disse Barsal, rivolgendosi al capo dei gauchos, che ci aiutava a scendere. – Spero che non avremo consumato tante munizioni per regalare quegli uccelli alle volpi ed ai lupi rossi. Non ne abbiamo raccolto neppure uno.

– Non preoccupatevi, señor – rispose il gaucho. – I nostri peoni1 partiranno subito per raccoglierli.

Entrammo nel rancho. Il signor Morales ci aspettava sotto una vasta tettoia di paglia dove scorgemmo con molto piacere una tavola bene imbandita, sulla quale fumavano, entro piatti giganteschi, agnellini arrostiti intieri e quarti di montone cotti al forno.

L'appetito, dopo quella corsa lunghissima, non ci faceva difetto.

Sedemmo intorno alla tavola ed invitati dal signor Morales, attaccammo i cibi e le vivande.

Barsal, il mio marinaro, a cui le commozioni della caccia avevano messo indosso una fame da lupi, divorava per due e beveva per quattro, facendo onore soprattutto alla caña2 ed al vino di Spagna.

Avevamo terminato da qualche ora il pranzo e stavamo chiacchierando, quando vedemmo entrare il capo dei gauchos e accostarsi al signor Morales, parlandogli sottovoce.

Avendolo osservato, vidi sul viso di quell'uomo una certa preoccupazione, e avendo teso gli orecchi udii il proprietario del rancho chiedergli:

– Sei certo di non ingannarti, José?

– Non m'inganno mai. Essi avranno appena il tempo di lasciare la pampa e di giungere sulla riva della Plata.

Il signor Morales si alzò in preda ad una certa agitazione e, rivolgendosi a noi, disse:

– Signori, mi rincresce assai, ma vi consiglio di partire senza perdere un istante. Ho dato ordine di attaccare i miei migliori cavalli alle berline. Domani, appena passata la tromba, mi farò premura di mandarvi a bordo i batitu.

– Di che tromba parlate, signor Morales? – chiesi io.

– Sta per scatenarsi sulla pampa una tempesta di polvere che farà delle rovine immense e che forse non risparmierà nemmeno il mio rancho. Vi consiglio di partire per non esporvi a gravissimi pericoli. Io vi accompagnerò.

– Ed i vostri gauchos?

– Oh! Loro sono abituati a quel tremendo fenomeno e sanno dove rifugiarsi. Partiamo, signori, e senza indugio.

Colpiti dalla preoccupazione del proprietario e non conoscendo noi le trombe della pampa, ci levammo tutti. Barsal, però, prima di andarsene, credette opportuno cacciarsi nelle sue immense tasche un paio di bottiglie di vino di Spagna.

– Potranno esserci utili, – mi disse, – per bagnarci la gola e mandar giù la polvere.

Le berline ci aspettavano fuori dal rancho: questa volta erano tirate da cavalli di razza, che avevano le loro belle code e le loro criniere.

Quando partimmo erano le quattro e tuttavia la temperatura era diventata così ardente che penavamo a respirare.

E poi, le erbe, che al mattino erano verdi e diritte, ora si mostravano quasi appassite e d'un colore sbiadito.

Ne feci l'osservazione al signor Morales.

– È un tremendo colpo di sole – mi rispose. – Accade sovente, nella pampa, che prima che si scatenino le trombe di polvere il sole in poche ore appassisca tutte le erbe.

– Si seccano poi?

– È probabile che domani qui non vi sia più foraggio sufficiente pel mio bestiame. Le bufere di polvere sono i più tremendi flagelli di questi paesi e non vi è scampo contro di loro. Uccidono a migliaia e migliaia gli animali pascolanti, soffocandoli.

Poi si volse verso i gauchos, gridando:

– Più presto! Più presto!

E vi dico io che correvano e più velocemente del mattino. Anche i cavalli erano inquieti e mandavano nitriti soffocati.

Correvamo da un'ora, quando un lampo vivido serpeggiò pel cielo, il quale poi non era coperto da alcuna nube.

