I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Un dramma in Persia

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Un dramma in Persia

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Il paria del Guzerate Una bufera di polvere

UN DRAMMA IN PERSIA


– C'era una volta...

Un urlo d'indignazione scoppiò fra i marinai e gli ufficiali radunati sulla tolda, intorno al barile su cui stava seduto il vecchio Brandon, il più bravo narratore della flotta.

– Vuole raccontarci una fiaba da bambini?

– Ci piglia a gabbo?

– Niente!... Il bicchiere di rhum, questa sera...

– Capitano, mettetelo ai ferri!

– Abbasso Brandon!

Il vecchio marinaio lasciò passare la bufera senza scoraggiarsi, spezzò un sigaro regalatogli, poco prima, da uno degli ufficiali e si mise a masticarlo con visibile soddisfazione, facendo le finte di non udirci.

Per un poco lo schiamazzo continuò, poi, vedendo che il vecchio non si risolveva a parlare, ordinammo il silenzio.

– Basta, finitela! Lasciamo la parola al vecchio.

Brandon ci ringraziò con un sorriso un po' ironico, si mise il sigaro nella larga fascia rossa e riprese:

– C'era una volta...

L'urlo questa volta non scoppiò... D'altronde si sapeva che il narratore non era uomo da lasciarsi imporre da nessuno, e poi gli ufficiali avevano comandato il silenzio e tutti avevano troppa paura di finire nella stiva, coi ferri alle mani ed ai piedi.

Infine il vecchio Brandon, come dissi, godeva fama di essere il primo narratore della flotta e si sapeva che nella sua lunga carriera marittima ne aveva vedute e anche udite delle storie da riempire dieci volumi grossi come il giornale di bordo.

– C'era dunque una volta, nel Farsistan, una delle più ricche province della Persia, un Kan, ossia principe, che godeva fama di essere, oltre il più valoroso, anche il più saggio di quanti fino allora avevano regnato.

– Vecchio Brandon, – disse un mastro gabbiere che, pei suoi galloni, poteva permettersi un'interruzione; – io di geografia me ne intendo ben poco, ma non ho mai saputo che le navi possano navigare attraverso le pianure della Persia! Come hai fatto adunque a raccogliere questa storia in terraferma?

– Sappi, gabbiere pretensioso, che io ho accompagnato a Teheran il signor Livallett, ambasciatore straordinario inviato allo Sciàh di Persia. Io comandavo la sua scorta e la storia che vi racconto mi fu narrata da un mullah.

– Un mulo che racconta delle fiabe! – gridarono i marinai, scoppiando in una risata clamorosa.

– Asini, con rispetto degli ufficiali! – gridò Brandon, irritato. – Ho detto mullah e non già un mulo, e un mullah persiano è una persona istruitissima, che sta fra il prete e il maestro di scuola.

«Ora silenzio, o ricaccio in bocca tabacco e non udrete più una parola.

«Quel Kan si chiamava Midah. Era un bel giovane, d'animo fiero e ad un tempo generoso, che godeva tutta la simpatia del suo popolo.

«Un giorno, annoiato della vita della corte, Midah, ch'era un bravissimo cacciatore, salì sul suo cavallo e, preceduto da un solo scudiero, si diresse verso le montagne del Farsistan, dove la selvaggina abbondava straordinariamente.

«Aveva fatto già buona caccia, e la fame e la sete cominciavano a pungerlo, quando si trovò dinanzi a una casetta di bell'aspetto, situata sul margine della foresta, presso una limpida fonte.

«Il Kan si volse verso il suo scudiero, dicendogli:

«"Va' a bussare a quella casa e prega il suo proprietario di fornirci la colazione. Non dire che sono io e sii prudente".

«Lo scudiero balzò da cavallo e mentre il suo padrone si sdraiava all'ombra d'un superbo albero, che spandeva all'intorno una frescura deliziosa, andò a bussare alla casetta.

«Non erano trascorsi dieci minuti quando lo vide ritornare seguìto da una fanciulla di quindici o sedici anni, che indossava il pittoresco costume delle montanare: giubbetto corto adorno di zecchini d'oro, gonne variopinte e sovrapposte con ricami d'argento e babbucce di velluto rosso con ornamenti di perle.

«Nel vederla, il Kan aveva subito provato una profonda commozione. Fino allora non aveva mai veduto una ragazza così bella, e se ne mancassero, alla corte del Farsistan, ve lo potete immaginare.

«Era di bella statura, con la pelle rosea e delicatissima, gli occhi grandi, dolci come quelli delle gazzelle; aveva i capelli neri e così lunghi che le coprivano tutta la vita come un mantello di velluto.

