Il Baretti - Anno II, n. 5/Propilei

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Adriano Grande

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Ripresa del Gouncourt

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PROPILEI

(pensieri)

A esprimersi ci vuole pudore: che è come il paralume che attenua e a volte colorisce la luce. C’è chi lo ha e c’è chi finge di averlo; ma dal tono lo si può capire. Nature violente ed impazienti esistono, tuttavia, che han bisogno di mettere le loro intimità in pubblico: per costoro il pudore non esiste. Scoperchiano l’officina e ti fanno conoscere ogni meccanismo e procedimento (quando tutto non si riduca a un povero banco di legnaiolo) in modo che poi, a riguardare l’opera compiuta, manca il più importante della meraviglia: l’imprevisto. Questi artisti sono in parte perdonabili: perchè la loro impudicizia è innata; perchè ti mostrano organismi grandiosi o comunque notevoli dai quali bene o male puoi imparare; e poiché ne sono puniti mancando a loro quella soddisfazione, della quale sentono più che altri il bisogno di commuoverti naturalmente col loro mito; della commozione, poniamo, che può cagionarti un bello e limpido cielo. Non è perdonabile però chi, fabbricando burattini senza grazia, sente il bisogno di mostrarti i suoi scarsi ferri; presuntuoso che come l’epoca sacrifica alla critica vuol farti credere che anche lui ci ha la sua parte di malanno e si rende simile a quelle donne che se gli andate a dire: — il tale è grave — rispondono invariabilmente: — ed io? da stamane mi dura l’emicrania... —

Forse è questo pudore che trattiene noi dal metterci troppo in mostra. Se non sia invece qualche dubbio egoista come quello di non dire nulla di importante o di dirlo male; ipotesi da scartarsi riflettendo che tutto e nulla è importante e si dice male solo quello che non si ha da dire. Oppure una certa vanità di gente superiore anche all’arte e che non vuole manifestatamente mettersi per nessuna strada: oppure l’idea che a decidersi c’è sempre tempo, segno questo, semmai, che le vostre necessità non son troppo impellenti.

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Eppure, dentro di noi, tutto è terribilmente espresso. Ma ci accade, avvicinando chi non ci somiglia di scoprire che siamo lontani, oh quanto! da farci capire e rieccoci nella paura dell’insufficienza. Questo ci fa conoscere come la solitudine non sia già di chi basta a sè stesso — nessuno basta a sè stesso — ma di chi non ha con chi discorrere di quello che più gl’importa; e cioè delle ingombranti avventure del proprio cervello.

Fu dato all’uomo di buona volontà, a differenza dell’animale che vive una sola possibilità, questa felice attitudine a spogliarsi d’ogni più aderente abito e capacità non appena ne scorge la trama del troppo uso. Ma questa virtù, per similitudine in comune colla serpe, è solo di chi come essa ha lungimirante e a volte fascinatore lo sguardo; e ci viene forse dall’accanirsi che il Tentatore fa contro di noi, cibo per lui agognato.

Ma, cambiando, possiamo sempre fargli il tiro di rinfanciullire; per qualità l’epoca lo concede, che è pervasa di lui e domanda scaltrezza.

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Non si è per tutti la medesima persona. Ciò non soltanto perchè ognuno vi guarda con occhio diverso, ma perchè è necessario esser veduti in modo diverso da ciascuno. Cosi ogni uomo mostrerà od alcuni specialmente le proprie virtù: ad altri specialmente i propri difetti.

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L’orgoglio è un’innata fanciullaggine. Diffidare di chi non si mostra orgoglioso: costui ha dentro consumata ogni fonte d’ingenuità ed è giunto non che a ridere di sè stesso — cosa non troppo difficile chi ci goda a prodursi come leggero ed a farsi accettare dal prossimo — ma a stimarsi con sicurezza: a costui è possibile ogni più difficile atto e può rifiutare qualunque domanda di schiarimenti. A vivere non ci ha poi tanto gusto e se non è un artista che si risolva a giuocare — ecco l’ultima forma d’interesse — è certo l’uomo delle belle occasioni, quando la vita si può buttare per una parola. Diffida: questi è un grand’uomo, ed è libero, e può trascinarti dove vuole lui. C’è poi tra chi non è orgoglioso anche il povero di spirito e il santo. Ma il primo si dà a conoscere e si difende con la presunzione e il secondo ha giù concluso per sè e per gli altri mentre per noi, sinora, a certe conclusioni è più santo non arrivarci.

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Per farsi una personalità è necessario sbarazzarsi di tanto in tanto della propria. Questo conduce al disinteresse, allo spirito di sacrificio.

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E' pacifico: la matematica e la logica sono i più grandi errori dell’uomo. Avendo bisogno di un assoluto egli ha creato queste due fredde astrazioni e coi numeri gioca e coi ragionamenti come un Nume con le possibilità. E fu stabilito che quanto più è uomo è freddo maggiormente egli si dimostri buon dialettico e matematico. Pure, esistono degli uomini che possedendo poca umanità riescono per via d’intelletto a concepirla e sono in questo ammirevoli; chè la loro manca di facili difetti.

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Tutta l’umanità lavora per un’astrazione: poiché il progresso, questa felicità promessa nell’avvenire, esiste realmente, ma in astratto. L’uomo perciò non si riposerà mai: se non nel pensiero, nell’arte. Di fronte alla vita si tratterà sempre di fare un certo numero di movimenti più o meno dolorosi.

Adriano Grande.