Quel lampo, scoppiato fra quello splendido sereno, ci sorprese tutti, eccettuato i gauchos ed il signor Morales.

– Brutto segno! – ci disse questi. – La meteora ci sorprenderà prima che abbiamo avuto il tempo di lasciare la pampa. Quando lampeggia, a ciel sereno, vuol dire che l'uragano è vicino.

Un momento dopo un secondo lampo più vivido del primo, e poi un terzo guizzarono sulle nostre teste e un improvviso cambiamento si produsse nell'atmosfera.

Un vento caldissimo, che pareva uscisse dalla bocca d'un vulcano fiammeggiante, cominciò a soffiare, curvando ed inaridendo le erbe della pampa; poi una nuvola apparve verso il sud, avanzandosi con incredibile rapidità.

Anda! Anda!3 – gridavano i gauchos, rialzando i loro mantelli variopinti per coprirsi il viso.

Al sud, una grande linea nera aveva occupato tutto l'orizzonte e s'alzava sempre a vista d'occhio, stendendosi verso il levante ed il ponente.

Un quarto d'ora dopo tutta la vôlta celeste era invasa da quella nuvolaglia; poi, prima che potessimo renderci conto di quello che stava per accadere, un denso nembo di polvere, sollevato da un colpo di vento più impetuoso, coperse il sole, avvolgendo la pampa d'una tinta incolore e cupa.

Quella formidabile tromba si avanzava e aumentava di minuto in minuto, simile all'aspetto d'una collina semovente che spinta da un'ignota forza della natura si preparasse a schiacciare, nella sua corsa vertiginosa, uomini e cose.

Guardai il signor Morales e lo vidi pallido e con la fronte aggrottata.

– Così terribili sono dunque le trombe di polvere per preoccuparvi tanto? – gli chiesi.

– Peggiori di quelle che si formano in mare – mi rispose. – Fra poco ve ne persuaderete.

Per qualche tempo il vento caldissimo del sud andò guadagnando d'intensità, mentre i lampi abbaglianti solcavano la nube nera; poi d'improvviso cessò e una gran calma regnò sulla pampa.

Conoscevamo già le calme delle tempeste marine per non farci nessuna illusione su quell'improvviso silenzio della natura.

Erano gli elementi che si preparavano prima di darsi battaglia.

– Ecco la tempesta! – ci disse il signor Morales. – Prendete le vostre coperte e riparatevi come potete.

La terribile meteora ci assaliva con furia irrefrenabile, in forma dapprima d'immense colonne circolari di polvere, turbinanti sulle nostre berline e che formavano come delle cupole, poi una folata furiosa c'investì e ci sentimmo spinti innanzi da una forza irresistibile, che imprimeva alle nostre vetture una velocità superiore al più sfrenato galoppo.

– Questo si chiama buon vento! – disse Barsal, tentando di scherzare.

– Chiudete gli occhi e turatevi la bocca! – gridarono i gauchos, che faticavano a guidare i cavalli in mezzo a quel polverone, che impediva alla luce del sole di giungere al suolo.

La polvere ci danzava intorno da ogni parte: ci pioveva dall'alto e si alzava dal suolo, ci avvolgeva nei suoi giri vertiginosi, spinta dal vento del sud, che soffiava con violenza irresistibile, spaventosa.

Istintivamente avevamo chiuso gli occhi, coprendoci la bocca e gli orecchi con le coperte che avevamo portate con noi in previsione d'un accampamento all'aperto; ma tutto era inutile.

La impalpabile polvere insinuavasi dappertutto.

Socchiusi gli occhi e vidi il fondo della berlina: era già coperto da uno strato di parecchi centimetri di polvere e le nostre vesti erano più bianche di quelle dei mugnai.

I cavalli, intanto, fuggivano a rotta di collo, saltando, sparando calci e gettandosi con estrema violenza ora da una parte e ora dall'altra, minacciando ad ogni istante di rovesciare le berline.

Di quando in quando le ruote affondavano nei fossati e noi venivamo scaraventati uno addosso all'altro e sballottati in tutti i modi immaginabili.