«Portava sul capo un canestro contenente del montone arrostito e dei pasticcini di riso e in una mano aveva un'anfora di metallo cesellato, di squisita fattura.

«Salutò il cacciatore con un sorriso adorabile, mostrando certi denti di una bianchezza maravigliosa e depose dinanzi a lui il canestro e l'anfora, dicendo con una voce quasi infantile, che al principe parve una musica deliziosa:

«"Mangiate e bevete, mio signore, e riposate a vostro comodo. La foresta è sicura".

«"Come ti chiami, bella fanciulla?" chiese il principe.

«"Sina" rispose la giovane, arrossendo e abbassando gli occhi.

«"Sei sola?"

«"Ho mio padre e due fratelli."

«"Dove sono?"

«La ragazza parve imbarazzata, ma poi disse:

«"Sono a caccia".

«Fece un inchino e si ritirò non senza però aver guardato il principe a lungo, ella stessa colpita dalla maschia bellezza del valoroso Kan.

«Il padrone ed il suo scudiero assaporarono l'arrosto ed i pasticcini di riso e si dissetarono, ma il primo non era capace di staccare gli occhi dalla casetta di Sina e appariva turbato.

«Quand'ebbero finito, il principe si levò da un dito un anello che era ornato d'un diamante del valore di qualche migliaio di zecchini e lo diede allo scudiero, dicendogli:

«"Portalo alla fanciulla e dille che lo serbi a nome del Kan del Farsistan. Aggiungerai che se per caso avesse bisogno di me, il mio palazzo le sarà sempre aperto".

«Poi salì a cavallo e si allontanò senza attendere il ritorno dello scudiero.

«Lasciò la montagna e scese nella pianura, rientrando verso sera nel suo palazzo.

«Dopo cena chiese se lo scudiero era tornato e con sua profonda maraviglia si udì rispondere che nessuno l'aveva più veduto entrare nel palazzo.

«Mandò ad interrogare le guardie che erano incaricate della vigilanza delle porte ed ebbe egual risposta. Lo scudiero non era entrato in città.

«Suppose che si fosse smarrito e che avesse cercato rifugio in qualche capanna di pastori e non si occupò dello scudiero; vi era ben altro che occupava il suo cervello.

«Era l'immagine di quella bella fanciulla. Sina, la leggiadra montanara, aveva prodotto sul suo cuore un'impressione così profonda, da impedirgli di dormire.

«Il mattino seguente, ricordandosi della scomparsa dello scudiero, ne chiese conto e gli fu risposto che era stato portato al palazzo da quattro pastori, ferito gravemente da un colpo d'arma da fuoco.

«Molto maravigliato da quel fatto, si portò immediatamente al letto del ferito.

«Il pover'uomo aveva ricevuto una palla in un fianco, però era ancora in condizioni di poter parlare, ed i medici avevano giudicato la ferita guaribile in un paio di settimane.

«"Chi ti ha ferito? Qualche bandito della montagna o del deserto?" gli disse il principe.

«"Tre uomini, uno vecchio e due giovani, che indossavano il costume di montanari" rispose lo scudiero. "Avevo consegnato l'anello alla fanciulla e stavo per raggiungervi, quando fui sorpreso da quei montanari che stavano in agguato presso la casa della fanciulla e mi fecero fuoco addosso. Caddi da cavallo e smarrii i sensi. Quando tornai in me, ero fra le braccia di quattro pastori, i quali mi portavano verso la città."

«"Non hai alcun sospetto sui tuoi feritori?"

«"Nessuno, principe" rispose lo scudiero.

«"Ti hanno rubato nulla?"

«"Assolutamente nulla."

«"Li farò arrestare, ti do la mia parola."

«Il Kan del Farsistan in fatto di giustizia era d'una rigorosità senza pari.

Chiamò le sue guardie e le mandò sulla montagna con l'ordine di non tornare senza condurre i feritori del suo fedele scudiero.

«Erano trascorsi tre giorni, quando un mattino fu avvisato che una ragazza si era presentata al palazzo per chiedere un'udienza al principe del Farsistan, assicurando le guardie che sarebbe stata immediatamente ricevuta, appena avesse pronunciato il suo nome.

«"Chiedeteglielo" rispose il Kan.

«Un momento dopo uno dei maggiordomi rientrava nella stanza del principe, dicendogli:

«"Quella ragazza ci ha detto che si chiama Sina e mi ha mostrato un ricchissimo anello, assicurandomi che glielo avevi regalato tu, o mio principe".

