I rusteghi/L'autore a chi legge

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L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE1.


I
Rusteghi in lingua Veneziana non è lo stesso che i Rustici in lingua Toscana. Noi intendiamo in Venezia per uomo Rustego un uomo aspro, zotico, nemico della civiltà, della cultura, e del conversare. Si scorge dal titolo della Commedia non essere un solo il Protagonista, ma varj insieme, e in fatti sono eglino quattro, tutti dello stesso carattere, ma con varie tinte delineati, cosa per dire il vero difficilissima, sembrando che più caratteri eguali in una stessa Commedia possano più annoiare che dilettare.

Questa volta mi è riuscito tutto al contrario; il Pubblico si è moltissimo divertito, e posso dire quest’opera una delle mie più fortunate; perchè non solo in Venezia riuscì gradita, ma da per tutto, dove finora fu dai Comici rappresentata. Ciò vuol dire, che il costume ridicolo delle Persone è conosciuto da tutti, e poco scapita la Commedia per il linguaggio particolare. Quantunque per altro sia stata fuor di qui recitata con buona sorte, son sicurissimo che tutti i termini, e tutte le frasi nostre non ponno esser capite, però con quanto studio ho potuto, ne ho posta in piè di pagina la spiegazione.

Molti bramerebbero un Dizionario Veneziano per intendere questa lingua, ed io stesso ho pensato di farlo2; ma credo sieno meglio i Leggitori serviti dando loro la spiegazione sul fatto, anzicchè distrarli dalla lettura, per ricorrere al Dizionario, il quale non si può aver sempre vicino quando bisogna.

Io non credea veramente dover sì presto annicchiare ne primi Tomi di quest’edizione Commedie in Veneziana favella. L’ho [p. 18 modifica]fatto per la ragione accennata nella precedente epistola dedicatoria, e non mi pento d’averlo fatto, dacchè parmi colle annotazioni più necessarie aver chiarito il più diffìcile da capirsi. Ho data la spiegazione a tutti quei termini, e a quelle frasi, che non possono dagli stranieri rinvenirsi nei Vocabolarj Italiani; ma quelle voci, che hanno in qualche modo dell’analogia colle dizioni Toscane, le ho lasciate com’erano, potendo chi ha un po’ di talento conoscerne la derivazione, e superare la picciola differenza. Per esempio le coniugazioni de’ verbi sono alquanto diverse, ma si capiscono facilmente: Farave per farei: Son andà per sono andato: Se savessi in luogo di se sapeste, non sono modi sì strani, che abbiano bisogno di spiegazione, nè basterebbe il Dizionario a spiegarli, ma vi vorrebbe ancor la Grammatica.

Anche l’ortografia Veneziana altera talvolta il significato, ma chi vi abbada l’intende, ed è l’ortografia regolata secondo il suono della pronuncia. Noi, per esempio, non diciam bello, ma belo, non perfetto, ma perfeto; e per regola generale quasi tutte le consonanti doppie, da noi si pronunciano semplici. Però in alcune voci le lettere semplici da noi si raddoppiano, come in luogo di cosa noi diciam cossa, ma queste sono pochissime.

I pronomi hanno qualche diversità dai Toscani: i più osservabili sono Io, che si dice Mi, Tu, che si dice Ti, Egli, che dicesi Elo. Così è osservabile nella espressione dei verbi, che tanto nel singolare, che nel plurale, si dice nella stessa maniera. Per esempio: Io andava: Mi andava. Quelli andavano: Queli andava. Molto vi vorrebbe per dir tutto su tal proposito. Per ora basti così. Può essere che in altra occasione dica qualche cosa di più.

  1. Questa prefazione fu stampata in lesta alla commedia nel t. III (1762) dell’ed. Pasquali di Venezia.
  2. Più volte il Goldoni lo aveva promesso (si vedano le prefazioni alle Massere e alle Donne de casa soa, nel 1738: vol. XII della presente ed., pp. 118 e 431): ma ora abbandonava per sempre l’antico proponimento.