Udii Barsal dire a mezza voce:

– Pare di essere in mare, in piena tempesta.

Intanto il vento aumentava sempre. Non eravamo capaci di tenere le coperte attorno alla testa ché le raffiche ce le strappavano di dosso.

L'oscurità poi era diventata completa, anzi fenomenale. Non credo che la notte più buia, più minacciosa, possa rappresentare una mancanza di luce più profonda, più assoluta.

Noi ci eravamo aggomitolati uno addosso all'altro e tossivamo senza un momento di tregua.

Che cosa avremmo dato per una boccata d'aria pura e fresca! Invece ci sentivamo soffocare e riempire la gola ed i polmoni di quella polvere impalpabile, che correva attraverso tutta la pampa.

Erano trascorsi così una decina di minuti, dieci minuti di torture impossibili a descriversi, quando udimmo uno schianto, poi ci sentimmo balestrati a destra ed a sinistra in mezzo a montagnole di polvere che, per nostra fortuna, attutirono la nostra caduta.

La berlina doveva aver urtato contro qualche albero che l'oscurità aveva impedito di scorgere e si era sfasciata, scaraventandoci fuori.

Mi parve di udire, fra gli scrosci delle folgori le urla dei gauchos, che si allontanavano, poi il vento mi prese di traverso, facendomi rotolare per la pampa come se fossi un barile.

Un «corno rotto» pronunziato da una voce rauca con un urto mi arrestarono in fondo ad una escavazione.

– Barsal! – esclamai.

– Pronto, signore! – mi rispose il marinaro.

– Dove siamo?

– Credo che siamo caduti nell'inferno.

– E gli altri?

– Non ne so nulla, signore. Il vento mi ha spinto dietro questa buca e non sono stato più capace di rialzarmi.

– Non muoverti e copriti bene.

– Non ho alcun desiderio di lasciare la buca. Almeno il vento mi lascerà tranquillo.

– Barsal, soffoco! Ho le fauci arse e la gola piena di polvere.

Sentii che il marinaro mi faceva scivolare qualche cosa di grosso e di pesante sotto la coperta che mi avvolgeva.

– Bagnatevi le fauci – mi disse. – È eccellente, ve l'assicuro, il migliore che vi era nel rancho.

Era una delle due bottiglie che aveva avuto la precauzione di cacciarsi nelle tasche. Bene o male spezzai il collo e bevetti avidamente, all'impazzata fino all'ultimo sorso.

Provai uno stordimento improvviso e anche un benessere inesplicabile, poi mi abbandonai sotto la mia coperta e chiusi le palpebre che erano diventate estremamente pesanti.

Quando mi svegliai non si udivano più né gli urli del vento, né lo scoppio delle folgori, né le grida dei gauchos.

Sembrava che una calma profonda regnasse sulla pampa.

Scossi la coperta che era carica di polvere e alzai il capo fuori della buca.

Una luna magnifica splendeva in cielo, le nubi erano scomparse e una brezza fresca soffiava dal settentrione.

Mi volsi e vidi il faccione bruno di Barsal. Il mio fedele marinaro era seduto sull'orlo della buca, con le gambe penzoloni e mi guardava ridendo.

– Eccellente, signore, quel Xeres, non è vero? – mi disse. – Fa dormire benissimo anche in piena tempesta.

– Il Xeres! – esclamai. – Ah, briccone! E me ne hai fatto bere una bottiglia intera!

– E ci ha fatto addormentare placidamente, signore, a dispetto della polvere, delle trombe e dei fulmini.

– Mi pareva acqua!

– Sfido io, con quell'arsura! Io avrei bevuto di un fiato anche una bottiglia di rhum e scommetto che quel liquore mi sarebbe parso birra.

– Ed i nostri compagni? – chiesi.

– Chi sa dove si saranno rifugiati. Io suppongo che non ci siano tanto vicini però. Il vento mi ha rotolato per un quarto d'ora e con la rapidità che avevo acquistata, deve avermi fatto percorrere parecchi chilometri.

– Bisogna cercare i compagni – dissi io. – Saranno molto inquieti e forse ci crederanno morti.