«Midah divenne pallidissimo e ordinò che s'introducesse immediatamente la ragazza.

«Sina, la leggiadra montanara, poco dopo si gettava alle ginocchia del principe, gridando fra i singhiozzi:

«"Principe del Farsistan!... Giustizia!... Giustizia!... Ti ricordi di me?"

«Midah, vivamente commosso, si era affrettato a rialzarla, dicendole:

«"Non voglio che la bella della montagna disperda inutilmente le sue belle perle. Il principe Midah non ha dimenticato la leggiadra Sina e sono qui pronto a renderti giustizia".

«"Allora il mio signore salvi mio padre ed i miei fratelli."

«"Quale pericolo possono correre costoro?" chiese Midah, aggrottando la fronte.

«"Essi sono stati arrestati stamane dalle tue guardie, sotto l'imputazione di tentato assassinio del tuo scudiero."

«"Del mio scudiero!" esclamò il principe. "Possibile che sia stato tuo padre che lo abbia ferito?"

«"È vero, mio principe" rispose ella, singhiozzando. "Il tuo scudiero era stato veduto uscire dalla mia casa e, immaginandosi che egli si fosse recato da me per rapirmi, gli fece fuoco addosso. Saputo da me che egli, invece, aveva portato un dono da parte tua, dono che solo un principe poteva fare, invece di finirlo, lo affidarono ad alcuni pastori onde lo portassero, con le dovute precauzioni, in città. Ora le tue guardie vogliono decapitare mio padre ed i miei fratelli; grazia per loro, principe del Farsistan."

«Il Kan, che non aveva eguali nell'amministrare la giustizia, rassicurò la ragazza che non avrebbe mai permesso che fosse toccato un capello a suo padre ed ai suoi fratelli; poi, prendendola per una mano, la condusse nelle stanze di sua madre, che nella sua gioventù aveva avuto la reggenza del Regno, donna piena di ambizione e che era estremamente gelosa delle sue prerogative.

«"Madre" le disse. "Ecco qui la più bella fanciulla che io abbia trovata nel mio Regno. Intendo che diventi la principessa del Farsistan. Fino a quel giorno l'affido alla tua sorveglianza."

«La vecchia principessa finse di accogliere bene la giovane che un giorno doveva diventare la moglie del figlio e dare al tiranno un nuovo erede, ma in cuor suo giurava, invece, di farla, in un modo o nell'altro, sparire, sdegnata che il Kan avesse pensato a scegliersi per compagna della sua vita una povera montanara, invece di cercarsela fra le principesse degli Stati vicini.

«Il Kan, non volendo avere per suocero e per cognati dei cacciatori, innalzò il primo alla carica di governatore d'una vicina provincia ed ai secondi accordò il titolo di Vizir ossia di ministri.

«Non ci voleva di più per rinfocolare l'odio della vecchia principessa.

«Un giorno, con la scusa che Sina aveva bisogno di un po' di montagna per meglio rinvigorirsi, la inviò in un palazzo che il figlio possedeva fra le montagne del Taberistan, pregando i fratelli della giovane di raggiungerla per tenerle compagnia. Al ritorno dovevano compiersi le nozze, per le quali già erano cominciati i preparativi. Midah si credeva ormai vicino alla felicità e sospirava il giorno di proclamare la vezzosa Sina principessa del Farsistan e d'impalmarla.

«Una settimana prima dell'epoca fissata per gli sponsali, il Kan radunò i suoi dignitari ed una buona scorta, e salito a cavallo si diresse verso le montagne del Taberistan per condurre la fidanzata nella capitale.

«Erano già giunti alla base delle montagne, quando videro venirsi incontro, a corsa sfrenata, due cavalieri. Appena giunti dinanzi a Midah, balzarono a terra, gridando:

«"Non andate oltre, principe. Sciagura!... Sciagura".

«"Che cosa dite?" gridò il Kan con voce terribile.

«"Il vostro palazzo è stato distrutto dal fuoco e la vezzosa Sina è stata assassinata!"

«"Sina uccisa!" urlò il Kan, scoppiando in singhiozzi. "Quale mano infame ha osato spegnere la fidanzata del principe del Farsistan? La vendetta sarà tremenda!"

«A malgrado delle preghiere dei suoi dignitari, lanciò il cavallo ventre a terra e si diresse verso il palazzo abitato da Sina.

«Le due guardie non avevano mentito. Il fuoco aveva distrutto quasi tutto ed in piedi non erano rimaste che poche muraglie annerite.

