Idilli (Teocrito - Pagnini)/IX

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IX

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
IX
VIII X
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IL PASCOLANTE, OVVERO I BIFOLCHI

Idillio IX

Dafni e Menalca

Comincia, o Dafni, un pastoreccio canto.
     Tu dà principio, e te Menalca segua,
     Alle vacche giugnendo i vitellini,
     E a quelle, che non han figliato, i tori.
     Vadan pascendo insieme, e là girando
     Tra quelle frasche senza uscir di branco.
     Or tu di contro a me disciogli il canto,
     E di là poi Menalca a te risponda.
dafni
Dolce suona il vitel, dolce la vacca,
     Dolce l’avena, ed il bifolco, e anch’io.
     Ho presso le fresche acque un letto; e sopra
     V’ho stese vaghe pelli di vitelle
     Bianche, cui tutte l’albatrel rodenti
     Libeccio meno giù dalla collina.
     Io tanto curo la bollente estate,
     Quant’altri suole amar di dare orecchio
     Ai ragionar del padre, e della madre.
Così Dafni cantommi. Indi Menalca.
menalca
Etna è mia madre, ed un bell’antro albergo
     Fra le concave pietre. E quivi ho tutto
     Quel ch’altri può sognar: molte caprette,
     È molte agnelle, ond’io distese tengo
     Sotto il capo le pelli, e sotto i piedi.
     Lesso a legna di quercia le busecchie,
     E d’inverno sul foco ho secchi faggi.
     Or curo il verno, quanto uno sdentato
     Presente la minestra ama le noci.

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Io lor fei plauso, e in dono porsi a Dafni
     Un baston da sè nato, e nel paterno
     Campo cresciuto, cui nè forse un mastro
     Avría che apporre; all’altro egregio nicchio
     D’una conchiglia sulle Icarie rupi
     Da me appostata, ond’i’mangiai la carne
     Tra cinque già spartita in cinque pezzi.
     Ei sonò forte il nicchio. O agresti Muse,
     Il ciel vi salvi; a me mostrate il canto,
     Ch’io sciolsi colà in mezzo a que’ pastori.
     A te non verrà già la vescichetta
     In punta della lingua. E la cicala
     Amica alla cicala, e la formica
     Alla formica, e gli sparvier son cari
     Agli sparvieri, a me la Musa e il canto,
     Ond’io piena la casa ognor vorrei.
     Nè il sonno, o l’improvvisa primavera
     È altrui sì grata, nè alle pecchie i fiori,
     Come le Muse a me gradite sono.
     Se alcun da loro ottien lieto uno sguardo,
     Nuocere a lui non san di Circe i sughi.