– La berlina sarà visibile se il vento non se l'è portata via.

– E poi ci sarà l'altra.

– Nel momento in cui la nostra si sfasciava, la seconda scompariva fra le tenebre. Io sono convinto che quelli che la montavano non si sono nemmeno accorti della nostra disgrazia.

– Ebbene, Barsal, se hai le gambe buone, andiamocene da qui; ci orizzonteremo con le stelle.

Uscimmo dalla buca e ci mettemmo in cammino. Tutta l'erba della pampa era scomparsa sotto uno strato di polvere di oltre mezzo metro, entro cui affondavamo talvolta fino alle anche, il che rendeva estremamente difficile il camminare.

Quella polvere non rassomigliava affatto a quella delle nostre campagne. Era finissima, quasi vellutata, impalpabile, e cedeva subito sotto la pressione dei nostri piedi.

Sempre affondando fra una continua salve di imprecazioni che uscivano dalle labbra del mio marinaro, avanzammo per qualche ora, orientandoci con le stelle, poi scorgemmo una massa scura che spiccava fra alcune montagnole di polvere.

– Dev'essere la berlina – dissi a Barsal.

– Infatti, mi sembra – mi rispose. – Non vedo però alcuna ombra che rassomigli ad un uomo.

Ci accostammo con una certa precauzione e ci trovammo ben presto dinanzi alla disgraziata vettura.

Aveva urtato contro il tronco di un vecchio carrubo, caduto o per decrepitezza o buttato giù da qualche fulmine, e si era completamente sfasciata.

Trovammo delle coperte disperse fra i monticelli di polvere, ma nessuna traccia dei nostri compagni.

– Che cosa ne dici, Barsal? – chiesi.

– Che i lupi rossi non devono aver mangiato contemporaneamente uomini e fucili – mi rispose. – I nostri compagni erano armati, lo sapete bene. Dove sono andati dunque i loro fucili?

– Che cosa concludi?

– Che devono aver trovato qualche ricovero o che la seconda berlina li ha portati via. Ah!

– Che cosa hai?

– Non vedete laggiù, in mezzo a quei carrubi, qualche cosa che rassomiglia, bene o male, ad un rancho?

Guardai nella direzione che m'indicava il marinaro e scorsi, infatti, a qualche mezzo chilometro da noi, una specie di recinto.

Doveva essere un povero rancho, abitato da gauchos.

– Andiamo a visitarlo, Barsal – dissi. – Forse i nostri compagni si sono rifugiati colà.

Ci dirigemmo a quella volta e appena fummo giunti ai primi alberi udimmo una voce gridare:

– Chi vive?

Era il capo dei gauchos.

Un momento dopo eravamo fra i nostri compagni. Sotto l'uragano di polvere erano fuggiti e si erano ricoverati in quel rancho, che apparteneva ad un gaucho del signor Morales.

Anche la seconda berlina si era fermata colà.

Ci fermammo fino al mattino, bevendo dell'ottima caña e del matè, una specie di thè molto usato dagli argentini; e al mattino partimmo per Buenos-Ayres, parte sulle berline e parte sui cavalli fornitici dal gaucho.

Il giorno seguente il signor Morales ci mandava a bordo milletrecento batitu, il frutto della nostra caccia.

Lascio immaginare a voi la festa che fece l'equipaggio e quale lavoro si assunsero i cuochi.

Batitu arrostiti, batitu in salsa verde e bianca, batitu all'olio e perfino batitu in tegame col merluzzo!

Quella bufera di polvere era costata ben cara però al signor Morales ed agli altri allevatori di bestiame. Più di duemila buoi e quattromila montoni erano morti soffocati e la pampa per tre mesi almeno non doveva produrre nemmeno un filo d'erba.

Fortunatamente quelle disastrose meteore sono piuttosto rare. Se fossero più frequenti, non ci sarebbe più in tutto quell'immenso territorio, un solo allevatore.


Note

  1. Servi e guardiani.
  2. Eccellente acquavite molto usata dai gauchos.
  3. Via! Via!