«Midah, pazzo di dolore, si precipitò fra le rovine ancora fumanti ed in un padiglione quasi distrutto, trovò stesi su alcuni tappeti carbonizzati i cadaveri di Sina, di suo padre e dei suoi fratelli.

«Gli assassini li avevano prima uccisi a colpi di pugnale ed avevano staccato dal corpo la testa di Sina, poi per far sparire le tracce del loro infame delitto, avevano incendiato il palazzo, con la speranza che si potesse credere ad una disgrazia.

«Ognuno può immaginare il dolore e la rabbia del povero principe nel trovarsi dinanzi il corpo così atrocemente mutilato della sventurata Sina.

«Diede ordine che si trasportassero nella capitale quei quattro cadaveri e che si preparassero funerali così imponenti, da rimanere largamente scolpiti nella memoria del popolo, poi la sera stessa radunava i suoi ministri ed i capi della sua polizia, risoluto a scoprire ed a punire esemplarmente i colpevoli.

«Non si aveva però alcun sospetto su nessuno, giacché tutti avevano dimostrato una sincera ammirazione per la bella Sina e nessuno si era mai lagnato di suo padre, né dei suoi fratelli.

«Fu imprigionato un gran numero di persone e molte furono sottoposte ad atroci torture, senza che si potesse strappare a quei miseri alcuna delazione che potesse mettere il Kan sulle tracce degli assassini.

«Un giorno, però, il capo della polizia mise le mani su quattro fratelli, nobili di origine, i quali erano caduti in profonda miseria in seguito ad una lunga sequela di disgrazie e che, dopo l'assassinio della povera Sina, erano improvvisamente diventati prodigiosamente ricchi.

«Interrogati su quelle ricchezze sospette, si erano ostinatamente rifiutati di dire come le avevano guadagnate. Accusati di essere stati pagati per compiere l'assassinio di Sina e dei suoi parenti, avevano respinto con indignazione quel sospetto.

«Già il capo della polizia cominciava a disperare di venire in chiaro della faccenda, quando si provò ad interrogare una ragazzina di nove anni, figlia d'uno dei quattro nobili sospettati.

«La fanciulla, ingenuamente, aveva risposto subito:

«"Sì, mio padre e i miei zii hanno incendiato il palazzo del principe".

«"Per incarico di chi?"

«"D'una dama che una sera era venuta segretamente a casa nostra, portando con sé un gran numero di gioielli e parecchie borse di zecchini."

«"La riconosceresti quella dama?" chiese il capo della polizia del Kan.

«"Sì" rispose la ragazzina. "Io non mi ero ancora addormentata, e, udendo parlare mio padre ed i miei zii, spinta dalla curiosità, mi ero alzata, sollevando un lembo della tenda che divideva la mia cameretta da quella dama."

«"Ti ricordi che cosa diceva quella dama?"

«"Sì, me lo ricordo. Proponeva a mio padre d'incendiare il palazzo del Kan, che si trova sui monti del Taberistan."

«"E tuo padre che cosa rispose?"

«"Dapprima esitava ad accettare, poi, avendo la dama promesso di raddoppiare la borsa di zecchini, finì per accondiscendere, d'accordo co' miei zii."

«"Riconosceresti la voce di quella dama?"

«"Sì, sì" rispose la fanciulla senza esitare.

«Il capo della polizia ne sapeva abbastanza. Fece chiamare il Vizir incaricato dell'amministrazione della giustizia e si recarono insieme ad interrogare i quattro fratelli, ma tutto fu inutile. Negavano sempre, protestandosi innocenti.

«Fu avvertito il Kan, il quale non si era ancora calmato del suo immenso dolore e fu deciso con lui di chiamare la fanciullina e di fare delle ricerche nel palazzo, giacché nell'animo di tutti erasi infiltrato il sospetto che quella dama non fosse stata altri che qualche principessa che forse odiava Sina, perché prescelta come sposa dal principe.

«Il giorno seguente il Kan fece chiamare i suoi ministri e la ragazzina che inconsciamente aveva accusato il padre e gli zii, fece tirare una tenda e dietro ad essa fece sfilare tutte le dame di corte, con l'ordine di recitare ad alta voce un versetto del libro religioso dei mussulmani.

«Giacché la ragazzina aveva affermato di ricordarsi la voce di quella dama del palazzo, con quel mezzo era facile scoprirla.

«La sfilata cominciò. Tutte le mogli dei più alti funzionari, dei capi militari, dei governatori passarono dietro la tenda, recitando un versetto a voce alta.

«Ne erano già passate una quarantina, quando la ragazzina si mise a gridare:

«"Ecco la voce di quella dama che diede incarico a mio padre di bruciare il palazzo".

