Il Baretti - Anno II, n. 9/Anton Wildgans
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Letteratura tedesca.
Anton Wildgans
Sono stato a trovarlo, qualche tempo fa, nella sua casa di Mödling insieme coll’amico Emil Farkas, un colto «Föscher» di Lenau. Fisicamente Wildgans è un colosso: alto, spalle quadrate, torso possente, bel capo severo; larga la fronte, leggermente piccoli gli occhi irrequieti, castagni chiari i capelli, abbrunata la pelle. Quando parla con voce baritonale il suo elegante tedesco, indovini subito la qualità di dicitore.
Non è possibile dimenticare il suo profondo riso cordiale e la sua poderosa andatura. Quando dalla scalinata della sua villa ci scese incontro per il vialetto del giardino, mi parve un Ercole senza clava, stranamente vestito. L’epiteto teutonico — nel senso di primitivo, immaturo, barbarico — sarebbe assai male appropriato anche al Wildgans poeta.
La sua educazione è essenzialmente moderna. Non bisogna dimenticare ch’egli ha tradotto Baudelaire e Pascoli.
Nella sua poesia il decadentismo si traduce in sottile esasperazione. Il poeta decadente è tutto letteratura: la sua coltura è malata di decrepita civiltà. Il suo, non è più amore, ma erotismo.
Nel decadentismo di Wildgans, la poesia è affrancata e salvata da una potente tendenza al concreto e - come in Ste George da un istintivo bisogno di chiarezza espressiva.
C'è un verso nel «Sonette an Ead» di Wildgans che dice: «Es ist vici Stein und Kot auf Gottes Wegen». C'è molto pietrame e fango pel cammino d’Iddio. Anche in Wildgans la tendenza pagana è gagliarda. Traspare già dalla scelta dei temi: donne pubbliche, orgie notturne, ecc. Il particolare lubrico, è, naturalmente — per ragioni estetiche — evitato; e l’erotismo è espresso con quella fatale necessità che giustifica — o vorrebbe — le cose più volgari.
Nell' «Empfängnis» — «Concezione — del volume «Herbstfrühling» — «Primavera dell’autunno» — l’amore di due giovani, nella sua solennità panico, ha quasi del biblico. Naturalmente la mia versione letterale in prosa appena adombra l’originale: «E com’egli, spiando, verso mezzogiorno guardò, sorse dal grano tramato d’oro una giovine donna; e cupamente pensosa alzò lo sguardo al Cielo, che era saturo, grave e basso».
«Un cupo nuvolo, improvvisamente giganteggiando cresce, si gonfia, fende il seno della terra e si discioglie in una silenziosa, calda benedizione».
Nei popolarissimi «Sonetti ad Ead» sensuali sono le immagini, le parole il ritmo. «Io ti ho dato un nome dolce come il vino, e come una bacca mi riempie la bocca.. Profondo nei cieli si abbassa verso la pace il mio sguardo... Nel mio flauto passa il soffio di Dio». «Io so del tuo corpo soltanto la mano, che il tuo volto è tutto anima e lontananza». «Perditi in me! Io sono un cespuglio ed ardo. Dio ha stabilito come si deve conoscere la donna. A che l’anima? L’anima è nulla; è fumo rimasto dopo l’incendio represso. Ma io sono un selvaggio cespuglio ed ardo».
Qualcosa di sanguinoso, di carnale, è in tutto. Il figlio «carne diventata febbre di voluttà». Sulla cima di un monte egli sente «la sua natura umana inseparata dalla gigantesca statura della montagna. Alla terra egli è tenacemente attaccato. Questo marcato sensualismo, nell’arte in genere e in quella di Wildgans in ispecie. si risolve nel bisogno estetico del chiaro del plastico, del ben definito.
L’immagine vuol rivestirsi di muscoli, la parola scorrere nel periodo o nel verso, come il sangue nelle vene.
Wildgans è meticoloso nella cura della forma, nella creazione e rielaborazione dei vocaboli. Gli piace la linea classica, la perspicuità latina: canta il sole e il giorno, ama le nostre forme metriche: quartine, sestine, ottave, e soprattutto il sonetto. «C’è molto di italiano in voi», gli ho osservato a Módling. Egli mi ha corretto: «Forse sarebbe meglio dire: di latino».
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C’è un’altra faccia di Wildgans che, pur in questo abbozzo deve apparire: il Wildgans sentimentale e mistico. Questo secondo aspetto caratteristico del poeta viennese traspare soprattutto dai drammi, che sono una curiosa unione di quotidiano realismo e di trascendente misticismo. I suoi drammi: «Armut», «Liebe», «Dies irae», «Kain», hanno avuto un enorme successo, e gli hanno aperto la via alla Direzione del «Burg-theater», il massimo teatro di Vienna, che ha tradizioni che risalgono a Grillparzer. Lo schema del dramma Wildgansiano è semplice. Comincia quasi sempre con una vicenda comune, quasi volgare. La vita giornaliera vi è rappresentata con tutte le sue minute necessità pratiche. Ma ad un tratto i personaggi sono invasoti da un nuovo spirito, il ritmo della loro vita quotidiana si interrompe, una nuota personalità sopravviene in loro e si sovrappone, non si sa in che modo, sull’antica.
Come per incanto il loro linguaggio si infervora il lirismo e si modula nei ritmi più difficili: dalle loro bocche use alle pedestri frasi, escono versi purissimi. Ma per me i pregi drammatici del Wildgans non consistono in questa artificiosa sovrapposizione di lirismo che non sempre bene si fonde colla favola e colla necessità psicologica dei personaggi; nè ci conviene il simbolico misticismo su cui il dramma vien proiettato. Troppo di frequente l’autore si attarda in scabrose scene veristiche per non tradire una certa compiacenza a dipingere casi ed ambienti che dovrebbero ma non possono spirare nel pubblico orrore, sol perchè in fondo al dramma è posta una tesi morale. Il meglio dei drammi Wildgansiani, per il critico spregiudicato, consiste nell’abilità di condurre con arguta finezza il dialogo o nella sagacia di costruire la scena con esatta percezione del momento psicologico, o nella virtuosità lirica. Questi criteri ci spiegano anche l’entusiasmo che oggi trova Wildgans nel pubblico viennese.
Giovanni Necco.