«"Sei certa di non ingannarti?" chiese il Kan.

«"No, principe, e poi la riconoscerei ancora, avendola veduta benissimo mentre consegnava a mio padre le borse di zecchini ed i gioielli."

«Due guardie ad un cenno del Kan si slanciarono dietro la tenda, afferrarono la dama che non aveva ancora finito di recitare il sacro versetto e la trascinarono dinanzi al principe, alzandole il lungo velo nero che le nascondeva il viso.

«Un grido di doloroso stupore sfuggì ai ministri, riconoscendo in quella dama la madre del Kan!

«"La riconosci?" chiese il principe alla ragazzina.

«"Sì, quella signora è la medesima che diede a mio padre il denaro."

«"Madre!" disse il principe. "Difendetevi, smentite la grave affermazione di questa ragazza."

«La principessa rimase muta: pareva pietrificata dallo spavento.

«"Difendetevi, madre!" gridò il Kan, soffocando il proprio dolore.

«"È inutile che io neghi" rispose finalmente la principessa. "Sina aveva conquistato tutto il tuo cuore ed io temevo che tu non potessi più amare tua madre. L'amor materno mi ha accecata: perdonami."

«"La giustizia deve avere il suo corso" rispose il Kan, cercando di nascondere le lagrime che gli velavano gli occhi. "Re o principi, popolani o nobili, tutti devon essere eguali dinanzi alla giustizia. Che i miei ministri si ritirino a deliberare e pronunziare la sentenza."

«I giustizieri del Regno, quantunque fossero profondamente commossi, si ritrassero in una sala vicina a deliberare.

«La vecchia principessa, intanto, si era gettata alle ginocchia del figlio, cercando di commuoverlo con gemiti e pianti, però Midah fingeva di non vederla, né di udirla. Mezz'ora dopo i giustizieri rientravano e il loro presidente, dopo d'aver posato la destra sul Corano, il libro sacro dei mussulmani e anche dei persiani, disse con voce solenne:

«"La morte, merita la morte; chi consiglia il delitto merita un duro castigo. Noi, consiglieri e giustizieri del Regno, decretiamo la decapitazione dei quattro nobili che hanno ucciso la fidanzata del nostro principe e condanniamo la principessa sulle nostre coscienze, ad aver la mano destra tagliata. Che Allah1 ci perdoni".

«"E giustizia sia!" rispose il Kan, sottraendosi agli abbracci della madre piangente.

«Il domani, allo spuntare del sole, la piazza di Meridan, la più vasta della città, era gremita di persone. Tutta la popolazione era accorsa per assistere al supplizio degli assassini di Sina.

«Da una parte compiangevano la vecchia principessa; ma dall'altra ammiravano l'inflessibilità del loro principe nell'amministrare la giustizia.

«Appena sorto il sole dal palazzo reale uscirono le guardie, precedute dai grandi giustizieri del Regno e dal Kan. Seguivano i quattro fratelli, solidamente incatenati, poi la vecchia principessa avvolta in un lungo velo nero.

«Su un palco altissimo era stato preparato un ceppo e a fianco vi si era collocato il carnefice, impugnando una pesante scimitarra, che tagliava come un rasoio.

«I quattro nobili, ad uno ad uno, salirono sul palco e le loro teste rotolarono nel paniere.

«Toccava ora alla vecchia principessa. Un'angoscia indescrivibile regnava in tutti gli animi. Si sarebbe potuto udir volare una mosca.

«Il presidente dei giustizieri salì sul palco e gridò:

«"Miraz Aran, principessa del Regno, è condannata al taglio della mano destra. Carnefice, fate il vostro dovere, come ordinano le vostre leggi".

«Alla proclamazione del nome della madre del Kan, un grido d'orrore sfuggì da tutte le bocche e tutti gli sguardi si volsero verso l'infelice donna.

«In quel momento si vide il Kan balzare sul palco, gridando:

«"Madre mia, io soddisferò il debito che avete contratto verso la giustizia. Possa il mio sacrifizio provare che la potenza mia non ha punto indebolito il rispetto e la tenerezza del figlio".

«E, appoggiata la destra sul tronco, con la propria scimitarra si fece saltare la destra.

«Poi, risalito a cavallo, abbandonò la piazza a galoppo sfrenato, agitando il suo moncherino sanguinante.

«Due giorni dopo il povero principe veniva trovato morto sulla tomba che aveva fatto erigere a ricordo della povera Sina.»


Note

  1. Dio dei mussulmani.